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 DEL DESIGN NOMADE E TECNO-ROMANTICO
 Intervista a Daniele Bedini


Quella della sfida è stata, per oltre vent'anni, la tonalità peculiare dell'attività di Daniele Bedini. Fin dalla tesi di laurea – prima in Europa in Space Architecture, in collaborazione con NASA – il suo destino di architetto e designer di frontiera è segnato. Suo è stato per anni a Firenze l'unico corso in Europa di Space Design e ancora suo il Master in Space Studies di cui è incaricato da anni presso la International Space University di Strasburgo. E' stato ed è chief manager di numerosi progetti e programmi per ambienti estremi terrestri – Enea Divisione Antartide – e nel settore spaziale – per Agenzia Spaziale Italiana – in cui sta sperimentando l'utilizzo delle innovative strutture pneumatiche spaziali. Attualmente è presidente di IS - In and Out Space, company – costituita con Alessandro Giacomelli e Massimo Francalanci – in cui è coinvolta anche l'attività di designer "terrestre" in collaborazione con Tre D Italia, Ceramica Bardelli, ICR-Appiani, Zazzeri, iGuzzini Illuminazione e Coop Italia.

La tua attività si è molto diversificata nel corso del tempo. Volendo fare una breve panoramica, quali sono i campi in cui attualmente sei coinvolto?
Sto man mano concentrando le mie attività – sia il design terrestre che quello spaziale – su una company che si chiama IS - In and Out Space. Un'esperienza e una mole di lavoro che, a partire dalla mia tesi di laurea – la prima tesi spaziale in europa nel 1983 –, si è venuta concretizzando in ricerche aeropaziali e contratti abbastanza importanti in cui ho rivestito e rivesto il ruolo di chief manager. Grossomodo si tratta di tre settori: ambienti estremi terrestri, ambienti prettamente spaziali, industrial ed interior design. A questi si aggiunge un quarto settore, più personale: la didattica.

Le tue esperienze nel campo degli ambienti estremi quali sono state?
5 anni fa – per Enea Divisione Antartide – abbiamo progettato un laboratorio pneumatico semi-rigido. L'obiettivo era di costruire una sruttura modulare trasportabile in elicottero sul plateaux a 2000 km di distanza dalla base italiana sulla costa. Il laboratorio è stato utilizzato per una missione di due mesi per 8 persone; scienziati e personale addestrato per operazioni di drilling, escavazioni, carotaggio del ghiaccio al fine di valutare stratificazioni biologiche, ecc…
Per questo lavoro siamo partiti dall'idea di trasferire nozioni spaziali – quindi tecnologie spaziali sul gonfiabile in cui abbiamo una discreta esperienza. Occorreva però ricalibrare il tutto su parametri – anche economici – terrestri. Collaborando con industrie classiche dotate comunque di un processo produttivo altamente tecnologico – Laika ed Eurovinil nel nostro caso, rispettivamente produttrici di caravan e gommoni –, abbiamo cominciato ad utilizzare materiali avanzati applicandovi un processo terrestre. Il risultato è stato quel che viene detto un processo spin in, ovvero di "risalita" dalla terra, in cui i concetti di autocostruzione delle strutture pneumatiche e montaggio delle strutture semi-rigide sono divenuti parte integrante di un processo costruttivo molto più economico per il laboratorio terrestre – di costo pari a circa 125.000 euro – rispetto a quello spaziale – che invece raggiungeva i 1250.000 euro…

