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 LA STANZA DI SELENE
 Intervista a Marta Sansoni

Marta SansoniTornando a reimmergerci nel filone delle interviste sul design al femminile abbiamo pensato di riaprire la finestra su questa particolare area - assai poco conosciuta e apprezzata - del progetto, con Marta Sansoni (www.martasansoni.com): toscana, architetto, progettista d'interni e designer di un marchio italiano tra i più vitali nel settore cool-casalingo. Nel corso di questa "chiacchierata" avremo modo di scoprire come sono nati alcuni prodotti "storici" firmati da Marta Sansoni per Alessi, ma non solo. L'autrice di bestseller come Cactus! e raffinati oggetti d'arte "popolare" come Tralcio muto e Youspoon ha certo un rapporto speciale con l'estetica, ma dimostra altresì una non comune, tenace e competente cura del dettaglio alle più diverse scale progettuali. Attenzione che si riverbera positivamente sia in prodotti di design industriale, sia in eleganti architetture d'interni sia, infine, in delicate e pertinenti autoproduzioni votate ad arredare un mondo domestico privato tanto inquieto e sensibile quanto rigoroso e cartesianamente lucido ed esatto. Un mondo appassionato, intuitivo e sobriamente decorato che indubbiamente merita d'essere valorizzato e conosciuto nelle sue pieghe più autenticamente intime e contraddittorie assai più di quanto non sia accaduto finora.


 Federica Capoduri:  Partendo dalle tue radici fiorentine, com'è lavorare e vivere in questo ambiente verde e collinare? Ti gratifica la lontananza dai grandi centri urbani del design – dal Grande Centro di Milano, insomma – o a volte può essere un problema?

 Marta Sansoni:  La bellezza del contesto in cui vivo è indiscutibile. Tuttavia, relativamente alla professione, l'area fiorentina, ad eccezione di Prato, è morta, immobile, statica, priva di stimoli e cultura e così lontana dalla mia ambizione. Per questo sempre più spesso mi muovo verso Milano. La lontananza da questa città, soprattutto per il design è un grosso problema. Ne vivo la frustrazione.

 Federica Capoduri:  Nel 1990 sei tra i vincitori del concorso Memory Containers di Alessi, diventando designer per il brand in modo continuativo e ideando numerosi pezzi di successo divenuti popolari nel settore. Per fare qualche esempio, tuoi oggetti progettati per la linea Cactus! sono presenti nei design store di musei come il MoMA di New York, il Museum of Contemporary Art (MCA) di Chicago e il Milwaukee Art Museum (MAM) e il tuo Folpo – sempre per Alessi – è stato anche selezionato nell'edizione 1999 dell'International Design Yearbook. Affinità domestiche, elogio di una convivialità che la cucina riesce da sempre a convogliare a sé... sono solo alcuni degli aspetti che emergono da uno sguardo superficiale. Puoi offrirci qualche dettaglio inedito riguardo questa tua prolifica e importante collaborazione? Non so, aneddoti, scenari e retroscena di un sodalizio la cui durata è certamente inconsueta soprattutto oggi...

 Marta Sansoni:  L'opportunità di partecipare al concorso promosso da Alessi, mi fu data da Remo Buti di cui ero assistente all'Università di Firenze. Fu proprio Buti a segnalarci, in 7-8 designer donna, al Centro Studi Alessi. Riuscii a realizzare il primo pezzo per loro uscendo selezionata dal concorso assieme a un'altra decina di progettiste su circa 150 partecipanti provenienti da varie parti del mondo. Da quell'episodio iniziale, mi sono riproposta, in seguito, all'azienda con altri progetti. Quello che ha portato a questa lunga collaborazione prolifica si deve a due cose, fondamentalmente: alla mia passione unita ad una caparbietà che alcune volte sfiora un tratto maniacale e alla buona disposizione di Alberto Alessi, uomo vitale, gentile, intuitivo.
Nello specifico Folpo fu pensato in un momento difficilissimo della mia esistenza, tanto che lo amo particolarmente perchè da me definito progetto salva-vita, fu una dedizione e un'intuizione che mi assorbirono totalmente facendomi deviare da una strada di forte negatività. Quando la Passione per qualcosa muove la vita.
Per quanto riguarda gli altri progetti realizzati per Alessi, è stata comunque la mia ostinazione e una predisposizione a esporsi a portare il risultato positivo, sempre molto difficile da raggiungere, una strada in salita costante.

