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 IN RICORDO DI LUCIANO GRASSI 


In occasione della recente scomparsa di Luciano Grassi – designer umile e acutissimo, socio illustre ADI e fondatore di ADI Toscana – proponiamo ai nostri lettori il ricordo di Giuseppe Chigiotti ed un articolo dello stesso autore pubblicato sulla rivista Ottagono nel 1983 in seguito ai risultati della mostra e alla premiazione del concorso L'imbottito degli Anni Ottanta.

Ho conosciuto Luciano Grassi molti anni fa a Firenze nel negozio Interfom. Erano i primi anni settanta e Interform era un negozio ancora straordinario per Firenze, un negozio che apparteneva a Mario e Ida Bonacchi, e che io avevo iniziato a frequentare, ancora studente di architettura, per poter ammirare i mobili di Charles Eames.
Lì capitava molto spesso di incontrare un gruppo di architetti, titolari dei tre studi (Studio Forte 63, Monsani e Bicocchi, Conti Grassi e Del Greco) che per la mia generazione sono stati di concreto riferimento più che non i nostri professori di allora – fatta eccezione per Savioli e Ricci.
Luciano Grassi era tra i più assidui: se andavi da Interform verso l'ora di chiusura, lo trovavi quasi sempre.
I progetti di Luciano Grassi, come quelli degli altri due studi, erano allora spesso pubblicati sulle riviste più importanti. E per quanto il linguaggio dei tre studi fosse molto diverso tra loro, finivano per essere comunque contrassegnati da una comune matrice razionalista, forse perché tutti allievi di Libera e Benevolo. Pur frequentandoli tutti per diverse ragioni – nello Studio Forte 63 ho tirato le mie prime linee, con Gigi e Giancarlo Bicocchi ero accomunato dalla medesima origine maremmana – Luciano era quello che vedevo più spesso: non soltanto perché, fino a quando ho vissuto a Firenze avevamo gli studi vicini (Luciano in via dei Serragli, io in via della Chiesa), ma perché ci univa la stessa passione per gli oggetti del passato e per quel lavorare con gli artigiani, che forse senza volere, ci aveva fatto scegliere di mettere su i nostri studi in quello che allora era ancora il quartiere degli artigiani, Santo Spirito.
Era proprio questo suo rapporto con gli artigiani l'aspetto della professionalità di Luciano che più mi incuriosiva e che è costantemente testimoniato dagli interventi che il suo studio progettava. Come la lunga serie di restauri di torri e di allestimenti per le fiere e mostre, ma come soprattutto il progetto delle sedute Monofilo: un progetto nato intorno alla ricerca per una nuova dimensione dell'artigianato che proprio la Mostra dell'Artigianato di Firenze aveva promosso verso la fine degli anni cinquanta.
La qualità di invenzione della Monofilo è stata tale da destare fin da subito l'interesse degli altri professionisti: Piero Porcinai, ad esempio, la usò nel suo bellissimo allestimento per la mostra della Casa Abitata tenuta a Palazzo Strozzi negli anni sessanta.
Ma, ahimè, l'interesse è stato tale che qualcuno, nel 1983, se ne impossessò per partecipare ad un concorso, togliendone la paternità ai legittimi progettisti. Il riscatto di tanto affronto non è stato tanto per merito di un mio articolo che scrissi su Ottagono (qui sotto riportato N.d.R.), ma per il fatto che tutte le varianti di questo modello sono entrate nelle più prestigiose collezioni di design: è esposta una nel Museo della Triennale di Milano; sono pubblicate sulla maggior parte di libri sul design italiano; le gallerie di modernariato se le contendono a molte migliaia di euro.
E' però limitativo ricordare Luciano solo per la sua Monofilo. Perché vanno menzionate anche le sue partecipazioni ai concorsi internazionali, a quelli per Firenze, ai suoi progetti per i recuperi di architetture antiche. Ma sono oramai certo che, adesso, starà discutendo con il fabbro Cecioni di un nuovo progetto per una poltrona Monofilo che stavolta non avrà più la trasparenza del filo di nailon ma la leggerezza delle nuvole.