E in campo spaziale?
Abbiamo svolto diversi studi per l'ASI (Agenzia Spaziale Europea) sulle strutture pneumatiche, acquisendo abbastanza know how da diventare una realtà europea abbastanza riconosciuta in questo nuovo settore tecnologico. Lo pneumatico spaziale – almeno teoricamente – sta man mano sostituendo, la tradizionale tecnologia dei cilindri in alluminio in cui è realizzata anche l'attuale stazione orbitante. La tecnologia delle strutture pneumatiche è chiaramente competitiva su più aspetti; si tratta di soluzioni più leggere che consentono di avere un habitat più grande una volta gonfiati. Il problema reale sta nel vettore – lo Shuttle oppure Arianne Five – e nella sporadicità attuale delle missioni che per noi rappresentano l'unica occasione di sperimentare ed approfondire la conoscenza.
I limiti e i vincoli che mi sono imposti nella progettazione sono una stiva e un peso limitato… Ecco perché lo pneumatico sta pian piano entrando nella NASA e in altre agenzie. Si tratta di tecnologie nuove che ancora non sono testate nello spazio, ma di cui già si intuiscono le potenzialità: rappresentano il futuro della tecnologia spaziale. I moduli cilindrici bene o male vengono dalla tecnologia aeronautica. Via via l'aereo è salito di quota, ma la struttura – con performances prestazionali ovviamente diverse –, rimane simile. Un modulo spaziale è per molti aspetti equiparabile ad un aeroplano, cambia la lega – l'alluminio nello spazio diventa alluminio-litio – e cambiano, chiaramente, tutte le combinazioni per le pressurizzazioni degli impianti, però la tecnologia è sempre metalmeccanica. E infatti le stesse ditte che costruiscono aeroplani costruiscono anche i pezzi delle astronavi – ad esempio Alenia Spazio, Boeing, ecc… Le strutture pneumatiche, invece, stravolgono lo status quo. Quindi, oggi, da un lato abbiamo agenzie che stanno affacciandosi su questa "convenienza", dall'altro industrie già attestate e consolidate che "remano contro", soprattutto perché si tratta di settori completamente diversi, altri materiali, ecc.. Per cui anche nello spazio abbiamo questa triste lotta per mantenere posizioni acquisite che potrebbe frenare lo sviluppo della ricerca.

Quanto di questi due primi settori di attività è presente nel tuo lavoro di designer?
Di un design ideato per lo spazio sono abituato a prevedere ricadute verso quello terrestre e viceversa. In un dialogo incessante di spin off e spin in gran parte delle ricerche spaziali hanno avuto risvolti per gli ambienti terrestri estremi ma è anche spesso successo il contrario. Occorre sicuramente avere sempre una mente trasversale sintetica ed analogica per capire come muoversi nei vari campi… Cosa prendere da un determinato settore e cosa no, cosa trasferire e come fare ad utilizzare il tutto. E' una elasticità mentale che ho acquisito in 25 anni di appofondimento pratico e teorico.

Anche se mi sembra abbastanza chiaro da quanto hai detto, potresti darmi una piccola definizione spin off e spin in
Partendo dallo Space design, una ricaduta tecnologica su prodotti terrestri è uno space off. Con spin in s'intende invece l'applicazione allo spazio – ovviamente con qualche modifica – di metodi, tecnologie ed idee sperimentate su oggetti terrestri. Ma può anche trattarsi di un processo, di principî più astratti, ecc…

Puoi fare qualche esempio?
Anni fa proposi a iGuzzini Illuminazione un apparecchio dotato di un sistema di gestione elettronica molto innovativo e in grado di simulare il ciclo giorno/notte; uno skiline a luci variabili gestito elettronicamente. Tale prodotto – Sivra – è oggi in commercio, ma la ricerca che c'è dietro è stata anche alla base del programma Lumen che intende sperimentare a breve una plafoniera con caratteristiche simili nello spazio. In modo analogo la nostra esperienza di tecnologie spaziali sul gonfiabile e strutture pneumatiche è stata determinante per affrontare il progetto del laboratorio pneumatico semi-rigido che abbiamo realizzato 5 anni fa per Enea Direzione Antartide.