 Federica Capoduri:  Nel 2006 hai fatto parte della Nazionale Italiana Design femminile. Leggendo le note d'epoca se ne ricava che l'idea iniziale dei JoeVelluto, ha avuto come sostenitrice entusiasta Cristina Morozzi. L'operazione divertente e leggera non ha forse determinato rivoluzioni nel settore, ma ha contribuito certamente a portare visibilità al giovane design italiano. Che esperienza è stata per te, ma soprattutto qual è stato prima e successivamente il tuo rapporto con Cristina Morozzi? E più in generale quale ruolo ritieni abbia oggi la critica – sia positiva che negativa – sul lavoro e la carriera di un designer?

 Marta Sansoni:  Quella bella esperienza, con grandi aspettative, in effetti, non ha portato molto in termini di vere realizzazioni e obiettivi raggiunti, ma ha iniziato a smuovere un'attenzione sui giovani designer emergenti italiani. Ho conosciuto Cristina, donna colta, non convenzionale, importante giornalista nel settore, molti anni fa quando ero assistente di Remo Buti alla facoltà di Architettura di Firenze. Ho con lei un rapporto empatico che si è rafforzato con il tempo. Credo che la critica sia molto influente sulle sorti di un designer, oltre che, ovviamente, il fatturato legato alla vendita dei suoi oggetti. Nello specifico, cultori della materia come Cristina, hanno un grande peso sulla visibilità e successo del designer.

 Federica Capoduri:  Dal 2007 fai parte del CID - Consiglio Italiano del Design, organo consultivo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Che cosa comporta tale ruolo per un designer? Quanti e quali benefici/servizi un Consiglio riesce a concretizzare nella realtà professionale? Sempre che di professione si possa parlare, perché in effetti i designer non hanno ancora un proprio albo... Qual è – politically correct or not – la tua opinione in merito alla questione?

 Marta Sansoni:  L'essere stata inclusa nel CID è stato per me un momento entusiasmante. L'attenzione a noi riservata dall'allora ministro Rutelli ci ha finalmente fatto sentire giustamente collocati, estremamente gratificati con la previsione di essere ascoltati e produrre insieme qualcosa di necessario per il nostro Paese troppo spesso disattento o indifferente all'estetica contemporanea e ad un linguaggio evoluto. Purtroppo la durata di quel governo è stata breve e il progetto bloccato con la stessa rapidità con cui si è formato. Quello del designer è certamente una professione specifica e importantissima che meriterebbe un riconoscimento istituzionale e quindi la creazione di un Ordine, sempre ammessa la validità degli Ordini, oggi.

 Federica Capoduri:  Nelle tue creazioni non si può non notare da un lato il riverbero formale del bijoux – penso in particolare al raffinato Tralcio muto e la serie Ba-Rock per Alessi – dall'altro una sensibile affinità con le "forme della natura" – ad es. in Oliette, Fior d'olio e la lampada Maggio ideata per Studio Italia Design. Ma pure nascosta sotto una leggera coltre di romanticismo, mi sembra di scorgere anche una genuina voglia di farsi notare. Come per alcuni tuoi pezzi – quasi civettuoli – che mi sembra intendano volutamente proporsi sul mercato a suon di luccichii e occhiolini… Mi sbaglio?

 Marta Sansoni:  Mi sembra che l'analisi sia appropriata! Effettivamente ho una lieve componente narcisistica (ma d'altra parte vorrei sapere chi non ce l'ha tra noi designer/architetti) che mi induce a esibire il progetto e di conseguenza, me stessa. Il linguaggio decorativo mi proviene da una formazione più artistica che da designer formatosi nelle scuole di design. La sensibilità verso gli elementi naturali, tralci, rami, ombre, foglie, texture è una caratteristica propriamente femminile e poetica che ha a che fare anche con la mia passione per il mondo vegetale. Ho infine una forte soddisfazione nell'essere riuscita a spandere questo linguaggio su tutti gli oggetti che ho amato disegnare, dal cestino alla lampada. La mia iconografia.

 Federica Capoduri:  Traspare talvolta anche la riemersione di tonalità più proprie del settore del lusso come nella semi-impuntura di Mateglacè e nel ricamo a stampo di YouSpoon...

