CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET

 

 IL DOMESTICO BUONSENSO DEL DESIGN
 Intervista a Renato De Fusco


Nella tua attività di storico, semiologo e critico dell'architettura, del design e dell'arte, hai pubblicato circa 50 volumi e, da 45 anni dirigi la rivista Op. cit., offrendo ad esperti del settore e non una palpabile dimostrazione della stratificazione culturale implicita nella pratica progettuale. Eppure il tuo nome è anche legato alla «riduzione» culturale che potrebbe essere ritenuta in contrasto con la molteplicità sia degli approcci adottati per interpretare il fenomeno, sia dei fattori coinvolti nella cultura del progetto.

Il fatto di aver adottato nei miei saggi metodologie diverse – storica, semiotica, strutturalista – non contraddice il contenuto di un'altra metodologia, quella della «riduzione» culturale.
La storia delle idee ha sempre richiesto un modo di interrogarle, cioè una posizione di quesiti in ordine ad alcuni specifici temi. Tra i numerosi significati del termine «riduzione», che vanno dalla filosofia alla scienza, dalla componente euristica di varie metodologie, io privilegio quello di riduzione strutturale (in quanto non riferita alla forma di un fenomeno, bensì alla sua organizzazione sistematica) di una disciplina, la sua organizzazione e semplificazione in base ad un ordine relazionale di leggi e criteri sia ad essi peculiari, così come sono venuti determinandosi, sia ad altri campi di esperienza, purché ipotizzati come pertinenti e operativamente utili agli sviluppi dei nostri interessi.
Ciò detto – riproponendo una tesi di oltre vent'anni fa – la principale «riduzione» concettuale nel campo del design consiste, a mio avviso, nel ridimensionamento della concezione stessa del design che non va più inteso come un progetto globale e utopistico o come una grande pedagogia sociale, ma più realisticamente come qualcosa che contribuisce nei suoi limiti a migliorare gli ambienti e con essi la qualità della vita.


Se tra i nostri interessi assumiamo la didattica mi pare che il discorso sul design non possa esimersi dal ragionare sulla «speranza» di rinvenire – in un determinato periodo storico – regolarità condivise atte a descrivere, il campo disciplinare. Esiste, a tuo avviso, uno spazio per codificazione e normazione all'interno di una disciplina votata all'innovazione? In questa prospettiva che ruolo gioca la semiotica?
La ricerca di codici e norme è ammissibile anche per operazioni caratterizzate dall'originalità progettuale, per esempio con la triade dorico, ionico e corinzio si sono progettate in vari secoli tante architetture nuove e diverse fra loro. Lo stesso dicasi per un altro trinomio firmitas, utilitas e venustas, applicabile anche al design.
Quanto ai contributi dell'approccio semiologico, insieme ad Antonio D'Auria ne Il progetto del design. Per una didattica del disegno industriale ho proposto una «classificazione riduttiva» dei prodotti industriali che considero sia indispensabile ad ogni teoria e pratica del design. Tale classificazione è stata «costruita» in modo che il minor numero di nuove categorie possa contenere il maggior numero di oggetti di design, potenzialmente tutti. Cosicché, al posto delle vecchie elencazioni merceologiche, di scarso interesse per la progettazione, solo sette tipi di prodotti – i «sostitutori», i «lavoratori», i «sostenitori», i «contenitori pieni», i «contenitori cavi», i «trasportatori», i «visualizzatori» – bastano ad individuare e descrivere l'intero campo del design.
L'applicazione della semiologia al design è poi l'oggetto principale del più recente Una semiotica per il design, dove ho utilizzato le 4 dicotomie saussuriane: significato/significante = interno/esterno; sintagmatico/associativo = in presenza/in assenza; langue/parole = codice/messaggio; diacronia/sincronia = successione cronologica/contemporaneità.