Ovviamente non affronti queste progettazioni da solo…
Si tratta di diversi progetti che hanno visto coinvolti nel tempo soggetti diversi. Credo fermamamente che uno dei talenti necessari per affrontare questo millennio siano la flessibilità e la capacità di lavorare con altri, oltre ovviamente ad una capacità di approccio personale e sincero soprattutto con l'imprenditoria.
Per esempio Sivra, è un progetto che prima ancora di nascere è stato una ricerca volta a studiare un "Sistema di Illuminazione variabile a Regolazione Automatica" (SIVRA). Ricerca proposta e accettata in modo quasi spontaneo da iGuzzini Illuminazione. Circa dieci fa con Pietra Scuri di Studio Spazio proposi un esperimento per un prodotto terrestre molto innovativo. L'incontro durò circa 10 minuti e Guzzini in quel brevissimo tempo decise di spendere sul progetto una cifra davvero consistente. Si trattava di una ricerca annuale per la quale avevamo ottenuto un finanziamento da parte del C.N.R. Una ricerca mista (pubblico/privata) che mirava a determinare come reagisse l'uomo ad un ambiente terrestre estremo – ovvero ambienti senza connessioni dirette con l'esterno, in cui manca essenzialmente il ciclo giorno notte –, valutando quali fossero le urgenze più rilevanti e come un sistema di illuminazione avanzato come il nostro potesse sopperire a queste mancanze. A Recanati, nell'underground di iGuzzini Illuminazione, è stata costruita una stanza di 8 x 8 metri con vari apparecchi illuminanti a gestione variabile e – con monitorizzazioni dell'Università di Ancona di Medicina – venne valutato l'impatto che il dispositivo aveva sui fruitori: impiegati che svolgevano cicli lavorativi identici a quelli dei piani superiori. E tra i risultati più sorprendenti vi fu la certificazione che con questo tipo di illuminazione – proprio perché il sistema prototipo modulava la luce molto bene – le persone coinvolte manifestavano un benessere addirittura superiore a quello rilevato negli impiegati che erano in uffici "normali" con finestre.
Del prototipo è stato poi fatto un brevetto, quindi – con Piera Scuri e Douglas Skene – abbiamo trasformato questo brevetto in un prodotto commerciale, tra l'altro premiato con l'iF Product Design Award nel 2000. Sivra è tuttora in commercio e si applica nei casi più disparati; dall'ospedale all'ufficio senza finestre, all'ufficio generale della Mercedes che non è propriamente un ambiente estemo ma ha un clima esterno potenzialmente stressante. In quest'ultimo caso sono stati realizzati dei lucernai con illuminazione gestita elettronicamente che simulano alba e tramonto – eventi assai poco percepibili dalla finestra in quell'area. Ma le applicazione di Sivra riguardano anche i grandi magazzini, i negozi di moda. Inoltre il sistema si può banalmente adeguare a valorizzare il rosso e viene quindi utilizzato nei supermercati per illuminare il banco carne, oppure la verdura in quanto una luce costante non darebbe le stesse prestazioni di appeal visivo ai prodotti…

Un prodotto che sembra congeniale per lo spazio…
Un sistema con tante applicazioni non poteva non spingersi fin là. Da questa esperienza terrestre ho ottenuto una ricerca finanziata dall'ASI finalizzata allo studio delle possibilità di portare questo sistema nello spazio: il programma denominato Lumen. Uno spin in puro dunque, con tecnologia terrestre, che, partendo da necessità relative ad ambienti terrestri con parametri e peculiarità "quasi-spaziali" – confinamento, assenza di riferimento al sole, ecc, – arriva ad essere oggetto pensato per un utilizzo nello spazio. E un domani si spera possa diventare un esperimento concreto.
Lumen è un progetto di plafoniera con due tubi che sostituisce perfettamente – presentando inoltre ulteriori vantaggi – la plafoniera che ora è installata in orbita (un apparecchio monotubo a illuminazione costante; quindi un prodotto con una mancanza di performance incredibili – praticamente una plafoniera standard analoga a quelle terrestri che comunque ha un costo di circa 120.000 euro perché è stata validata per lo spazio).
Forse presto sarà possibile fare un esperimento analogo a quello svolto per il cibo con Coop nel 2003-'04. E in tal caso iGuzzini Illuminazione potrà godere di una serie di ritorni – di immagine, ecc. – niente affatto trascurabili. Anche perché l'azienda ha continuato a partecipare anche nella ricerca spaziale costruendo addirittura il modellino di Lumen per l'ASI.

