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 NOVE PROGETTI PER RICHARD GINORI. VENT'ANNI DOPO

Nove Progetti per Richard-GinoriTentare di rinverdire il dialogo tra altissimo artigianato, cultura materiale e contemporaneità è una delle tematiche che più hanno coinvolto, sul finire del '900, molti materiali «tradizionali» come argento, rame, marmo, alabastro, ghisa, ceramica e – non ultima certo per rilevanza – la porcellana. Tra le occasioni progettuali che hanno segnato questo costante tentativo di «riannodare i fili» del gusto tra un glorioso passato e l'incerto futuro produttivo spiccano i Nove Progetti commissionati da Richard-Ginori – ormai vent'anni addietro – ad altrettanti studi di designer ed artisti. Di tale evento riportiamo i testi di Anty Pansera e Marco Cocchi redatti per il catalogo della prima presentazione ufficiale dei progetti: la mostra nella sala ottagonale della Fortezza da Basso, curata da Luigi Missoni, avvenuta nel settembre 1990 in occasione del Florence Gift Mart di quell'anno.
In quella stessa occasione, in una breve ma intensa narrazione, Anty Pansera avrebbe poi ricostruito la storia imprenditoriale della Richard-Ginori dal 1735 alla fine del '900 (di prossima pubblicazione nella sezione Contributi / Storia): un racconto che confina e si intreccia con la costruzione di una identità territoriale che ancora oggi marca il «senso» profondo di un luogo.
Con la speranza che entrambe queste pagine possano contribuire alla conoscenza del ruolo e dei nessi fra territorio e qualità del lavoro proponiamo ai nostri lettori tutti i materiali dell'ormai storico catalogo edito da Richard-Ginori nel 1990.



DESIGN PER IL DECENNIO NOVANTA
di Anty Pansera



La sensibilità più che la necessità, d'adeguarsi al proprio tempo, a quell'evoluzione del gusto che si è stati soliti anticipare più che assecondare, è stata certo la motivazione di base che ha fatto si che, ad apertura quasi del terzo millennio, Richard-Ginori abbia sfidato un pool di designers a proporre nuove forme per l'attrezzatura di base della tavola: piatti piani, fondi, zuppiera, teiera e tazze da té.

Volutamente eterogenei i designer chiamati, coordinata la loro ricerca da Luigi Massoni, per formazione, approccio metodologico, linguaggio privilegiato nella messa in forma, più che per generazione di appartenenza. Per lo più, infatti, fanno parte di quel gruppo di operatori che, fin dal decennio Cinquanta, si è impegnato nella produzione di serie. Li accomuna, dunque, l'attenzione ad una corretta coniugazione di quel binomio forma/funzione che sembrava in crisi o per lo meno messo profondamente in discussione, in un rinnovato clima di interesse per la decorazione fine a se stessa. Un binomio che ha trovato non solo nella plasticità ma anche nelle inusitate trasparenze e traslucidità – modificati gli spessori – della porcellana, un'articolata possibilità d'eleganza espressiva. Oggetto industriale fin dalle origini, che ha saputo «sopportare» la sua serialità con aristocratico distacco, presente nelle corti ma anche nella casa del borghese signor Biedermeier, la procellana si è resa disponibile ai rituali del decennio Novanta e della cultura tardo moderna con la stessa duttilità formale che l'aveva aperta, inizialmente, alle bombature barocche e più tardi alle sagomature novecentesche... E continua ad essere protagonista anche della nostra tavola che, mutate le esigenze dell'apparecchiatura classica – anche se l'edonismo dei nostri giorni ha fatto riscoprire la qualità di questo momento o comportamento –, presuppone servizi sempre più essenziali, intercambiabili i singoli pezzi, lontani i tempi – ridotti anche gli spazi abitativi – di quell'insieme di quasi duemila oggetti che doveva costituire i più prestigiosi apparati per il pasto. In obsolescenza, certo, alcune tipologie ma in auge altre (coppette e vassoietti per i parties, attrezzature particolari per offrire caviale, piatti destinati ad ospitare asparagi o carciofi...), nel rispetto dei cibi che «si usano». Ma anche del «come» si portano in tavola: le pirofile, così, sostituiscono zuppiere e piatti da portata. La teiera, sembra aver assommato in sé, per quasi tutti i progettisti, la carica simbolica dell'insieme, a qualificare in certi esempi, la comunicazione dell'intero servizio.

Ed è curioso annotare e riflettere, ad esempio, sulle nuove dimensioni e proporzioni dei piatti, che non solo si sono «spianati» (e i piatti piani del passato ci appaiono oggi fondine), ma anche hanno modificato i diametri e i rapporti e i piani si sono dilatati (dai 23-24 centimetri «tradizionali» ai 26-27) per meglio ospitare la portata unica e quell'assommarsi delle verdure un tempo rigorosamente proposte sulle lunette, mentre i fondi si sono «ridotti», (dai 23-24 ai 21-22 centimetri) sia per segnalare la diminuita «quantità» della prima portata che per un miglior effetto decorativo, a scoprire la grande ala del piatto sottostante.

La ricerca per il tema più proprio del vasellame per la tavola, del «servizio», è stata affidata a Sergio Asti, Achille Castiglioni, Gianfranco Frattini, Marco Albini/Franca Helg/Antonio Piva, Angelo Mangiarotti, Enzo Mari, mentre il disegno di alcuni oggetti ornamentali di complemento a Gabriele Devecchi, Candido Fior, Aldo Rossi. Nove proposte, allora, alcune di designers che si erano già cimentati sia con materiali che con tipologie analoghe, altri di artigiani/artisti/architetti che non avevano mai avuto modo di progettare in porcellana.

Sergio Asti, che fin dal decennio Cinquanta ha affrontato con rigore i temi della produzione di serie, sia nel settore del furniture che dell'industrial design, attento anche a riproposte, innovative le forme e i materiali, di casalinghi, ha messo a punto così dei pezzi che vogliono essere «un'allegoria della rappresentazione e dei simboli... attraverso metafore e allusioni», a dirla con le sue parole. La memoria di forme usuali e antiche gli ha permesso di identificare una precisa grammatica e sintassi a definire vasellame la cui destinazione è soprattutto quella di «portare gioia». Caratterizza il piatto un'ampia ala il cui risguardo ripropone i petali di un fiore: una scelta che riporta alla necessità, già da lui espressa, di contrappuntare un'omogenea condotta con controllate incursioni nel campo delle forme antropologiche. «Tradizionali», ancora, i corpi della zuppiera e della teiera, affidato ai manici e alla «presa» dei coperchi «l'ornamento», aperta ad invito la tazza.

