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 ECOLOGIA E DESIGN
 Intervista con Günther Horntrich (Fachhochschule Köln)


Prof. Horntrich, visto dall'Italia il mercato tedesco appare assai più attento alle tematiche ambientali di quello italiano. E' solo un'impressione?
Qualche anno fa la sensibilità dei consumatori tedeschi nei confronti dell'ecologia appariva più alta tanto che non era difficile trovare persone disposte a spendere anche grosse cifre per comprare prodotti con caratteristiche di ecocompatibilità. Penso al caso estremo del successo dei vestiti fatti da sacchi di patate ... Oggi invece il consumatore guarda soprattutto alla lunga vita del prodotto. Così un paio di scarpe che costa poco non è ecologico perché al momento dell'acquisto si pensa già a comprarne un nuovo paio.
In particolare, nel settore dell'arredo si tratta di pensare ad oggetti facilmente disassemblabili i cui pezzi difettosi possono essere smontati, riparati o sostituiti.
Se è vero che il termine ecodesign è ormai sulla bocca di tutti è altrettanto vero che i confini della tematica rimangono ancora nebulosi. E' possibile dare una definizione di ecodesign? Quali sono i suoi obiettivi? Quali le specifiche competenze?
Dal punto di vista ambientale risulta decisivo soprattutto "il fare le cose con poco materiale e molta efficienza". Siemens al proposito parla giustamente di light design.
Un esempio? La macchina da caffè che abbiamo progettato.
Tutto è ridotto al minimo. Le singole parti sono riparabili; una può essere usata per servire il caffè direttamente in tavola ma anche per riscaldare l'acqua. Niente a che fare con tante macchine che si vedono oggi sul mercato, tutte automatiche, con molte funzioni, ma difficilissime da usare. Forse non a caso con la nostra caffettiera abbiamo vinto tre premi.
Tra i compiti più tradizionali del design, vi è sicuramente quello della definizione dell'estetica del prodotto. Con colpevole ritardo si è capito che questo aspetto risulta fondamentale anche nel caso di oggetti "verdi". Così, da più parti, si parla di Minimalismo come possibile contributo per un'estetica della sostenibilità ...
Con il nostro design ci muoviamo proprio in questa direzione. Un esempio è sicuramente il servizio progettato per Rosenthal in ceramica e legno, dalla forma semplice ed essenziale, totalmente privo di decorazioni. L'obsolescenza precoce di molti oggetti èä spesso dovuta proprio ad un eccesso di decorazione. Basta pensare agli oggetti Alessi: con i loro colori pastello, sono già invecchiati nel momento in cui arrivano sul mercato.

Finora sono soprattutto le grandi imprese che, per le loro maggiori risorse finanziarie, tecnologiche ed umane, si sono dimostrate sensibili alle problematiche ambientali. Se si riflette sulla natura del modello è possibile ipotizzare però che, sotto la spinta di un mercato sempre più sensibile, anche le imprese di piccola dimensione abbiano proprie chance da giocare. Questo soprattutto considerando la realtà dei distretti che, a ben vedere, hanno molti punti in comune - forte radicamento territoriale, alta scomponibilità dei cicli produttivi... - con il modello di ecosistema industriale. A questo proposito, qual è il suo parere?
Gli artigiani sono più bravi ecologisti dei designer. Il problema è che, purtoppo, spesso, non hanno la consapevolezza del loro operare. La difficoltà sta soprattutto nel far capire loro che l'ecologia ha a che fare in maniera diretta con l'onestà. Penso a quell'artigiano che non riusciva assolutamente a comprendere che è sbagliato nascondere il truciolare tentando di farlo apparire come multistrato.
Comunque il contributo che può venire al tema della sostenibilità da parte delle piccole imprese è notevole. Mi piace ricordare la Campion, una piccola azienda con sede nei dintorni di Colonia, che produce mobili da cucina in legno massello e che riutilizza gli sfridi di lavorazione per la produzione di energia da riscaldamento e, per scelta, commercializza i suoi prodotti solo nel raggio di trenta chilometri.
Certo diventa ancor più fondamentale il ruolo di supporto dei Design Zentrum che devono prodigarsi, non solo al fine di diffondere la cultura del progetto nelle imprese, ma anche per incentivare l'attenzione delle stesse nei confronti delle problematiche ambientali.