Giuseppe Chigiotti
Milano, maggio 2008 


Luciano Grassi.
Ha studiato architettura a Firenze frequentando contemporaneamente la Hochschule für Gestaltung di Ulm. Ha partecipato a numerosi concorsi di progettazione del tessuto urbano: S. Frediano - Firenze (III premio), Campo di Marte - Firenze (I premio ex aequo), Berlino ricostruzione (IV premio), Les Halles - Parigi (progetto selezionato). Con altri professionisti ha operato nella ristrutturazione di antichi edifici e torri medioevali. Ha condotto ricerche nel campo delle tensostrutture e dell'high tech: la sua linea di sedute in nylon è segnalata nel 1955 al Compasso d'Oro. Da sempre interessato al design, ha ottenuto molte segnalazioni e premi anche a livello internazionale, dove opera realizzando prototipi di strumenti per l'abitare e di strutture effimere. Ha curato l'immagine di aziende della moda e allestito stand in fiere internazionali. Le sue opere sono state pubblicate su Casa Vogue, Abitare, La mia Casa, Interni, Ville e Giardini e su riviste internazionali – americane e giapponesi. È presente nella Collezione permanente del Design Italiano (1945/90). Nel 1984 è stato fra i curatori del volume Omnibook.




 IL CASO DELLA POLTRONA MONOFILO. PREMIAZIONE IMBARAZZANTE

Data la correttezza che ha sempre caratterizzato la posizione di Ottagono nel dibattito sull'architettura ed il design, mi è sembrato giusto scrivervi per alcune constatazioni su un fatto molto delicato che vede coinvolta una nota rivista, una fabbrica di imbottiti e l'ADI: la premiazione del concorso per L'imbottito degli Anni Ottanta. Durante lo scorso Salone del Mobile di Milano mi è sfuggita, affaticato dalle varie kermesse la mostra della premiazione per L'imbottito degli Anni Ottanta.
Solamente sfogliando Gran Bazaar di novembre ho potuto conoscerne i risultati. Ho aspettato fino ad oggi sperando di leggere in una errata corrige del numero successivo della rivista la precisazione che, stranamente, ma anche ovviamente non c'è stata.
Alla pagina 167 del numero 11 di Gran Bazaar è pubblicata tra i cinque vincitori ex-aequo una mia vecchia conoscenza: la poltrona Monofilo, disegnata dai tre architetti fiorentini Conti, Del Greco, Grassi.
Curiosamente ho scoperto, leggendo le didascalie che questa poltrona – ora si chiama Richard ed è stata disegnata da Giancarlo Realini e Giorgio Tagliabue. Devo confessare che non mi sono sorpreso, perché ho pensato che, in momenti come questi, dove tra revival e redesign non si capisce più nulla, qualcuno si fosse presa la briga di riprogettare la Monofilo per renderla un prodotto industriale.

In questo senso avevo compreso la premiazione di Richard come imbottito degli Anni Ottanta.
Operazione un po' strana, perché è come premiare, ad un concorso per l'auto degli Anni Ottanta una Isotta Fraschini carrozzata da Sala o Castagna dato che queste stupende auto sono lontane dalla logica della catena di montaggio e del robot, come la Monofilo è lontana dalla produzione industriale.
Ma, osservando meglio la foto e controllando le misure, ho proprio notato che non si tratta di un redesign, ma è proprio lei: la benedetta Monofilo, o meglio la maledetta. Infatti chi aveva la malaugurata idea di ordinarne una, doveva aspettare da sei mesi ad un anno, perché il Beccattini, tra una racchetta ed un'altra, ne tessesse una.

Questa poltrona, insieme ad un altro modello simile, ad una sedia ed ad un panchetto, sempre costruiti in tubo metallico e filo di nylon, era molto nota a tutti noi architetti che gravitiamo presso un famoso negozio di arredamenti di via La Marmora a Firenze; ed è così che è stata fotografata in nostre varie case. Se non mi sbaglio quando Barbara Nerozzi, attuale direttrice di Gran Bazaar, era redattrice di Casa Vogue fu pubblicata su questa rivista ben tre volte: in una casa di Bruno Sacchi (Casa Vogue 58 del 1976), nella abitazione di Henry Moore (Casa Vogue 70 del 1977) ed in una mia casa (Casa Vogue 87 del 1978).

Tranne quella appartenente ad Henry Moore, che è nera, tutte sono bianche. Quella fotografata su Gran Bazaar deve essere proprio Calimero! L'unica nera, che spiccava tra le molte bianche, in una vetrina speciale del solito negozio di via La Marmora.
Calimero ha un'origine molto gloriosa: è stàta esposta per la prima volta alla Mostra dell'Antiquariato nella casa moderna organizzata nel 1962 al Palazzo Strozzi di Firenze. Nel giardino inventato da Piero Porcinai in uno dei saloni c'era proprio Calimero insieme ad una sua sorella adornata di palle ed acquistata in seguito da Henry Moore.