 Marta Sansoni:  Non credo che il riferimento sia il settore del lusso, quanto piuttosto l'attrazione per il dettaglio che è per me fondante in ogni progetto, diventando essenziale soprattutto nell'ideazione, per esempio, di una glacette cilindrica, funzionale e minimale che diviene accattivante, ironica e inusuale applicando un decoro-impuntura matelassé, proprio degli imbottiti. C'è anche la volontà, come in Cactus!, di portare la tecnica su acciaio a un limite estremo, un virtuosismo tecnico.
La cura verso il dettaglio cui faccio riferimento, nel cucchiaino YouSpoon diventa significativa per distinguere, personalizzare e firmare il soggetto rispetto alla miriade di cucchiaini presenti sul mercato, soprattutto laddove è stato pensato come oggetto "solitario" cioè, non necessariamente venduto come facente parte di un servito da 6/12 pezzi, ma "il" cucchiaino da borsa. Infine, semplicemente, sono appassionata di texture, leggere ed evocate e di trafori delicati.

 Federica Capoduri:  Dal vassoio all'architettura, la tua esperienza di progettista è sicuramente a tutto tondo. A tuo avviso in cosa si può distinguere il genere di una proposta progettuale; quali le differenze, se ci sono, si riscontrano nell'approccio femminile o maschile? A parità di bravura, quali scelte, quali fatiche, quali soddisfazioni diverse ci possono essere – a partire dall'ideazione, alla produzione, alla comunicazione?

 Marta Sansoni:  Non ho alcuna preferenza tra l'architettura, l'architettura di interni e il design. Veramente, dal "cucchiaio alla città" (tanto per far riferimento ad una citazione famosa) perchè non ci sono veri limiti, reali confini tra l'uno e l'altro e mi sento di passare con naturalezza dall'uno all'altro, con contaminazioni reciproche.
Non so se esiste una differenza nell'approccio alla materia tra uomo e donna. Noto, più che questa, una diversa attenzione e rispetto da parte del cliente, sia privato singolo che azienda, nei confronti delle progettiste donne rispetto ai progettisti uomo. Esistono ancora, sia una discriminazione, che una diffidenza evidenti, alimentate dalla mancanza di cultura di cui questo Paese ha il triste primato. Da questo, proviene un'enorme fatica per riuscire ad avere credibilità e a proporsi. Si presentano momenti di vera, profonda amarezza, purtroppo accentuati dalla crisi economica. Quando riesco a portare in fondo un progetto, che sia di architettura o di design, partendo dalle prime idee, i primi schizzi (sempre rigorosamente a mano), a volte prototipi, foto, presentazione e realizzazione, la gioia è incontenibile.
Purtroppo, a chi fa la mia professione, non è sufficiente pensare a un buon progetto ma occorre vederne sempre la realizzazione. Il progettista ha sempre necessità dell'approvazione sia essa di un produttore, di un mercato o di un pubblico.

 Federica Capoduri:  Si percepisce alla base dei tuoi progetti una sottesa femminilità di pensiero; aggettivo che ho scelto appositamente quasi fosse sinonimo di sensibilità e cura. Correggimi se sbaglio, ma a mio avviso ciò si nota in particolare nella tua comunicazione: una personalizzazione quasi affettiva e intima – materna? – che possiamo riscontrare, ad esempio, nella resa fotografica dei tuoi prodotti. Mi sembra cioè che tu senta queste "creature" come un nucleo allargato di consanguinei e che così, come in un album di famiglia, tu ami presentarli. Quasi che il timbro della relazione che s'è creata fra te e questi "35 oggetti in produzione" – spesso intrecciati, sovrapposti, in un rapporto sfondo/figura, di sostegno reciproco con le tue architetture – rasenti quello che sussiste fra genitore e figli…

 Marta Sansoni:  La tua analisi è incredibilmente calzante e in un certo senso mi mette a nudo. È proprio così, ogni progetto è una mia creatura, che coccolo e di cui amo circondarmi. Ho affetto e non riesco a viverli staccati dal mio mondo stretto, intimo. Tu cogli la cura delle foto dei miei oggetti che infatti ritraggo con passione, personalmente, mettendone in risalto un dettaglio piuttosto che un altro. L'osservazione che spesso mi sento fare è che i miei progetti si riconoscono e questo è per me un grande successo. Amo avere un'iconografia precisa che racchiude tutte le mie realizzazioni/creature: dal cestino, al dettaglio architettonico di un'abitazione.