Hai appena citato la tua esperienza con Coop che è una vicenda abbastanza complessa in cui mondo della ricerca, talento creativo ed impenditoria sono tutti coinvolti in una dinamica tra cielo e terra molto interessante. Ne puoi parlare?
In parte oggi essere creativi significa anche riuscire a far evolvere positivamente le situazioni critiche che si presentano nel corso della tua attività. La collaborazione con Coop nasce anche sull'onda della grave crisi che tutte le attività spaziali stanno vivendo dalla esplosione dello Shuttle nel febbraio 2003. Ancora adesso non si sa quando i governi torneranno a finanziare la costruzione di un modulo di abitazione che da programma avrebbe dovuto essere cosa fatta entro il 2005. Per ora la stazione è bloccata alla configurazione di due anni fa.
A fronte del ritardo che subivano i nostri programmi spaziali la nostra struttura – attualmente 10-12 persone – è stata "riciclata" su un'iniziativa per certi aspetti diversa da quanto avevamo fatto finora. L'Agenzia Spaziale Europea aveva comunicato la disponibilità – ovviamente per un cliente in grado di finanziarlo – a condurre un esperimento nello spazio per un determinato periodo. In ciò, chiaramente, sarebbero stati coinvolti i russi e la Soyuz perché al momento erano gli unici presenti.
Dopo circa 6 mesi di contatti con varie industrie terrestri del settore food – la tipologia dell'esperimento da effettuare è stata chiara fin da subito –, Coop Italia ha accettato di fare questo esperimento che da maggio a luglio 2003 ci ha visto coinvolti come IS - In and Out Space.

C'è stato ovviamente un serrato intreccio tra operazioni di marketing, ricerca scientifica e tecnologica…
La parte scientifica della ricerca Mediet (Mediterranean Diet) intendeva testare l'utilizzo e il mantenimento di cibo fresco – con un particolare trattamento realizzato dall'Istituto di Ricerche di Parma – per quattro mesi senza l'utilizzo del frigorifero. C'era ovviamente un'ampia ricaduta promozionale: il marchio Coop era su tutto il cibo in orbita; ancora con il marchio Coop è stato realizzato un vassoio contenente all'interno cinque porzioni di cibo mediterraneo; ecc. Anzi, il cibo era italiano. Però su dieta "americana", perché la responsabilità della sicurezza a bordo di tutta la stazione – anche per la parte russa – è americana. L'esperimento di conservazione di cibo e nutrizione degli astronauti è stato comunque realizzato nel modulo russo che è nettamente separato da quello americano. Di tale esperienza è stato girato anche un cortometraggio di 15 minuti.