Uno dei punti forti della tua posizione critica è che il referente primario del design sia la cultura materiale. Tale visione ti oppone ai sostentori della centralità del «design dei servizi» consentendoti, peraltro, di contestare l'implicita confusione fra «comunicazione» e «design» propria di molte «mostre a tema» promosse nell'ultimo decennio. Mostre in cui noti quanto sia «necessario sempre distinguere il linguaggio delle cose da quello delle parole». Ma quali solo i limiti del «linguaggio delle cose»?
Non simpatizzo, come tu rilevi, con il «design dei servizi», che esula dalla cultura materiale. Inoltre con l'occasione va chiarito che la parola «design» in inglese significa ogni sorta di progettazione, tal che è applicabile ad ogni attività, mentre in italiano essa significa esclusivamente «industrial o artigianale design», ovvero progetto delle cose.
Detto questo, il rischio più comune quando si confondono «comunicazione» e «design» è quello di «letteraturalizzare» il design, esorbitandone la componente connotativa rispetto a quella denotativa; il che comporta la riduzione di un prodotto della cultura materiale in uno slogan pubblicitario o un manifesto d'avanguardia.
Alla domanda su quali limiti siano propri al «linguaggio delle cose», rispondo che sono quelli relativi a ciò che è materialmente costruibile, salvo a distinguere le cose «per la vita» da quelle «per la morte», quest'ultime equivalendo alle menzogne nel linguaggio delle parole.


Come sostieni, citando un'illuminante sintesi di Persico, nel design «non esiste che un problema di gusto». Con ciò intendi che ai cultori della disciplina s'impongono razionalità e regole operative in grado sia di assumere l'evoluzione che di preservare il campo dall'arbitriarietà?
Il «gusto», come lo intendevano Lionello Venturi e soprattutto Persico implicava anche l'ethos. Cosicché il costume, le norme di vita, cioè appunto l'ethos, è condizione indispensabile nel progettare – per usare un termine di Ezio Manzini – «cose amabili», una definizione semplificata del gusto, inteso esteticamente.
Prima regola del gusto, a mio avviso, è il senso della misura, collegabile al senso del classico, nell'accezione qualitativa del temine, una sorta di «categoria del gusto», fino a diventare sinonimo di questo sentimento. Tale regola è assai difficile da seguire: per farsi notare un oggetto di design deve almeno enfatizzare la sua funzione e questo stesso principio di riconoscibilità talvolta fa perdere il senso della misura. Ne nasce una contraddizione sulla quale si fondano proprio molte manifestazioni dell'avanguardia vecchia e nuova che sia.


Buona parte dell'attuale produzione industriale di piccola scala mi pare oggi sia coinvolta in opzioni di deriva industriale come i «trasferimenti tecnologici» e i «nuovi materiali». Opzioni sollecitate dal trend più effimero – sorta di caricatura odierna del gusto –, che si traducono in oggetti ben presto obsoleti e addirittura irriproducibili a causa della caducità delle tecniche adottate. Ma un futuro in cui la nostra memoria materiale può essere salvaguardata solo facendo ricorso al collezionismo non mette a rischio le nostre stesse identità?
Se ti riferisci a ciò che dico sui prodotti usa-e-getta, confermo che uno dei loro maggiori limiti sta nel loro sparire senza lasciare tracce, donde il pericolo di una stagione della cultura priva di segni. Confermo inoltre che per far fronte a questa eventualità la via migliore è quella del collezionismo che, beninteso, comporta una maggiore cura del loro design, del resto i contenitori in terracotta del mondo antico, ammassati come usa-e-getta ante litteram non sono mai diventati la mondezza napoletana, ma reperti pregevoli grazie alla loro bella forma.