Il ruolo dei Design Zentrum, in parte equivalenti ai nostri Centri di Servizio, è indubbiamente di primo piano. Dal punto di vista strettamente professionale si può comunque ipotizzare la nascita di strutture esterne alle imprese in grado di offrire a queste, oltre al design del prodotto, tutta quella serie di servizi - management, marketing, auditing ambientale - strategici per competere in mercati saturi e complessi quali quelli attuali.
E', in parte, quello che facciamo con lo Yellow Circle.
Abbiamo lavorato alla progettazione di cestini per biancheria per conto di un'azienda che produceva assi da stiro. Inizialmente non ci siamo posti il problema del cestino ma di come la biancheria poteva essere trasportata da A a B anche tenendo conto delle differenze tra città, dove esistono le lavanderie pubbliche a gettone, e campagna dove non c'è niente di simile. Così abbiamo pensato ad un contenitore morbido, che può essere ripiegato e dunque riposto dovunque, con risparmio di spazio.
Emblematico anche il progetto di una nuova penna stilografica per Pelikan. Ci è stato richiesto un "design globale" che comprendeva anche l'imballaggio e la grafica. Ma, soprattutto, si trattava di prefigurare un nuovo modo di usare la penna. La ricarica di una stilografica può avvenire in due modi: attraverso cartucce o "pescando" da una contenitore di inchiostro. Il secondo metodo è sicuramente più ecologico in quanto permette di risparmiare milioni di cartucce. Così abbiamo pensato ad una penna che si potesse caricare dal dietro e contenesse una quantità di china dieci volte superiore, limitando contemporaneamente i rischi di fastidiose perdite. Della penna esistono due modelli: il primo, più costoso, per "designer" e il secondo, meno caro, ideato per gli studenti. In entrambi i casi la forma è così semplice, essenziale, "pacata" che per i prossimi dieci anni non passerà di moda. Ecco il compito principale del design o meglio del design management: consigliare l'impresa in materia di innovazione.
Il problema più grande rimane comunque quello di dialogare con le aziende, di farsi capire, di essere accettati. E' come quando si va al ristorante, la prima volta è decisiva: se la qualità del cibo e del servizio non ci ha convinto non ritorneremo più. E in tal senso, almeno inizialmente, risulta difficile parlare di allungamento di vita del prodotto.

Ritengo che la difficoltà maggiore nell'insegnare ecodesign sia proprio far comprendere agli studenti che in chiave ambientale è necessario ragionare in termini di soddisfacimento di bisogni più che di prodotti. E che dunque il progetto dell'oggetto è solo il punto di arrivo di una ben più ampia strategia che comprende anche la definizione di importanti aspetti di natura immateriale.
Sì, indubbiamente, è anche su questo piano che si gioca la sfida a livello didattico. Così a Colonia parliamo di LCA, ecobilanci, analisi della linea di prodotto (Produktlinienanalyse), ecomarketing, ma cerchiamo anche di stimolare l'abilità organizzativa degli studenti, di sviluppare la loro capacità di intuire, di prefigurare nuovi scenari.
In quest'ottica abbiamo organizzato un workshop della durata di una settimana sul tema "design della sopravvivenza". Gli studenti divisi in due gruppi hanno abitato per una settimana in una vecchia scuola nella foresta, ed ognuno di loro poteva portare solo due oggetti, comprese le vivande. L'intento era quello di sviluppare le loro le doti di coordinamento ed allo stesso tempo di farli comprendere come si può vivere con poco, con ciò di cui si ha veramente bisogno.
Un'altra esercitazione è quella che io definisco della "tagliaerba". Se si pensa ad un gruppo di coinquilini, ognuno con il suo giardino privato, come si può risolvere il problema della tosatura dei singoli prati? Diverse sono le possibilità: si può comprare una tagliaerba, affittarla, acquistare una falce o, al limite, ... una pecora. Se scartiamo le ultime due possibilità, impraticabili per gli ovvi inconvenienti, dal punto di vista ambientale la soluzione migliore è sicuramente quella dell'affitto, ma, in tal caso, occorre pensare al progetto di una nuova tagliaerba, più leggera e di dimensioni contenute da poter essere trasportata nel bagagliaio della macchina.

In Italia, il dibattito sulle problematiche ambientali è più arretrato rispetto alla Germania. Quale potrà essere il contributo del nostro paese?
I designer tedeschi, per la loro formazione precipuamente tecnica, sono molto attenti alla funzione, riflettono su tutto tanto che, alla fine, qualche volta, a forza di pensare, non riescono a progettare. Inoltre in Germania per tutto c'è una legge. Se voglio fare un mobile ogni cosa è prescritta, la larghezza, l'altezza, il punto di vista ... è terribile!
In Italia si ha molto più coraggio nella progettazione ed anche a livello imprenditoriale c'è voglia di rischiare - penso, ad esempio, al mio grande amore di gioventù Joe Colombo, troppo presto scomparso. Vedo dunque bene il design italiano soprattutto per il suo forte slancio propositivo, per la sua capacità di "dare forza al pensiero". La maggior parte dei designer italiani sono architetti, e forse anche per questo sono in grado di pensare liberamente, di vedere le cose in modo più aperto. Questo mi piace dell'Italia, la leggerezza ... Magari è il sole ... Penso comunque che con l'apertura delle frontiere si avrà una bella mescolanza.

Forse proprio sul piano della definizione di nuove strategie ambientalmente più consapevoli la nostra fantasia, la nostra capacità "visionaria", possono aiutarci.
Probabilmente sì. C'è una frase che uso spesso nelle mie lezioni: "il designer è un dilettante universale, sa molto ma niente di preciso". Questa, forse, è la sua principale caratteristica.


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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Testo:
Giuseppe Lotti

 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.

ha collaborato:
M.Angeles Fernández Alvarez
Elena Granchi
Sonia Morini





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