Anche Achille Castiglioni, che con il fratello Piergiacomo è fra i più significativi rappresentanti della seconda generazione dei designers italiani e il cui linguaggio è sempre stato all'insegna del ready made, ha ripreso volutamente un'immagine usuale. La forma circolare, diversamente declinata, è servita per ammorbidire anche i corpi della zuppiera e della teiera; essenziale e identico il disegno, ad anello, dei manici della tazzina – che si propone con una modellatura a calice –, così come la presa dei coperchi, mentre una porzione di cerchio a sezione costante permette una più corretta impugnatura nel versare. Analogo il diametro di piatto fondo e piano, l'ala sottolineata da un cordolo in rilievo, una scelta ergonomica, ad impedire sia l'uscita di liquidi che a protezione dalle dita nell'atto del porgere: un «labbro» che diventa motivo guida dell'intero servizio, ben definiti gli spessori per una maggior robustezza.

Bordo rialzato anche nei piatti e piattini della serie disegnata da Gianfranco Frattini che ha giocato invece sulla nitida geometria del «corpo» di tutti i pezzi. L'architetto, sempre coerente al suo credo di «una bella funzionalità», sofisticata la qualità delle sue «invenzioni» anche nei confronti dei materiali più tradizionali, ha assunto ad esplicito elemento decorativo manici e beccucci, che purtuttavia non perdono la loro funzione – impugnare e versare –, e dove il distanziatore, per i primi, non è solo elemento di miglior lettura del segno ma anche un «ritardo» della diffusione del calore, per una presa più sicura e corretta, mentre il particolare disegno del secondo tende ad impedire la dispersione del residuo liquido. Costante l'inclinazione a 45 gradi delle basi d'appoggio, per una maggior stabilità nella sovrapposizione, a definire un lineare empilage.

Costruite geometricamente anche le forme proposte da Franca Helg: volumi che si assottigliano ai bordi, sfumando, mentre si ingrossano dove la presa richiede maggior consistenza. Questo progetto è nato osservando la foglia secca di un albero di magnolia e proprio a vegetali nervature si rifanno i segni in aggetto che invitano alla presa e fungono da impugnature: lo ricordava la Helg, da poco prematuramente scomparsa, che già nel suo percorso progettuale, affiancando dai primi anni Cinquanta Franco Albini, aveva disegnato oggetti per la tavola in argento e vetro. Anche i piatti, le chicchere, la zuppiera, le cuccume della Helg appartengono «ai pensieri che giacevano nella memoria lontana», e le sue porcellane bianche sono così pronte ad accogliere, come d'uso, eventuali decori e a supportare effetti cromatici d'ogni genere.

Sempre incuriosito dalle possibilità espressive della materia – dal marmo all'alabastro al bronzo al vetro... –, Angelo Mangiarotti ha sempre teso a evidenziare le caratteristiche intrinseche di ogni oggetto d'uso, ritenendo che la messa in forma debba essere proprio espressione delle specificità dei materiali e del loro processo costruttivo. Definire dunque la forma dell'oggetto come qualità della materia – in questo caso la porcellana –, è stato qui il suo impegno: un'occasione anche per approfondire la funzione del «servizio» e verificare l'impiego dei materiali ceramici. Una voluta sinteticità è il motivo dominante per l'intera famiglia di forme: dai piatti alla zuppiera alle tazze... curvilineo il profilo per esaltare la plastica duttilità del materiale. I manici sono stati progettati sfidando quasi le caratteristiche di resistenza meccanica della porcellana e sono volutamente una parte integrante del «corpo» dell'oggetto, così come i coperchi che hanno perso la loro autonomia.

Anche Enzo Mari si è cimentato con queste tipologie, differenziando linguisticamente – una scelta dichiarata – piatto, fondina, zuppiera dal servizio da té, oggetti che appartengono a rituali diversi nel tempo e nello spazio. Un puntuale studio sugli archetipi conservati in archivio è stato il punto di partenza del suo lavoro e un altrettanto puntuale confronto tra quelli individuati come i più significativi ha permesso l'analisi che ha portato ad una sintesi «ideale». Una forma tronco-conica, allora, è stata verificata come la più idonea alla prima serie, ottimale per la tornitura, ammorbidilo il bordo del piatto. Il particolare desiderio, invece, di riproporre un'aristocratica fragilissima tazza da té settecentesca gii ha suggerito l'aggiunta di essenziali nervature verticali, per un irrobustimento che non ne intacchi la trasparenza, ma anzi la esalti, a contrappunto dell'opacità del cordolo.

Più libere e meno condizionate da memorie del passato, le possibilità d'operare di Gabriele Devecchi, Candido Fior, Aldo Rossi: i complementi ornamentali sono si oggetti d'uso, ma il loro essere «accessori» permette trasgressioni nel binomio forma/funzione e sperimentazioni più accentuate sulla plastica delle forme.
Gabriele Devecchi si è cimentato per la prima volta con questa materia: dopo un'esperienza nell'Arte Programmata, privilegiata la ricerca sugli oggetti e sui materiali, si è interessato ad un recupero del fare artigianale. Per Richard-Ginori ha messo a punto cinque oggetti dalla sofisticata sottigliezza plastica e dal mutevole gioco di luci e di ombre, a derivazione certo dal suo specifico formale, l'abile conoscenza dell'argento, che hanno suggerito una loro concretizzazione in Bone china, impasto particolare, trasparente, sofisticato il processo tecnologico per la sua formatura e cottura, bianco caldo e delicato il suo colore sottolineato da uno smalto trasparente – la «coperta» – che ricorda gli argentei sfavillii.

Candido Fior, allievo di Alessio Tasca che opera a Nove di Bassano, da sempre «terra di ceramica», da quella poco lontana S. Martino di Lupari propone invece, fin dal decennio Sessanta, piccoli oggetti di serie, artigianali, realizzati con terre di pietra diversa, raffinatamente coniugate attraverso affascinanti e «storici» procedimenti e cotte poi tradizionalmente in un forno. Forme zoomorfe che ritornano ora in alcuni «contenitori» in porcellana, mentre i vasi riportano a memorie fitomorfe così come i vassoi che si propongono con una morbida autonomia plastica, oggetti/sculture.