In Made in Italy parlando del design di prodotti high-tech noti come «l'immaginario efficientista suppone che televisori e personal computer siano sempre in funzione, sempre on, non considerano il loro aspetto quando sono spenti, quando sono off, che poi corrisponde alla maggior parte del tempo nel quale sono visti». Attraverso quali accorgimenti, a tuo avviso, un prodotto off può aspirare di mantenere un senso?
Non so dire come rendere bello, o quanto meno, non sgradevole un televisore o un computer da spenti, posso solo indicare come esemplari gli oggetti prodotti dalla Brionvega e quelli della Apple. Alla questione su come mantenere un senso a tali oggetti quando sono off non posso infatti che rispondere che il senso è dato dalla loro bellezza, salvo a dissertare sull'estetica dei prodotti che richiederebbe un'altra intervista.

Parlando di coloro che criticavano i progettisti della peculiare parabola razionalista vissuta dal design italiano, in Made in Italy affermi che erano molto creativi ma non altrettanto dotati di buonsenso. Inteso come categoria critica il «buonsenso» mi fa pensare a quanto hai scritto circa il «bello» nel tuo recente Parodie del design. Entrambi i termini sono molto poco adottati nella pubblicistica di settore, ma, specificamente del buonsenso, ritieni si possa, se non dare una definizione, almeno tratteggiarne i confini?
Il buonsenso è facilmente definibile leggendo Cartesio, per il quale esso equivaleva a razionalità. Approfondendo questo concetto, il buonsenso supera la fredda ragione in quanto si avvale anche del «sentimento» soggettivo e oggettivo, donde il tener conto del sentire comune.

Ancora di «buonsenso» tratti anche ne Il design che prima non c'era, facendone intuire una specifica funzione di «sensore» privilegiato della condivisibilità del gusto (e della bellezza). Mi sembra cioè di rilevare una intenzionale ricerca lessicale volta ad utilizzare termini «sfumati» ma non gratuiti (o ineffabili) per rendere conto di un sistema che, avendo sia valenze strumentali che poetiche, ha più di una affinità con il linguaggio e ne condivide il substrato paradossale.
La ricerca linguistica che tu indichi è reale, ma per rendere più semplice il mio pensiero a questo proposito mi pare si possa dire che, anche in caso di un linguaggio più leggero e cordiale, come quello di Ulian, Paruccini, Pezzini, ecc. è comunque indispensabile una convenzione, un codice, un tipo-ideale weberiano e simili.

A proposito di nuovo design italiano, ne Il design che prima non c'era mi ha colpito la tua segnalazione di una forte percentuale di retroterra formativo «toscano» tra gli appartenenti del nuovo design italiano – Cos, Gibertini, Gumdesign, Ulian, Paruccini, Pezzini... Ciò a tutto merito dell'ISIA di Firenze e di chi ha gestito l'istituto in questi anni. Ritieni si tratti di un caso fortuito?
Non conosco abbastanza Giuseppe Furlanis e l'ISIA di Firenze, ma poiché non credo al fortuito, è assai probabile che la scuola fiorentina abbia avuto il suo peso negli amici citati nel libro Il design che prima non c'era. Quanto alla congenialità tra la cultura fiorentina e il design, se crediamo all'influenza ambientale, come spiegare che tutto quanto si è prodotto nella vostra città nei secoli equivale a tante ciambelle nate col buco? Ma non voglio essere provinciale nel senso dell'elogio del campanile altrui e dico, utilizzando ancora la metafora dei dolci, che anche Napoli ha le preziose «sfogliatelle» come gli oggetti di Roberto Mango, Filippo Alison, Riccardo Dalisi, mentre io mi limito a incartarle.

In Grammatica della fantasia, Rodari propone una definizione di parodia che vorrei utilizzare come spunto per parlare del tuo recente libro. Scrive infatti Rodari «A un certo punto – forse quando Cappuccetto Rosso non ha più molto da dire loro, quando sono pronti a separarsene come da un vecchio giocattolo esaurito dal consumo – accettano che dalla storia nasca la parodia, un po' perché questa sancisce il distacco, ma un po' anche perché il nuovo punto di vista rinnova l'interesse della storia stessa, la fa rivivere su un altro binario». Per certi versi sostiene Rodari attuare queste «deviazioni» di percorso nella storia può essere addirittura terapeutico. Cosa c'è, dunque, di veramente sbagliato nel fare parodia nel design?
Ti ringrazio di avermi segnalato l'assunto di Rodari, per cui «la parodia fa rivivere la storia su un altro binario», ma nel caso del mio saggio il titolo esprimeva qualcosa di più «terra terra», nell'ordine degli scritti del giornalista americano Tom Wolfe, autore del libro Maledetti architetti, dal Bauhaus a casa nostra, insomma un discorso con ironia e sfottò.