 Federica Capoduri:  Come una sorta di eccezione che conferma la regola, nella tua produzione di designer ci si imbatte però anche nel trapano TM 531 che hai disegnato per Stayer. Oggetto serio e tipicamente maschile… A proposito, sei a conoscenza di essere una pioniera sul tema o esistono altre designer che si sono occupate della stessa tipologia? Hai avuto particolari pregiudizi da superare nell'ambiente o difficoltà a farti accettare nel tuo ruolo?

 Marta Sansoni:  Non solo ho disegnato quel trapano, ma ne ho progettato anche uno con un wattaggio più potente, insieme ad una smerigliatrice angolare e a una lucidatrice, sempre per Stayer. Non credo che ci siano altri designer donne che hanno affrontato il tema, ma potrei sbagliarmi. Non ho avuto alcuna difficoltà nell'approccio alla tipologia dell'oggetto, anzi è stato divertente, meno faticoso, meno difficoltoso rispetto all'affrontare un progetto per esempio, "alessiano" dove comunque il design è l'anima dell'oggetto, quasi prevalente sulla funzione e il confronto, in termini di linguaggio e originalità, sul mercato, è spietato. La leggerezza con cui ho affrontato l'incarico è dipesa anche dal fatto che il link con l'azienda è avvenuto tramite una società di ingegneria meccanica, la Femto, con cui collaboro da 15 anni. E qui, torna il discorso già fatto dove il mondo maschile è avvantaggiato perchè tenuto in più alta considerazione, senza pregiudizio. In quel caso, la Femto era la garanzia e quindi, paradossalmente, sono riuscita in un progetto appartenente a un ambito esclusivamente maschile. C'è dell'ironia in tutto questo.

 Federica Capoduri:  La tua serie ...Bianco Solo è invece una serie limitata, un'autoproduzione, o cos'altro? Che tipo di progetto è nel suo insieme? Essendo composta da elementi a forma sinuosa e altri più regolari, sembra quasi il frutto di una ricerca volutamente contraddittoria tesa a far emergere note mutevoli, contrastanti da un sostrato pressoché modulare e monocromatico...

 Marta Sansoni:  ...Bianco Solo è un'autoproduzione che ho creato all'affacciarsi della crisi economica che ha investito in pieno soprattutto il mondo dell'architettura e del design. Al grido di... «progetto, realizzo, mi promuovo». È stata un'operazione ante litteram (almeno nel settore) di storytelling, come ora va per la maggiore, infatti c'è dietro un progetto poetico, spiegato all'interno del piccolo e grazioso catalogo (rigorosamente bianco) che accompagna questi delicati oggetti a cavallo tra il design e l'arte. La tiratura dei pezzi è volutamente limitata per inserire l'operazione proprio all'interno dell'arte contemporanea. Sono piccoli contenitori/scultura ottenuti da uno sviluppo casuale, di getto, di volumi geometrici, impreziositi da texture, rilievi evocativi sempre di vegetazione spontanea che fanno parte della mia poetica. Il linguaggio è composto da elementi contrastanti che vanno dalle linee rigide e architettoniche dei contenitori come fossero micro-architetture, a segni dolci evocativi di un mondo forse infantile e romantico. Spigolosità e dolcezza, rigore e poesia. Penso che mi descrivano abbastanza...

 Federica Capoduri:  Come contrappasso segnalarei che in proprio in questi mesi il portabottiglia d'olio Oliette e il tappo dosatore Fior d'olio sono accessibili al pubblico anche tramite il catalogo Esselunga. Sulla questione grande distribuzione e design c'è molto da dire; potremmo parlare e discutere di aspetti – solo per citarne alcuni – come la gestione promozionale e percettiva del prodotto, dei grandi numeri in cui prodotti talvolta di nicchia si trovano improvvisamente "catapultati", del costo/guadagno per le varie parti coinvolte (ivi compresi i consueti punti vendita che, apparentemente, ne fanno parte sono in negativo). Per non parlare dell'effetto cadeau – l'oggetto viene proposto in un catalogo premi, ottenibile con punti fedeltà – e dell'implicito ma innegabile connotato di instradamento al consumo di qualità che la GDO (grande distribuzione organizzata) opera favorendo la distribuzione di settore che poi ne seguirà. Scegliendo di soffermarci sulla parte tangibile – e un po' venale – della questione, vorrei conoscere il tuo punto di vista su questo particolare scenario di commercio. Soprattutto vorrei sapere se e come cambia la vita di un prodotto quando le vendite, grazie a queste occasioni, diventano quantità consistenti. Si può parlare in questo caso di "mutazione" dell'oggetto che, alveandosi sui canali della grande distribuzione ne acquisisce almeno in parte le caratteristiche fortemente "seriali" oppure non se ne contamina affatto l'aura perché questa attiene soprattutto alla forza "autorale" del progetto e al prestigio produttivo dell'azienda?