Aldo Rossi, infine, ha riportato anche nel disegno dei pezzi in porcellana che ha firmato il rigore e la semplicità compositiva della sua ricerca, il «classicismo» dei suoi interventi edilizi e della serie di oggetti d'uso quotidiano che ha realizzato. E non ha rinunciato alla definizione di micro architetture, utilizzando i volumi geometrici di base, la sfera, il cubo, il cilindro, il cono che si compongono e si sovrappongono in diversi rapporti a delineare elementi quotidiani – contenitori, vasi, brocche –, a costruire un immacolato e rigoroso paesaggio dalle fredde ombre. Elementi tutti che – per scelta – non sono invenzioni ma sempre e solo di riferimento a ciò che, nel passato, è stato fatto.
Una costante, in fondo, e lo si può a questo punto sottolineare, dell'insieme dì queste nove proposte: che confermano, comunque, come, anche per tipologie consuete, il coinvolgimento e la riflessione degli operatori del progetto porta ad una qualificazione «contemporanea» dell'oggetto d'uso più quotidiano grazie ai diversificati ritmi della creatività.

Anty Pansera
Critica e Storica dell'Arte e del Design

settembre 1990 



Anty Pansera. Milanese, laureata in Storia della critica d'arte all'Università Statale, dal 1996 al 2008 ha insegnato «Teoria e storia del disegno industriale» al Politecnico. Dal 2001 insegna all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel febbraio 2010 è stata nominata Presidente dell'I.S.I.A. (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Faenza. Nell'aprile 2010 è stata cooptata nel board dell'FHD, Fundaciò Història del Disseney (fondata a Barcellona nel 2007). Ha partecipato alla costituzione dell'Associazione D come Design e ne è stata eletta presidente. Critico e storico dell'arte e del design ha pubblicato numerosi studi sui temi del disegno industriale e delle arti decorative/applicate, recuperando le radici della loro diffusione moderna nelle Biennali di Monza e nelle Triennali di Milano: il primo, Storia e cronaca della Triennale, Longanesi 1978. Ha curato numerose rassegne e convegni sulle arti decorative e sul design e affrontato nuovi media quali il video e il CD rom (anche per la Regione Lombardia, 1995). Con Victor Margolin e Federick Wildaghen ha progettato e realizzato il primo Convegno Internazionale degli storici del design, Tradition and Modernism: design 1918-1940, Milano, Museo della Scienza e della Tecnica, maggio 1987 e ne ha curato gli Atti (L'Arca edizione). Ha collaborato e collabora a quotidiani italiani («Il Giorno», «II Sole 24 ore», «Il Mattino» di Napoli), a periodici di politica culturale («Il Moderno»), e a riviste italiane e straniere del settore.


RICHARD-GINORI DOMANI NEI PROGETTI DI NOVE DESIGNER
di Marco Cocchi

Nell'ormai lontano 1985, mentre si compivano 250 anni dalla fondazione della Manifattura di Doccia, si venivano contemporaneamente a concretizzare, con un nuovo management e nuove prospettive, le possibilità di un rilancio della «Richard-Ginori». Ci si trovò quindi nello stesso tempo a dover impostare il futuro della Società ed a dover celebrare un anniversario testimone di un lungo e glorioso passato; l'una cosa non era concettualmente in contraddizione con l'altra, ed anzi, ci sembrò che esistessero alcuni importanti elementi di convergenza.

La porcellana infatti è un materiale «vivo» che trae validità dalla sua capacità di «adeguarsi», di saper interpretare il gusto e le aspirazioni di un'epoca e di un ceto sociale; e ciò perché si esprime proprio nei momenti «dello stare a tavola» quando la partecipazione del singolo è più diretta e più forte e può trarre motivazione da quei valori antichi e forse subconsci per cui proprio nella convivialità trovano compiuta espressione l'amicizia, la comunicazione con gli altri, l'aspirazione al bello, la soddisfazione del gusto. In altre parole i servizi da tavola in porcellana prodotti nel passato traducono con viva immediatezza un'immagine dei tempi, delle epoche, delle culture: dal fasto e l'opulenza delle corti del '700, alla ricchezza ed alla ricerca culturale dei ceti emergenti del periodo Napoleonico, al «decoro», al pezzo «funzionale» ed alle raffinatezze accademiche dell'800, fino allo spirito nuovo ed ai preziosismi del Liberty, fino all'Art-decò ed ai primi tentativi di design industriale.
E se questa immediatezza di rappresentazione è comune a tutte le porcellane di tutte le fabbriche e dei vari paesi, ciò è tanto più vero per Ginori: che infatti, non solo è fra le più antiche manifatture europee (seconda solo a Meissen), ma è l'unica che da sempre è stata una fabbrica privata ed ormai da 255 anni si mantiene, si aggiorna ed opera finanziandosi e facendo ricchezza solo col produrre e vendere porcellana; cosa ovviamente possibile solo producendo e vendendo quello che è richiesto dal mercato e che meglio si adatta ai gusti delle varie epoche; in altre parole già facendo correttamente del marketing, sia pur molto «ante litteram», quando il vocabolo era ben lungi dall'essere inventato.
Nel dopoguerra ci siamo trovati per anni e decenni in una situazione tumultuosa e disordinata a cui concorrevano la caduta di tanti valori ed il prepotente farsi avanti di nuove filosofie, la fame indiscriminata di prodotto dopo tante distruzioni, l'emergere di nuove classi sociali e di nuove esigenze e contemporaneamente le impietose riduzioni di personale nelle fabbriche, lo sviluppo della meccanizzazione, la costruzione di nuove realtà aziendali e la necessità di far fronte alla concorrenza di civiltà industriale più avanzate in un mondo in cui progressivamente cadevano i vincoli di frontiera. Questa situazione di estrema tensione, che particolarmente in Italia era complicata nelle fabbriche da una lotta dura per la sopravvivenza, combattuta giorno giorno, e dall'impossibilità di azioni in prospettiva di più lungo respiro, si rifletteva puntualmente nelle tipologie della porcellana prodotta da Ginori: malgrado importanti ma sporadici risultati dovuti all'estro ed all'iniziativa dei singoli, malgrado la consueta eccellenza qualitativa derivante dalla tradizione, c'era una certa difficoltà nell'adeguarsi al design contemporaneo e alle sue forme di espressione e queste difficoltà trovavano nuovi ostacoli nella consolidata cultura aziendale e nella mentalità dei tecnici e delle maestranze.