A proposito di architetti, l'innegabile contiguità storica fra architettura e design – protrattasi anche per la compresenza degli stessi autori in entrambe le discipline – mi sembra oggi, volendo essere brutali, più una «finzione» narrativa che altro. A rafforzarmi in questa opinione oggi l'organizzazione scolastica propone un'ulteriore sigillo di separazione nell'attuale scissione in più figure professionali anche a livello di iter formativo universitario.
Un conto è l'architettura, un altro è il design con buona pace dello slogan vetero razionalista «dal cucchiaio alla città», donde l'esigenza di due ordini didattici. Non ho difficoltà a riconoscere che nemmeno per il contesto del disegno industriale si può parlare di una metodologia unitaria. Ogni campo merceologico presenta oggi tali peculiarità da richiedere non solo una specifica competenza, ma addirittura un diverso atteggiamento. In tal senso è emblematica l'attività di Sottsass quando progetta le macchine Olivetti e quando, nella linea radicale, disegna oggetti per la casa.
Tuttavia mi pare vero che un architetto possa essere un buon designer – come confermato dallo stesso Sottsass – mentre un designer non può essere un buon architetto, ovviamente salvo le eccezioni.


C'è un modello produttivo che, nato 65 anni fa, sembra allinearsi ottimamente con il gusto di una larga fetta della società contemporanea occidentale. Alludo ad IKEA che come riportato sullo stesso Phaidon Design Classics, in tutti questi anni «è rimasto fedele allo spirito del Modernismo scandinavo e dei suoi principi democratici di bel design accessibile a tutti». Un modello assai più affine alla filosofia del design emergente nel Primo bilancio del disegno industriale in Italia di Stile Industria 1955, di quanto non lo siano le produzioni di Moroso, Edra o Cappellini.
Considero molto positivamente il fenomeno IKEA. In primo luogo perché riflette il principio-base originario del design: quantità, qualità e basso prezzo; secondo perché esprime chiaramente la mia teoria del quadrifoglio, quella per cui la fenomenologia del design si compone di progetto, produzione, vendita e consumo; terzo perché il consumatore è consapevole che i suoi prodotti non hanno una «lunga durata», ovvero includono una delle caratteristiche dell'usa-e-getta.

La disattenzione della critica nei riguardi del modello IKEA unita alla convinzione della sua irripetibilità ha censurato anche i piccoli segnali che in Italia hanno visto l'intreccio fra grande distribuzione e giovane design italiano. Mi riferisco a Coincasadesign – la collezione di «lusso accessibile» firmata nel 2007 da 19 giovani designer italiani – e la nascita del brand Eureka! Coop, ovvero la nuova linea di design «democratico» coordinata da Giulio Iacchetti che ha messo in produzione alcuni oggetti di uso quotidiano a basso costo. Che futuro prevedi per questo tipo di esperienze?
Non sono sufficientemente informato sui progetti di cui parli; quanto alla domanda sulla relazione tra grande distribuzione e giovane design, la risposta mi ricorda una battuta di Benedetto Croce che, al quesito su che cosa pensasse del problema dei giovani, il filosofo rispondeva: «il loro problema è che debbono crescere». Concludo con questa frase un po' reazionaria non perché ne condivido pienamente il significato, ma per mettermi fuori dal coro del giovanilismo oggi diffuso.