 Marta Sansoni:  La scelta aziendale di proporre alcuni oggetti ad una catena della grande distribuzione corrisponde a un'operazione furba; sia da parte del venditore che dell'acquirente. Il risultato è comunque ottimo, anche per il designer che incassa le royalties e vede aumentata la propria notorietà. Penso positivo, a riguardo, e non vedo la perdita di valore dell'oggetto. Ne vedo anzi la sua piena riuscita perchè – parlando di produzione industriale –, il maggior successo di un progetto di design è rappresentato dalla più alta tiratura del pezzo in termini numerici. Nello specifico, maggiormente questi due oggetti sono sulle tavole delle persone e più si può parlare di avere centrato il risultato. Operazione ben diversa dal mio ...Bianco Solo che come produzione di "artidesign" prevedeva una tiratura limitata e mirata solo ad alcuni estimatori (forse collezionisti).

 Federica Capoduri:  Ecco, allargando al tema più generale, che tipo di rapporto hai con/verso il mondo autoproduttivo, quali aspettative o dinamiche associ a questo approccio progettuale?

 Marta Sansoni:  Se devo essere sincera penso che, alla fine, quello dell'autoproduzione, sarà un passo inevitabile che per lo meno affiancherà la produzione industriale. La crisi continua, all'orizzonte non si intravede ancora la luce. La frustrazione che deriva dal rifiuto di un'azienda di produrti un progetto, che tu consideri valido, personalmente, non è più molto tollerabile.

 Federica Capoduri:  Non so se sia la parte del tuo lavoro che preferisci o meno, ma vorrei soffermarmi anche sulla tua attività di architetto – di case private, locali e ambienti pubblici, sia in Italia che all'estero. Una cosa che dal nostro particolare punto di vista ho apprezzato è il rapporto che s'instaura fra spazi progettati e prodotti. Come accennato prima, una sorta familiarizzazione procede e si sviluppa dalle architetture fino agli oggetti più minuti. Inutile dire che s'avverte assai bene quanto siano tuoi gli spazi che progetti e che arredi. Non temi di essere troppo presente o troppo esposta? Voglio dire, immagino che lasciare tutto ai nuovi proprietari sia per te quasi traumatico…

 Marta Sansoni:  La cura e la passione che ho nell'affrontare un progetto si mantiene sempre a un livello alto e costante, dallo spazio complessivo, alla piccola fuga tra due materiali, dall'arredo, all'oggetto pensato per quel preciso posto. Questa attenzione porta inevitabilmente a una sofferenza nel momento in cui avviene la consegna di un lavoro realizzato, ai proprietari che lo fanno "loro" e ci inseriscono oggetti spesso non proprio in sintonia con il tuo sentire. C'è un senso del possesso nei progetti consegnati, una volontà di non lasciarli andare via, proprio perchè come dicevi anche tu, considerati creature proprie. La sofferenza si ridurrebbe se riuscissi a consegnare gli spazi che progetto con gli oggetti inseriti, scelti con cura, selezionati tra i miei e non, per avere una sorta di perfetta completezza del tutto (ovviamente ai miei occhi) e una garanzia di non vederne la degradazione e lo snaturamento.

 Federica Capoduri:  Di sfuggita rilevo anche molto distintivo nel tuo lavoro di architetto – una sorta di firma – il fatto che tu sia riuscita a creare un generale comune denominatore su una gamma cromatica che da toni molto chiari si spinge unicamente al bianco assoluto. Quali sono le ragioni di questa scelta?