Conclusa questa lunga introduzione, che può sembrare, ma non è una divagazione, torniamo con più attenta consapevolezza al 1985, ed alla necessità di allora di trovare elementi di convergenza fra la celebrazione del passato e l'impostazione del futuro: con una lunga serie di riflessioni e di proposte, concludemmo tout court che la migliore celebrazione del passato era impostare il futuro con la stessa consapevolezza culturale al «contemporaneo», la stessa semplicità e la stessa coerenza, che i nostri predecessori avevano avuto per la loro epoca: da questa impostazione nacquero diverse iniziative, dai contatti con le Scuole d'Arte e le Accademie, di concorsi nazionali ed internazionali di ceramica di cui la Società si è fatta portatrice, alle mostre ed esposizioni organizzate od impostate (Giò Ponti, gli Etruschi, Gariboldi, S. Cristoforo, ecc.), ai rapporti instaurati in continuità con architetti, designer, stilisti, allo studio industriale di un prodotto «nuovo» come la Bone-China per allargare la gamma materica in cui esprimersi ed infine all'iniziativa che oggi presentiamo: l'invito a nove maestri del design italiano a progettare per noi i prototipi degli «oggetti e del servizio da tavola del futuro» come ognuno di loro li vedeva e li sentiva. Ci rivolgemmo all'architetto Luigi Massoni che ci seguiva e ci aiutava da tempo, per individuare fra i tanti designers che hanno diffuso il «design italiano» nel mondo, alcuni nomi significativi disposti a sentire il problema ed a lavorare con noi; ecco i nomi: Marco Albini/Franca Helg/Antonio Piva, Sergio Asti, Achille Castiglioni, Gianfranco Frattini, Angelo Mangiarotti, Enzo Mari per il servizio da tavola; Gabriele Devecchi, Candido Fior, Aldo Rossi per gli oggetti. I sei contratti del tavola ed annesse lettere e briefing prevedevano formalmente:
  • un servizio d'uso, innovativo rispetto alla gamma Richard-Ginori ed alla concorrenza internazionale, coerente col prestigio Richard-Ginori, allineato qualitativamente ai più qualificati produttori internazionali, progettato per un processo il più possibile meccanizzato;
  • una iniziale progettazione limitata a cinque modelli (a nostro parere tali da caratterizzare sufficientemente il servizio) che avrebbe avuto il suo punto focale in una mostra specifica;
  • un completamento del progetto per la produzione in serie qualora Richard-Ginori lo avesse giudicato opportuno.
Ed analogamente prevedevano i contratti per gli oggetti. Ma al di là dei termini contrattuali, al di là di eventuali prospettive di produzione industriale e di successo commerciale, la prima finalità del nostro rapporto era nel rapporto stesso: era il lavorare con i Designer, condividere con loro le soluzioni per i singoli problemi o dettagli di progettazione, cercare di capirne le motivazioni, cercare di apprendere qualcosa di cultura della progettazione contemporanea e di acquisire in questo campo quella sensibilità molto spesso istintiva, che tutti noi già possedevamo per il tradizionale.

Credo di poter dire che sia io (che ho curato di persona ogni rapporto) che i mei collaboratori di Doccia e Laveno, ci siamo messi a questo lavoro con entusiamo e con la più ampia disponibilità ad apprendere ed adeguarsi; in tre anni, che tanto è durato il lavoro in comune, abbiamo tanto parlato e tanto discusso, ed abbiamo dato tante informazioni sulla porcellana e sui suoi processi di produzione, ma credo di poter dire che non abbiamo mai interferito, che non abbiamo mai cercato, nemmeno indirettamente, di suggerire una soluzione, di manifestare le nostre preferenze o di suggerire le tendenze del mercato: ci siamo imposti con grande rigore esclusivamente la parte dei tecnici e degli esecutori.

E credo anche che in questo modo (che in alcuni casi ci è costato tanta fatica) non solo abbiamo noi appreso il massimo, ma possiamo oggi presentare al meglio quanto ogni singolo designer, senza condizionamenti di alcun genere, ha voluto trarre dalla porcellana, lo non voglio a questo punto entrare nei particolari dei progetti, né perdermi nei labirinti delle esegesi dei parallelismi e dei giudizi. Voglio solo dire quanto sia grato a tutti per il tempo che hanno dedicato al nostro progetto, quanto sia contento di aver potuto vedere tanti professionisti durante l'azione e quanto sia contento anche dei risultati che oggi presentiamo; in un tempo ragionevole, pensiamo di completare e di mettere in produzione tutti i progetti realizzando quindi totalmente quanto era stato previsto nell'85 solo come un'ipotesi eventuale; e dirò che anche da un punto di vista umano questo rapporto è stato oltremodo gratificante; non che i «9» siano tutte personalità gradevoli o esenti da difetti umani, ma tutti hanno un mondo interiore complesso ed interessante e forse per il fascino della porcellana, forse per la leggerezza dell'impegno e la libertà loro concessa, credo che tutti abbiano finito un po' per divertirsi e per esprimersi nel loro aspetto migliore.
Nel frattempo, anche il nostro Centro Design ha proseguito a progettare e ad innovare il nostro assortimento: ed i più importanti interventi di questi anni sono i servizi IL, LA, Costellazioni, Lago, oggettistica varia: io confido che nel futuro una rivisitazione critica della vivacità innovativa e propositiva che abbiamo dimostrato in questo periodo, possa rilevare un miglioramento del nostro livello espressivo e possa trovare collegamenti con il lavoro che oggi presentiamo.

Non posso concludere altro che ringraziando e ricordando con simpatia tutti i nove designers; e mi sia consentito di uscire dal riserbo asettico che ho finora tenuto per esprimere un ricordo commosso ad una grande personalità: Franca Helg; malgrado le poche e forse banali cose che ci siamo detti, in ogni momento in cui sono stato con Lei, è sempre stata presente l'impressione di trovarmi davanti ad una grande signora, ad una grande persona quali tutti, nei nostri momenti migliori, vorremmo essere.

Marco Cocchi
Direttore Generale Porcellane Richard-Ginori spa 
settembre 1990 


NOTE IN MARGINE AI NOVE PROGETTI PER RICHARD GINORI

MARCO ALBINI / FRANCA HELG / ANTONIO PIVA
Antonio PivaFranca HelgMarco AlbiniCome nasce un'idea? Come diventa forma e materia?
Se il primo pensiero giace nella memoria lontana e rimbalza da tempo alla ricerca di una occasione per venire alla luce, non è difficile dargli forma plasmando la sua stessa materia. Il pensiero, in questo caso, lavora da anni, ha accumulato sensazioni ottiche, tattili, soprattutto ha elaborato confronti, successioni, brani di storia, usi, abitudini, aspirazioni tecniche e quanto altro appartiene al mondo della conoscenza e della sfera emotiva.
Se la prima idea, invece, nasce dall'immediatezza di un problema, il più delle volte ha bisogno di essere decantata, ripulita, trovare l'essenzialità, le sue ragioni di leggerezza e la naturalezza della sua forma nella materia che la realizza. I piatti, le tazze, le chicchere, le zuppiere, le cuccume della serie in porcellana bianca credo appartengano ai pensieri che giacevano nella memoria lontana.
Le forme sono costruite geometricamente, formano volumi, superfici che si assottigliano ai bordi per sfumare e si ingrossano dove la presa richiede consistenza.
La porcellana bianca, più di ogni altra, mostra le sue linee generatrici, che poi il decoro, in parte, sfumerà per raggiungere altri effetti cromatici. Non è da escludere che la geometria di queste forme sia nata un giorno osservando la foglia secca di un albero di magnolia. Certo, le linee curve della foglia si intersecano lungo un asse...