Renato De Fusco / Biografia + Contatti
Architetto, nato a Napoli nel 1929, è professore emerito di «Storia dell'architettura» presso l'omonima Facoltà della Federico II di Napoli. Ha insegnato «Storia del design» presso l'Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. Dal 1964 ha fondato e diretto la rivista «Op.cit.» di selezione della critica d'arte contemporanea (dedicata all'architettura, al design, alle arti visive). Premio Inarch per la rivista nel 1967; premio Inarch alla carriera nel 2001. Dirige la collana di critica dell'architettura e design della Franco Angeli di Milano; quella di storia dell'architettura e design della Liguori Editore di Napoli; quella dell'ADI (Associazione per il Disegno industriale) e la collana dei «Trattati per l'architettura moderna» della Editrice Compositori di Bologna. Ha curato tutte le voci dell'architettura, delle arti figurative e del design del Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, 1984. Ha ideato i due volumi dal titolo Gli strumenti del sapere contemporaneo e redatto le voci architettura, arti figurative e design, UTET, 1985. È socio onorario dell'ADI. Le date principali del suo curriculum sono: 1953 laurea in architettura; 1954 fa parte del MAC (Mavimento arte concreta), studia con Zanuso, collabora alla «Casabella-continuità» di Ernesto. N. Rogers; 1955 entra nell'Istituto di Storia dell'architettura dell'Università di Napoli, diretto da Roberto Pane; 1961 libera docenza in «Caratteri dell'architettura moderna»; 1972 vince il concorso per ordinario di «Storia dell'architettura»; 2008 riceve il Premio alla Carriera del «Compasso d'Oro ADI»

via Vincenzo Padula, 2
80123 Napoli
phone +39 081 7690783
mobile +39 366 4175985
rendefus@unina.it
www.renatodefusco.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

 ulteriori informazioni » 



Renato De Fusco / Pubblicazioni sul Design

Sommario articoli pubblicati 1964-2008 della rivista Op. cit.

Renato De Fusco / Direttore
Op. cit., dal 1964 ad oggi, Ed. il Centro (fino a gennaio 1996) / Electa Napoli

Storia del design: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da Laterza

Renato De Fusco
Storia del design, Laterza, Roma-Bari 1985-2006

Storia dell'arredamento: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da FrancoAngeli

Renato De Fusco
Storia dell'arredamento, UTET, Torino 1985, II edizione, FrancoAngeli, Milano 2004

Il gioco del design: Volume di Renato De Fusco edito da Electa

Renato De Fusco
Il gioco del design, Electa, Napoli 1988

L'artidesign: Volume di Renato De Fusco e Filippo Alison edito da Electa

Filippo Alison, Renato De Fusco
L'artidesign, Electa, Napoli 1991

Il progetto del design. Per una didattica del disegno industriale: Scheda del volume di Renato De Fusco e Antonio D'Auria edito da Etas libri

Antonio D'Auria, Renato De Fusco
Il progetto del design, Per una didattica del disegno industriale, Etas libri, Milano 1992



Renato De Fusco
Teorica di arredamento e design, Liguori editore, Napoli 2002

Una semiotica per il design: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da FrancoAngeli

Renato De Fusco
Una semiotica per il design, Collana ADI, FrancoAngeli, Milano 2005

Made in Italy. Storia del design italiano: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da Laterza

Renato De Fusco
Made in Italy. Storia del design italiano, Laterza, Roma-Bari 2007

Parodie del design: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da Umberto Allemandi & C.

Renato De Fusco
Parodie del design, Umberto Allemandi & C., Torino 2008

Il design che prima non c'era: Scheda del volume di Renato De Fusco edito da FrancoAngeli

Renato De Fusco
Il design che prima non c'era, Collana ADI, FrancoAngeli, Milano 2008

a cura di:
Umberto Rovelli
Renato De Fusco, Compasso d'Oro ADI alla Carriera 2008

 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
Renato De Fusco, Made in Italy. Storia del design italiano, 2007, LATERZA - Roma-Bari
I.