 Marta Sansoni:  Infatti, ...Bianco Solo. Amo la luce e la luminosità negli spazi, questo, inevitabilmente mi fa orientare verso la scelta cromatica del bianco nelle sue possibili declinazioni. Tuttavia, questo non è il solo motivo, l'altro, sicuramente più nascosto sta nella mia volontà di controllare tutto attraverso il monocromatismo, reso ancora più estremo dal bianco.

 Federica Capoduri:  Per chiudere mi ricollego al tema su cui si fonda questo ciclo d'interviste avviate su IdeaMagazine.net: il design che segue la prospettiva femminile. Cito quindi un brano di Silvana Annicchiarico – curatrice della mostra W. Women in Italian Design alla Triennale di Milano (aprile 2016 / febbraio 2017) cui tu partecipi insieme ad altre professioniste del design espanso contemporaneo –: «Il design italiano nel Novecento è stato un design patriarcale. Lo è stato oggettivamente e indiscutibilmente. Le storie del design riconoscono, se va bene, e nel migliore dei casi, una decina di esempi al femminile. Questa edizione del Triennale Design Museum, la nona, ne documenta centinaia e centinaia. Le donne nel design italiano sono state e sono una presenza quantitativamente e qualitativamente rilevante che è stata di fatto nascosta, rimossa e marginalizzata». Cosa puoi aggiungere, ribadire o contestare di quanto, abbastanza chiaramente, ci fa notare la Annicchiarico? Se vuoi, anche sulla base di esperienze recenti di ricerca dal/al femminile come la mostra Switch On - Dal Manodomestico all'Elettrodomestico curata da Anty Pansera e Mariateresa Chirico.

 Marta Sansoni:  In linea di massima sono d'accordo. Penso però che occorra stare attenti a non emarginarci da sole, a non sottolineare più di tanto la questione con esposizioni al femminile, convegni sul design-donna, mostre esclusivamente al femminile che alla fine vanno ad alimentare, paradossalmente, un terreno di discriminazione. Occorre invece lavorare sodo, per affermarsi, dimostrare e attendere che il tempo faccia il suo corso.


Marta Sansoni Studio
via Luigi Carlo Farini 10 | 50121 Firenze
+39 055 2342127
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www.martasansoni.com




Marta SansoniMarta Sansoni. (Firenze, 1963). Architetto e designer, fiorentina. Progettista prevalentemente d’interni, sia per abitazioni private che per locali pubblici, lavora in Italia e all’estero. Ha partecipato a numerose esposizioni e concorsi nazionali ed internazionali. Il suo progetto intitolato Un edificio per il culto viene pubblicato dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze; selezionato nel 1991 dal Dipartimento di Progettazione per il Salon International de l’Architecture di Parigi, il progetto è esposto nello stesso anno anche al Salone dell’Architettura di Milano e, nel 1992, alla Triennale di Milano. Come cultore della materia ha coordinato seminari presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Firenze nell’ambito del corso di Arredamento e Architettura degli Interni tra il 1990 al 1996. Nel 1990 risulta tra i vincitori al concorso “Memory Containers” di Alessi, diventando designer per il brand inmodo continuativo. Alcuni degli oggetti che ha progettato per la linea “Cactus!” sono presenti nei design store di musei come il MoMA di New York, il Museum of Contemporary Art (MCA) di Chicago, il Milwaukee Art Museum (MAM). L’edizione 1999 dell’International Design Yearbook include nei progetti selezionati per quell’anno il suo “Folpo” per Alessi. Dal 2007 è membro del Consiglio Italiano del Design (CID), organo consultivo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Tra le pubblicazioni e le segnalazioni: [Fratelli Alessi], Alessi: the Design Factory, 2a ed., London, Academy, 1998; Fay Sweet, Alessi: Art and Poetry, New York, Watson-Guptill Publications, 1998; Alberto Alessi, La fabbrica dei sogni. Alessi dal 1921, Milano, Electa, 1998; Charlotte Fiell, Peter Fiell (a cura di), Designing the 21st Century, Köln, Taschen, 2002; Silvana Annicchiarico (a cura di), Animal house: quando gli oggetti hanno forme e nomi di animali, catalogo della mostra (Milano, Galleria della Triennale, 2002), Milano, Charta, 2002; "Marie Claire. Maison", I, 2003, 2 (novembre); Nicola Flora (a cura di), Case d’autore 2: interni italiani 1995-2002, Milano, Motta, 2003; Ado Franchini (a cura di), Bagni, Milano, Motta, 2004; Simone Micheli (a cura di), Negozi, Milano, Motta, 2004; Steven Skov Holt e Mara Holt Skov (a cura di), Blobjects & Beyond: the New Fluidity in Design, catalogo della mostra (San Jose, San Jose Museumof Art, 2005), San Francisco (USA - Ca.), Chronicle Books, 2005; Alessandra Coppa (a cura di), Interni d’autore, Milano, Motta architettura, 2007; Anty Pansera (a cura di), D come design: la mano, la mente il cuore. Dizionario delle designer, imprenditrici e donne della comunicazione 1902-2008, catalogo della mostra (Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali, 2008), Biella, Eventi & Progetti, 2008; Alessandro Mendini (a cura di), Quali cose siamo, catalogo della mostra (Milano, Triennale Design Museum, 2010-2011), Milano, Electa, 2010; David Raizman, History of Modern Design II Ed. – Laurence King Publishing – London - UK, "Papermagazine", n. 31, marzo 2011; Rob Thompson, The Manufacturing Guides – Product and Forniture Design – Thames & Hudson Ltd – London - UK, 2011; Rob Thompson, Il manuale per il design dei prodotti industriali. Materiali - tecniche - processi produttivi - Zanichelli, 2012; “MEZONIN” magazine n. 149 Marzo 2013 - Russia; “Top Fashion Magazine” Autunno-Inverno 2013/2014 Settembre 2013 – Slovakia; “DDN” Design Diffusion News n. 200 Gennaio 2014. Nel 2016 (2 aprile/12 settembre) partecipa alla XXII TRIENNALE INTERNATIONAL EXHIBITION MILAN 2016 – W. Women in Italian Design, a cura di Silvana Annichiarico, con 2 oggetti di design: “Bucaneve” vassoio di ...Bianco Solo - Marta Sansoni maker; "TM531" trapano per Stayer; (9/22 aprile) partecipa a Switch On - Dal Manodomestico all’Elettrodomestico, a cura di Anty Pansera e Mariateresa Chirico - Biblioteca Umanistica dell’Incoronata – Corso Garibaldi 116 Milano – con “Folpo” di Alessi.
www.martasansoni.com