SERGIO ASTI
Sergio AstiCredo che sia sempre molto difficile parlare del proprio lavoro: l'esprimere il «perché», descrivere le «strade percorse»... Parlo per me, beninteso, ma anche in questa occasione, oggi, provo una sincera e disarmante difficoltà. Il nostro, di progettisti, è un lavoro che a differenza di altri non sente la necessità di ricorrere alle parole, alle spiegazioni, o, peggio ancora, addirittura alle giustificazioni, ma si esprime attraverso immagini, colori, materiali. Vive attraverso la ragione ed il rigore ed una costante autocritica, si capisce, ma vive anche attraverso l'intuizione, attraverso le sensazioni che nascono dalle superfici e le emozioni che nascono dal guardare e dal toccare (oltre che, beninteso, dall'usare). Vive anche attraverso l'allegoria della rappresentazione e dei simboli e attraverso le metafore e l'allusione (non illusione). Vive anche con la memoria e con i sogni di ciò che siamo stati o avremmo voluto essere. Vive anche attraverso nuove avventure espressive, nuove esperienze estetiche. Vive anche attraverso percorsi antichi e talvolta misteriosi, attraverso la memoria di forme e tecniche antiche, attraverso il ricordo di ciò che ci ha anche solamente e inavvertitamente sfiorato (lasciando tuttavia un segno per sempre). Vive anche attraverso l'ineffabilità dei sentimenti, delle passioni, delle emozioni. Ecco perché credo che sia difficile, da parte mia, dire qualcosa del mio lavoro, ed in particolare di quanto fatto per questa occasione. Ognuno di noi dispone di un alfabeto e, in seguito, da grande, di un lessico (del tutto personale) che si compone e si scompone continuamente. Se l'alfabeto è uno strumento oggettivo e meccanico, messo a disposizione gratuitamente, il nostro lessico riflette il nostro mondo, le nostre ansie, le nostre fatiche. Ed è, sempre, molto, molto costoso.
Lo spazio per l'immaginazione, o per l'immaginario, lo spazio per tutto quanto non si riconosca in uno stereotipo codificato e immutabile, è grande o infinito, a seconda dei casi. È uno spazio che è parte integrante del nostro lessico, anzi lo definisce.
Il nostro lessico, che è poi il nostro modo di essere, è quindi difficilmente riducibile ad una interpretazione unidirezionale, ad una univocità geometrica, ma deve essere invece inteso e scomposto come un codice. E quindi va decifrato.
Che spiegazione dare, quindi, nei dettagli, di questo mio lavoro? Come parlarne? Forse è più ragionevole che altri «leggano» e «decifrino», ed altrettanto più ragionevole che tutti questi oggetti vadano per la loro strada senza alcun supporto.
Così come sono: scintillanti e festosi, perché pensati e realizzati non solamente per soddisfare le nostre necessità fisiche, ma anche per portare gioia, per suscitare emozioni, perché si lascino guardare e toccare e desiderare, e perché si possano ricordare a lungo. Come succede con una bella donna. E così sia.


CANDIDO FIOR
Candido FiorLa materia come essenza dalla quale dar vita a nuove forme, dove trasferire la propria interpretazione delle cose, è all'origine del discorso «creativo».
La scelta dell'argilla come materia prima per far vivere gli oggetti da me creati e modellati a mano, permette, grazie alla sua plasticità, di esprimermi al meglio.
Ecco come l'incarico della Richard-Ginori di studiare nuove forme da realizzare in porcellana, una materia che di per sé si presenta «rigida e fredda» rispetto alla terracotta, è diventato per me «una sfida».
Ha significato uno studio sui volumi e sull'equilibrio di rapporti compositivi, messi in evidenza dalla porcellana bianca, e, soprattutto, ha cambiato il rapporto con l'oggetto non più prodotto artigianalmente, ma affidato alle mani esperte di un'azienda industriale.
Ecco come dalla purezza della porcellana bianca hanno preso forma cinque oggetti.
Canne d'organo. «L'ispirazione è nata dalle "pive" in legno di ontano che creavo da bambino e che ancora oggi i ragazzi della mia zona continuano a fare». Questo richiamo all'infanzia e alla tradizione che continua ad esprimersi attraverso la produzione di oggetti semplici ma gioiosi, subisce l'impatto di precisi rapporti matematici fra i diametri, le altezze, le strombature, per dar vita ad una nuova versione interpretativa dalle forme nette e precise delle canne d'organo. La porcellana bianca ne esalta le linee e le trasforma in oggetti luminosi.
Vassoio. La forma è a losanga, la forza ispiratrice è sempre la natura; ecco come una foglia con gli estremi tagliati, con al centro un grappolo a rilievo, si trasforma in un vassoio che vive attraverso i giochi della luce riflessa.
Incudine. L'interpretazione di un oggetto comune, l'incudine, creata in una materia diversa, la porcellana, partendo dai tre volumi di base che la caratterizzano: il cono, il prisma ed il cubo centrale. Da quest'ultimo in particolare si sviluppa questa figura costituita da due elementi sovrapponibili con molteplici combinazioni di forme e volumi. In particolare l'elemento a cuneo riporta una incisione a «croce» che ne mette in evidenza la peculiarità.
Talpa. Come nelle favole dei ragazzi, la talpa bruna e grigiastra esce dalla tana e si trasforma in una bella scultura candida e piena di luce. Il mondo degli animali offre spazio alla fantasia.
Orma. Ritornare sulle proprie orme e fissarle in un oggetto che si trasforma in contenitore quasi a racchiudere il cammino percorso potrebbe essere un'interpretazione a questa singolare scultura. Il coperchio che si rastrema in un'ampia cuspide, offre ampie superfici lisce dove i giochi di luce della porcellana si incontrano.