II.
Renato De Fusco, rivista Op. cit., dal 1964 ad oggi, EDIZIONI Il CENTRO (fino al 1996) ELECTA NAPOLI
Renato De Fusco, Il design che prima non c'era, Collana ADI, 2008, FRANCOANGELI - Milano
III.

IV.
Renato De Fusco, Parodie del design, 2008, UMBERTO ALLEMANDI & C - Torino
Renato De Fusco, Uma semiotica per il design, Collana ADI, 2005, FRANCOANGELI - Milano
V.

VI.
Renato De Fusco, Storia del design, 1985-2006 (9 edizioni), LATERZA - Roma-Bari
Gabriele Pezzini, Moving - portable stool, 2005,  MAXDESIGN
VII.

VIII.
Gumdesign – Gabriele Pardi e Laura Fiaschi, Shadow - sottobicchiere-guantierina, 2007-'08, SERAFINO ZANI
Fabio Bortolani, Zip - tappeto, for OPEN YOUR MIND, Milano, 2006
IX.

X.
Gumdesign - Gabriele Pardi, Laura Fiaschi, AI:D, for Vecchio/Old, Milano, 2007, OPOS
Lorenzo Damiani, Airpouf - pouf-aspirapolvere, 2005, CAMPEGGI
XI.

XII.
Paolo Ulian, Finger biscuit - biscotto da dito, 2004, for Pappilan - Bolzano | Milano, FERRERO
Paolo Ulian, Bartolo - lampada da tavolo, 1998, OPPOSITE LIGHT | 2000, INDARTE
XIII.

XIV.
JoeVelluto, Sapone Da Bucato, 2005-2008, for DESIGN ALLA COOP, EUREKA! COOP
Antonio Cos, Embouteillage, 2002
XV.

XVI.
Lorenzo Damiani, Packlight, 1995, Autoproduzione
Gabriele Pezzini, Match radio, 2002, AREA PLUS
XVII.

XVIII.
Gabriele Pezzini, Flat - Booklight, 2001, AREA PLUS
Antonio Cos, Gancio da muro, for Design alla Coop, 2005 - Milano
XIX.

XX.
Carlo Contin, Spugna da cucina, 2008, by EUREKA! COOP
Odoardo Fioravanti, Battipanni, 2008, by EUREKA! COOP
XXI.

XXII.
Lorenzo Damiani, Flex, 2000, MONTINA
 Lorenzo Damiani, Onlyone, 2007, IB RUBINETTERIE
XXIII.

XXIV.
Paolo Ulian, Golosimetro - cioccolato fondente e bianco, 2002, Prototype for Strumenti di misura dei designers - Udine
Paolo Ulian, Pane e Salame - coltello da cucina, 1999, ZANI&ZANI | Gabriele Pezzini, Plag-in, 2005, VIABIZZUNO | Giulio Iacchetti, Matteo Ragni, Moscardino, 2000, PANDORA DESIGN |  Giulio Iacchetti, Molletta per bucato, 2008, by EUREKA! COOP
XXV.

XXVI.
Richard Sapper, Marco Zanuso, Televisore Algol - Edizione Numerata, 1964-2006, BRIONVEGA
Jonathan Ive + Apple Design Team, iMac G4, 2002, APPLE | Jonathan Ive + Apple Design Team, iMac G3, 1998, APPLE
XXVII.

XXVIII.
Ufficio tecnico IKEA, Billy, 1968, IKEA | Verner Panton, Vilbert, 1994, IKEA | Magnus Eleback, Carl Ojerstam, Urban, 2006, IKEA | James Irvine, Gunghult, 2004, IKEA
Riccardo Dalisi, Metopa, 1989, ZANOTTA EDIZIONI | Riccardo Dalisi, Mariposa, 1989, ZANOTTA  EDIZIONI | Riccardo Dalisi, Pavone, 1986, ZANOTTA EDIZIONI
XXIX.





TOP