Devo dire che la storia di questa poltrona è molto simile a quella del pulcino del cartone animato: infatti, dopo la mostra, finì nella vetrina di via La Marmora, poi fu relegata in un angolo del negozio, dove nessuno la voleva, e, mi dicono, molto tempo dopo fu acquistata da un produttore di imbottiti; finalmente, a distanza di venti anni, riappare in una mostra, abbandonata dai legittimi genitori.
Sergio Conti, Gastone Del Greco e Luciano Grassi con questa poltrona, realizzata agli inizi degli anni sessanta, portarono a compimento certe esperienze iniziate nel 1953, suggestionati da un lato dalle ricerche di Otto Frei e Fuller e dall'arrivo in Italia dei mobili di Eames e Bertoia. Per questo, giustamente, Paolo Portoghesi le ha pubblicate nel suo Album degli anni cinquanta e così sono anche ne Il design italiano degli anni 50 a cura del Centrokappa.

A questo punto mi chiedo che senso ha fare dei concorsi per la progettazione di nuovi mobili, quando si premia come progetto indicativo degli anni ottanta un oggetto vecchio di più di venti anni. Tanto vale lasciare in produzione quello fatto venti anni fà. Se le industrie hanno bisogno di prodotti nuovi, forse è il caso di fare le cose più seriamente: si insegni all'umanità a stare seduti sulla testa, oppure a fare i bambini con il sedere quadrato.
Ma, probabilmente anche i progettisti non sanno più cosa fare in quei campi dove l'apporto tecnologico è inesistente ed il dibattito culturale assente: non resta che allinearsi alle posizioni delle riviste più emergenti e così saremo eternati sulle loro pagine patinate.
Anche se due membri della giuria non hanno riconosciuto la poltrona sulla quale si sono seduti, poco importa. Poco importa, anche, premiare un oggetto vecchio di vent'anni, perché in fondo non ci sono idee nuove al di là delle vecchie. Dunque ben venga la premiazione della Monofilo come imbottito degli anni ottanta.

Riconosciuta la svista ed apprezzata l'ironia, premiamo, allora, gli architetti Conti, Del Greco, Grassi. Mentre per gli altri progettisti andrebbe applicata la legge del Corano: tagliamo loro le mani come predatori di beni altrui. Ma la punizione più giusta sarebbe un'altra: diamo loro altre due mani in più perché disegnino una poltrona propria e non fotografino come propria la poltrona d'altri.
Al di là dell'humor e delle battute è da richiamare l'attenzione e sono da segnalare certe azioni illeali, o meglio illegali, che minano e mortificano la figura del progettista, depredandolo di ciò che per lui è più prezioso: la propria invenzione.
Giuseppe Chigiotti
Ottagono 69, 1983 




Giuseppe Chigiotti.
Professore associato di Disegno Industriale alla Facoltà del design (III Facoltà di Architettura) del Politecnico di Milano presso il Dipartimento INDACO. Nell'attività didattica e scientifica si occupa di storia e delle teorie del disegno industriale, ponendo l'attenzione alla vicenda del product design. I suoi studi vertono soprattutto nell'analisi del rapporto tra il design europeo e americano, approfondendoli per un arco temporale compreso tra il 1918 e il 1960. Insieme allo studio della vicenda del design in questo ambito temporale, ha affrontato temi inerenti alla vicenda del design italiano secondo la metodologia storica, approfondendo ricerche sugli aspetti della progettazione e produzione degli elementi d'arredo e dei mezzi di trasporto, cercando di evidenziarne la tipicità. Per questo ha compilato studi sulle identità aziendali e sui musei di impresa. Proprio in conseguenza a questi studi è stato chiamato a definire la collezione del Museo dell'arredo contemporaneo di Russi (Ra). Ha affiancato la propria attività di ricerca a quella di consulenza per l'immagine e il prodotto con aziende che hanno posto nel design una particolare attenzione per la strategia di affermazione del proprio marchio – Arflex, Bulgari, Driade, Piaggio – compilando studi e scrivendo libri. Ha scritto saggi e libri su argomenti inerenti la storia e le teorie del disegno industriale. Recentemente ha affiancato agli studi storici e teorici la pratica progettuale nel campo del design, lavorando per Driade.


testo:
Giuseppe Chigiotti

I.
II.
III.
IV.




Per il reperimento e l'utilizzo del materiale iconografico si ringraziano:

Anna Maria Consadori
Galleria Consadori
via Brera 2, Milano

Centro Documentazione Driade
via Manzoni 30, Milano





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