ACHILLE CASTIGLIONI
Achille CastiglioniServizio per la tavola:
la caratteristica formale è evidenziata dalla forma circolare e le dimensioni sono state scelte tra la normale e tradizionale produzione di uso domestico e alberghiero.
La progettazione ha tenuto conto di spessori piuttosto alti per una maggiore robustezza. Il componente principale di progettazione va individuato nel labbro esterno, che, oltre ad essere piuttosto sviluppato, è stato disegnato con un cordolo in rilievo verso l'alto in modo da formare una linea di barriera alle dita durante l'azione del porgere. Tale soluzione del labbro è applicata a tutti i pezzi che compongono il servizio e con la medesima logica fino al contorno della zuppiera e della scodella.
Il servizio per la tavola si compone di: piatto piano; scodella; piatto fondo; piatto frutta; piatto ovale; piatti da portata; zuppiera.
Servizio per il té:
la tazzina da té e la forma della teiera ricalcano mediamente le forme dei tradizionali servizi. Il manico della teiera è disegnato da una semplice porzione di cerchio a sezione costante (impugnatura per la mano). Il manico della tazzina da té è di disegno circolare, così come la presa del coperchio della teiera (per la presa delle dita).


GABRIELE DEVECCHI
Gabriele DevecchiCinque oggetti diversi ognuno legato ad un suo principio ordinatore o un progetto unico espresso da cinque momenti – forma? A posteriori potrebbe apparire un falso dilemma, probabilmente l'una e l'altra via condurrebbero a cinque oggetti diversi, come l'incarico richiedeva.
Ma probabilmente non si tratterebbe della stessa diversità per il modo di usare il tempo nei due approcci. Il primo modo implica una diversità basata su un tempo esclusivo e «individuale», incorporati nell'oggetto, che diventa, un fatto autonomo inserito nel fluire della storia con lo stesso passo con cui si formano e permangono le tradizioni. Il secondo approccio stacca dal tempo un periodo finito ed omogeneo che unifica le cinque diversità come loro matrice producendo un unico fatto isolato e discreto nel tempo e nello spazio. Ho adottato l'ipotesi della diversità e autonomia spiengendole fino a contemplare la possibilità di configurare oggetti prodotti da menti diverse, immaginando di portare al pubblico testimoni di tempi variamente collocabili dentro i tre secoli delle tradizioni della porcellana. Cinque oggetti diversi per forma, tipologia e tempo, cinque modi diversi per raccontarli uno per uno.
Rombo – contenitore pensile – è una piastrella a tre dimensioni, cava all'interno che può vivere sola o con sue simili, determinare per accostamento diverse configurazioni, fino a coprire una parete e più di una maglia plastica a losanghe.
Il delicato gioco di luci ed ombre sul bianco porcellanato, da configurazione può trasformarsi in fondo per ulteriori configurazioni per mezzo di inserti floreali, panneggi e quant'altro possa trarre beneficio dal rigoroso ordine della maglia rombica.
Vento – caraffa – nasce da un volume verticale di liquido contenuto fra due superfici curve opposte specularmente. Il volume in stato di quiete si spezza e inclina nella sua metà superiore per un «colpo di vento», protendendosi ad indicare e permettere l'atto del versare. Le quattro dita della mano, trapassando il volume liquido inclinato lo trattengono dal cadere, formando la presa del contenitore-brocca.
Quattro/Tre – contenitore per frutta. L'instabilità compositiva del quattro del quadrato con il tre del triangolo scaleno. La regolarità probabile del rilievo a perimetro quadro destabilizzata dalle tre depressioni irregolari del triangolo che offrono alla luce raccordi di tensioni plastiche differenziate. Altro modo di descrivere: invaso di pianta quadrata con concavità irregolare ottenuta dalla pressione sul piano delle tre dita della mano, pollice, indice e medio, fino all'incontro di un piano parallelo sottostante. Altra descrizione: piano quadro fissato in tre punti ad un piano sottostante, per sollevamento regolare dei quattro lati si vengono a formare tre piedi di appoggio di un invaso contenitore.
Lente – vaso da fiori – è la forma della goccia d'acqua raccolta sul piano. Due gocce uguali, tra loro opposte, unite per la parte piana, cristallizzate in superficie vengono a costituire il guscio che racchiude l'acqua in cui si immerge il gambo dei fiori, che è nutrimento e contrappeso delle floride corolle. Bianca e translucida, di forma autonoma e regolare, ma pronta ad accendersi di riflessi policromi. Cornice, fondo, base, contrappunto delle libere, variegate, imprevedibili ed incontrollabili configurazioni floreali.
Vite – candeliere componibile a più stadi. Lume di candela e luce elettrica, candeliere isolatore e mezzo di trasporto della luce di candela e «isolatore» di porcellana isolante e trasportatore di corrente elettrica. Analogie, gratuite associazioni di immagini? Forse. Ancora, la bugia a molla per sollevare la candela al suo consumarsi mantenendo così costante la sua altezza d'emissione luminosa. Un archetipo? Forse.
Vite si forma componendo un modulo cilìndrico con «anello di Saturno», sovrapponibile e ruotabile. Diverse altezze sono raggiungibili in rapporto all'uso e alla collocazione voluta della fonte luminosa, così come variabile, a seconda del reciproco rapporto tra i diversi anelli obliqui, può risultare percettivamente l'oggetto, anche in ragione dello spostamento di chi guarda.


GIANFRANCO FRATTINI
Gianfranco FrattiniIn un tema come quello della progettazione di oggetti per la tavola in genere, e di oggetti in ceramica e porcellana in particolare, dove è facile cadere nella tentazione del decoro fine a se stesso, ho cercato, nel pensare gli elementi della collezione qui presentati, di partire dall'analisi della loro funzione. I risultati formali ed estetici sono, in tal senso, la risposta ad una serie di problemi funzionali che mi sono posto nel ripensare ad oggetti d'uso comune, nella convinzione che, come spesso accade, la bellezza di una forma derivi sostanzialmente dalla sua utilità e razionale impostazione.
L'inclinazione a 45° delle basi d'appoggio si ripete costante in tutti gli elementi e permette l'incastro reciproco. Tra piatto e piatto fondo, come tra tazza e piattino, si viene così a creare una continuità di forme che ovvia alla mancanza di stabilità nella sovrapposizione. Le impugnature sono staccate mediante un distanziatore dal contenitore che risulta così leggibile nella sua geometria. Questo accorgimento ritarda la diffusione del calore e permette una presa più sicura. Il particolare disegno del beccuccio nella teiera è studiato per impedire la dispersione del residuo liquido che si produce alla fine del versamento. Tutti i coperchi sono inoltre dotati di elementi che sostituiscono la maniglia e, oltre a permettere il sollevamento, servono come appoggio al dito pollice offrendo, sia durante gli spostamenti sia all'atto del versamento, maggior sicurezza di presa. Piatti e piattini sono dotati di un bordo rialzato che consente di evitare la dispersione del contenuto.