dicembre 2016 
Firenze 
testo: Federica Capoduri 

Portrait  / 2016 / © photo: Nico Tucci
I.

II.
Marta Sansoni / Maggio - lampada sospensione / 2016 / by STUDIO ITALIA DESIGN
Marta Sansoni / Cactus! - serie di oggetti per la cucina / 2002-2016 / by ALESSI
III.

IV.
Marta Sansoni / Oliette - portabottiglia d'olio / 2015 / by ALESSI
Marta Sansoni / Fior d'olio - degustaolio con tappo versatore / 2014 / by ALESSI
V.

VI.
Marta Sansoni / Youspoon - cucchiaino / 2012 / by ALESSI
Marta Sansoni / ...Bianco Solo / 2011 / PROTOTYPE
VII.

VIII.
Marta Sansoni / Ba-Rock - serie di oggetti per la cucina / 2006 / by ALESSI
Marta Sansoni / Mateglacé - portabottiglia termoisolante / 2004 / by ALESSI
IX.

X.
Marta Sansoni / Tralcio muto - vassoio / 2000 / by ALESSI
Marta Sansoni / Folpo - mixer & measure / 1998 / by ALESSI
XI.

XII.
Marta Sansoni / Power tools - trapano, smerigliatrice angolare, lucidatrice / 1998 / by STAYER
Marta Sansoni / Argento - vasi, candelabri, sale e pepe / 2015 / by PAMPALONI
XIII.

XIV.
Marta Sansoni | Architecture / Apartment M-2 / 2011-2012 / Firenze
Marta Sanson | Architecture / Villa B / 2008 / Firenze
XV.

XVI.
Marta Sansoni | Architecture / Limonaia / 2002 / Casa-studio in centro storico a FirenzeLimonaia / 2002 / Casa-studio in centro storico a Firenze
Marta Sanson | Architecture / Apartment G / 2007 / Prato
XVII.

XVIII.
Marta Sansoni | Architecture / Vittoria Building / 2004-2008 / Architettura di esterni destinata ad appartamenti e uffici / Firenze
Marta Sanson | Office / 2011 / Sede della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria / Firenze
XIX.

 




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