ANGELO MANGIAROTTI
Angelo MangiarottiAlla base della mia attività progettuale ho sempre collocato la ricerca di una espressività linguistica congruente alla funzione dell'oggetto e ai materiali utilizzati per la sua realizzazione. Coerentemente a questa impostazione teorica, l'utilizzo della porcellana nella realizzazione di oggetti d'uso per Richard-Ginori, ha costituito ancora una volta l'occasione per identificare nel materiale e nelle relative tecnologie produttive, nella funzione e negli aspetti ergonomici i segni di un corretto linguaggio e per esprimerli, attraverso un processo di sintesi, con una forma. Questa affermazione potrebbe indurre a un determinismo che considera le forme progettate una pura casualità rispetto agli elementi che ne consentono il concretarsi. Al contrario ritengo che analizzare e conoscere in modo approfondito il materiale e la funzione dell'oggetto sia l'unico percorso progettuale percorribile per andare oltre la funzione attribuita all'oggetto e nello stesso tempo per superare le caratteristiche chimico-fisiche del materiale.
Non si tratta tanto di riproporre il motto "la forma segue la funzione" quanto di progettare delle forme che siano il risultato di una sintesi di tutti gli elementi materiali, funzionali e simbolici che concorrono nel progetto. Il problema diventa allora quello di riuscire, rifacendosi a una espressione con la quale Theodor W. Adorno definiva i limiti della libertà progettuale, a "innervare" la materia attraverso una interpretazione culturale che riguarda sia le caratteristiche tecniche sia il contesto fruitivo con il quale l'oggetto deve confrontarsi.
L'impiego dei materiali ceramici mi ha sempre affascinato. Fin dalle prime sperimentazioni che ho condotto nel 1964 il mio tentativo è stato quello di cogliere all'interno delle diverse tecnologie di produzione del materiale quelle sfumature che consentono una evoluzione del discorso espressivo attraverso il disegno delle forme. L'utilizzo di materiali dotati di peculiari caratteristiche, anche se simili tra di loro nella sostanza, come per esempio la terra di Vicenza, il vitreous china, la porcellana e l'approfondita conoscenza delle tecnologie di produzione costituiscono i punti imprescindibili per la ricerca della evoluzione formale.
Questa continua tensione tra elementi singolari ed elementi comuni all'interno di quella che usualmente viene definita ceramica, ha consentito di realizzare serie di oggetti come variazioni intorno a uno stesso tema. In ogni progetto, pur partendo da un bagaglio di conoscenze e di esperienze consolidate, è presente il tentativo di cogliere tutte le possibilità legate alla funzione dell'oggetto e tutte le potenzialità del materiale per definire attraverso la loro sinergia un linguaggio che, se non può ogni volta essere inedito, presenti sempre comunque una sua precisa autonomia rispetto alle sperimentazioni precedenti.
È il caso degli oggetti in porcellana proposti a Richard-Ginori dove le forme, a partire dalla teiera fino ai piatti e alla zuppiera, assumono un carattere sempre più sintetico rispetto al materiale, alla funzione, all'ergonomia, agli aspetti simbolici. Nella teiera il manico, realizzato portando al limite le caratteristiche di resistenza meccanica della porcellana, è caratterizzato dall'impronta ergonomica. Esso tuttavia non viene proposto più come elemento autonomo accostato ma come parte integrante della forma dell'oggetto. L'impronta ergonomica entra così in risonanza con il profilo curvilineo esaltando nell'insieme la plasticità del materiale. Anche il coperchio perde la sua autonomia. Esso completa il manico e nello stesso tempo la geometria del manico ne facilita la trattenuta nell'atto del versare. Infine l'inclinazione dell'asse dell'oggetto nella direzione del versare completa da un punto di vista simbolico l'oggetto qualificandolo da un punto di vista comunicativo (l'inclinazione richiama l'immagine del versare e dell'offrire) rendendo così superflua qualsiasi decorazione. La stessa logica progettuale caratterizza la tazza, i piatti e la zuppiera. Nella tazza si ripropone il tentativo di sintetizzare all'interno della forma l'elemento funzionale dei manici. Il risultato è un oggetto caratterizzato da una particolare flessibilità fruitiva. Esso può essere infatti utilizzato afferrando uno dei manici sia con la mano destra che con la sinistra, secondo la cultura occidentale, oppure avvolgendo le mani intorno alla tazza, riproponendo così una ritualità propria della cultura orientale. Nella tazza è inoltre possibile osservare la risoluzione di una duplice relazione: quella tra uomo e oggetto (la mano e la tazza) e quella tra oggetto e oggetto (la tazza e il piatto). Per quanto riguarda questo secondo aspetto, la sezione avvolgente del piatto che non è altro che la controforma della tazza consente la stabilità della tazza anche in precarie condizioni di equilibrio.
I piatti e in particolare la zuppiera sono gli oggetti in cui la sintesi formale ha raggiunto la sua massima efficacia.
In essi infatti il rapporto dell'oggetto con la mano ha rinunciato completamente alla sua rappresentazione formale. II punto di contatto tra l'oggetto e la mano è costituito dal risvolto del bordo che, ripiegato verso il basso crea un incavo che consente la presa e nello stesso tempo realizza un'inedita continuità formale tra l'oggetto e il piano di supporto. Anche in questo caso le parti dell'oggetto vengono comprese all'interno di una forma che risulta unica. E, se nel caso della zuppiera si è trattato di riproporre un tema ormai collaudato, nel caso dei piatti questo tema ha assunto una connotazione innovativa.
Il piatto piano e il piatto fondo infatti, pur nella loro autonomia formale, una volta impilati, costituiscono due parti complementari di quello che appare come un unico oggetto. I piatti e la zuppiera intendono anche affrontare il tema della organizzazione della produzione attraverso la creazione di famiglie di forme. Si tratta di una conseguenza dell'approccio teorico che considera la forma come sintesi tra funzione, aspetti ergonomici e caratteristiche dei materiali. Esprimendo nella forma la funzionalità e le caratteristiche del materiale è infatti possibile ricondurre a una certa similitudine formale oggetti tra di loro differenti. Anche in questi nuovi oggetti è quindi possibile cogliere una estrema attenzione alle forme attraverso lo studio della funzione, della plasticità del materiale, delle reciproche relazioni tra fruitore e oggetto e tra oggetto e oggetto. Ed è proprio in questo complesso intreccio di fattori che si concreta il contatto tra ricerca plastica e progettazione di oggetti d'uso, tra espressività formale e caratteristiche del materiale utilizzato.


ENZO MARI
Enzo MariIl Dottor Cocchi mi chiede di progettare un servizio di piatti (la stessa domanda viene fatta contemporaneamente ad altri progettisti). I modelli richiesti sono il piatto, la fondina, la zuppiera, e un servizio da té. La tipologia è volutamente ristretta poiché l'obiettivo primario non è la messa in produzione effettiva del servizio ma è invece quello di verificare (da qui la ragione della scelta di molti progettisti) la cultura del design: la Richard-Ginori negli ultimi decenni non ha avuto bisogno di tale apporto. L'unico vincolo dato è quello della catena di produzione, che realizza mediante tornitura su stampo rovescio i piatti. (Le fabbriche Richard-Ginori possiedono ovviamente anche le tecniche più artigianali di stampaggio a colaggio che sono utilizzate per le forme complesse ma, in ogni caso mai per i piatti, perché sono più costose). È una domanda progettuale anomala. Non devo preoccuparmi di tenere conto del gusto della gente e dei relativi condizionamenti commerciali. Quindi devo comunicare quello che penso del design degli anni '90.
Penso che negli anni '90 ci si sia ridotti a proliferare forme sempre diverse: di ogni tipologia conosco decine di migliaia di progetti ridondanti l'un l'altro, e quindi sempre più degradati, per di più con la pretesa di essere firmati. Un piatto è un piatto. Per gli oggetti di lunga tradizione e di cui non siano emerse tecnologie diverse di produzione e i cui rituali di impiego (rituale è un termine oggi più corretto di funzione) persistano ossessivamente, sì può dire che la forma di tali oggetti, messa a punto da decine di generazioni di progettisti, artigiani, imprese è stata verificata da decine di generazioni di utenti. Quindi si può dire tali oggetti sono progettati perfettamente: mille anni e milioni di cervelli certamente valgono di più del lavoro di un giorno di una qualsiasi griffe, (o qualcuno pensa il contrario?).
Quindi la prima scelta di progetto. Il piatto, la fondina e la zuppiera appartengono ad un rituale diverso nel tempo e nello spazio da quello della tazza da té e della teiera. Ne conseguono due progetti diversi quindi due sistemi formali diversi.
Seconda scelta. I piatti sono torniti quindi anche la zuppiera, solitamente stampata a colaggio, deve poter essere tornita. Ne consegue che una forma tronco-conica è ottimale.
Terza scelta. Mi documento nell'archivio della Richard-Ginori che conserva le migliaia di piatti «diversi» prodotti in questo secolo. Sono sostanzialmente molto simili tra loro e corrispondenti all'immagine archetipa del piatto. Tra tutti ne scelgo rapidamente una trentina tra quelli che più si avvicinano a tale immagine archetipa.
Quarta scelta. Dal confronto di tali modelli tento una sintesi, per quel poco che posso, e definisco le proporzioni che spero ideali. Ne conseguono una serie di prove di fabbricazione che richiedono minime messe a punto.
Quinta scelta. La zuppiera e il suo coperchio: sono ambedue torniti e la forma è in sintonia più che con il piatto «progettato» con la tecnica di esecuzione, ma sto dicendo la stessa cosa.
Sesta scelta. Qualcuno potrebbe obiettare che me la sono cavata con poco. Quindi do dimostrazione di realizzare un secondo piatto con il bordo più ammorbidilo. Corrisponde meno all'immagine archetipa. Ma mi è sembrata l'unica variazione accettabile. (Sto polemizzando con chi utilizza il rapporto forma-funzione a puro titolo decorativo).
Settima scelta. La tazza da té. Visitando il museo storico di Doccia sono stato colpito da una tazzina in porcellana talmente sottile (decimi di millimetro) da essere pressoché trasparente e ahimè fragilissima, realizzata nel '700. In questo caso ho ritenuto giusto rifarmi (almeno in parte) a quella qualità materica: il rito del té rimane oggi comunque nella nostra società un rito aristocratico. Anche questa tazzina è stata pensata per la tornitura. Ho cercato di ridurne al minimo lo spessore ma per renderla meno fragile ho aggiunto delle semplici nervature verticali. L'effetto di trasparenza rimane, anzi è messo in risalto dalle nervature che risultano opache, lo si può apprezzare in controluce o riempiendo la tazza di té.
Ottava scelta. Qualche tempo dopo la conclusione del progetto la Richard-Ginori mi chiede di sviluppare anche le altre tipologie commerciali che costituiscono un servizio di piatti completo. Rifiuto perché tale seconda domanda contraddice quella iniziale finalizzata a fare emergere concetti e non omogeneizzazioni stilistiche. Ritengo che un progetto che debba tener conto dei condizionamenti del mercato debba anche essere svolto su premesse diverse.


ALDO ROSSI
Aldo RossiNel disegno dei pezzi in porcellana, realizzati da Aldo Rossi su incarico della Richard-Ginori, il rigore e la semplicità della composizione che contraddistinguono la sua architettura, dominano il discorso creativo.
Il disegno di Aldo Rossi non è mai fine a se stesso, è sempre architettura perché riflette una condizione, un momento della propria vita, del reale. Il continuo ridisegno di elementi fissi: il cubo, il cono, il cilindro che spesso si compongono, si sovrappongono sino a formarsi elemento reale e quotidiano, danno vita a contenitori, vasi e caraffe. La realizzazione esprime il proprio mondo attraverso l'ordine e la pulizia degli elementi, confermando ancora di più come l'architettura è un fatto inventivo e autobiografico mentre i suoi elementi non possono essere inventati ma sono solo e sempre un riferimento a ciò che nel tempo è stato fatto.
Come asserisce Aldo Rossi: «... gli antichi ricercarono in ogni arte o scienza la verità, che sola è base della tecnica e del bello».






testi: 
Anty Pansera 
Marco Cocchi 
Marco Albini
Franca Helg
Antonio Piva
Sergio Asti
Achille Castiglioni
Gabriele Devecchi
Candido Fior
Gianfranco Frattini
Angelo Mangiarotti
Enzo Mari
Aldo Rossi

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