Da qui come si arriva alle proposte furniture di IS - In and Out Space per Coop?
Fin da subito avevo richiesto a Coop Italia una collaborazione a tutto tondo, che comprendesse anche il design terrestre. Ma si è dovuto attendere l'esito della ricerca spaziale per un vero e proprio contratto in tal senso con IS - In and Out Space (la nuova società di cui faccio parte con Alessandro Giacomelli, Massimo Francalanci, la finanziaria Twice di Milano e Annamaria Scichili).
Questa nuova collaborazione con Coop Italia, tuttora in corso, consiste nella creazione di una gamma di prodotti per un nuovo marchio, Effetto Casa, che sarà in grado di produrre tra qualche tempo una serie completa di elementi di arredo – divani, sedute, contenitori, librerie, tableware, ecc. Stiamo gradatamente pianificando e concretizzando l'entrata di Coop nel settore home furniture, ristudiando tutto quanto è stato fatto finora in modo non organico. Il problema è assai complesso in quanto occorre far evolvere la presenza Coop da produzioni occcasionali e promozionali con collocazioni saltuarie ad un settore definito e coerente con espositori coordinati – è previsto il restyling delle classiche gondole degli Ipermercati Coop –, un packaging omogeneo, ecc... La sfida – ambiziosa ma concretissima – sarà di connotare queste produzioni come design di grande qualità realizzando il tutto ad un prezzo simile, se non inferiore, rispetto a quello praticato da Ikea. Ad esempio, il prototipo di un componibile che abbiamo realizzato e che uscirà a fine anno, è per molti aspetti paragonabile a furniture design di fascia alta, però a prezzi molto, molto inferiori.
Chiaramente – come molto spesso accade –, il problema è anche di tipo gestionale. Si tratta di un complesso di questioni che richiederanno due o tre anni di lavoro, saranno coinvolte altre industrie – perlopiù terzisti – ma occorrerà prima capire il tipo di impatto che può avere sul cliente Coop un prodotto di arredo che non sia un mero accessorio. C'è inoltre da mettere in conto la stessa struttura Coop: un'unica holding nazionale con diverse cooperative in tutta Italia e vari direttori di Ipermercati, ognuno con ampi margini di autonomia.
Comunque i primi prodotti – proposti, con a fianco il campione montato, in kit da assemblare a casa – sono già usciti, e, dopo la prima collezione Country volutamente sobria e semplice, abbiamo già in produzione alcune proposte di supporti multimedia dal design rigoroso e lineare. Inoltre è già uscita una serie interessantissima di prodotti in cartone riciclato prodotti da Plasticart. Si tratta di una libreria, un porta CD ed una serie di contenitori, tutti stampati con due decori, uno anni '70, optical, l'altro con le macchine di Leonardo. Da settembre 2005 saranno in vendita negli IperCoop.
Sulla scia dell'esperimento space food abbiamo anche disegnato, ed è già in vendita, un vassoio/piatto multifunzione in melamina, che soddisfa appieno le esigenze di uno stile di vita più nomade, caratterizzato da pranzi e cene meno informali, seduti su un tappeto, di fronte alla TV o con amici, senza un vero e proprio tavolo, o, perché no, su un prato!

Davvero una complessa strategia di "conquista" del cliente…
Devo dire che di regalato ho sempre avuto ben poco…

Un sapore di sfida nelle tue cose comunque c'è sempre. A partire dalla tesi in Space Architecture, in collaborazione con la NASA, nei primissimi anni '80…
A quei tempi in Europa non c'era davvero nessun testo che parlasse di stazioni spaziali. Il relatore – tenendo conto che si trattava di una tesi in gran parte scientifica (il 60% era fisica ed ingegneria) – lo cercai in una disciplina scientifica. Persi così 6 mesi perché solo successivamente scoprii che, non conoscendo lui l'inglese, venivo costretto a compilare la bibliografia ragionata in italiano – quando nella mia bibliografia c'erano solo testi NASA… Al che preferii dirottare sul talento di un mio vecchio maestro, Leonardo Savioli, che già durante il liceo avevo frequentato, lavorando ed imparando nel suo studio per 5 anni. Leonardo Savioli è stato per me una grande figura, uno dei pochi che a Firenze abbia veramente insegnato qualcosa, lasciando un solco, una scia di levatura internazionale.
Poi, però, Leonardo Savioli è deceduto e Danilo Santi – che da tempo era un suo stretto collaboratore ed insegnava alla Facoltà di Architettura –, con grande umiltà mi seguì facendomi da relatore. Come "correlatori" avevo invece un ingegnere spaziale della Facoltà di Roma, due ingegneri della Facoltà di Berkeley, e tre ricercatori NASA.
E' stata una lunga gestazione di un anno e mezzo – anche perché lavoravo nel frattempo –, ma è stato un lavoro molto interessante: 110 e lode, dignità di stampa e, ricordo, telefonò anche l'allora Ministro della Ricerca durante la discussione. Morale: non è stata pubblicata. Anche se aveva ottenuto la dignità di stampa, l'ho dovuta pubblicare da me – un Oscar Mondadori. Sicché… vabbé… questa è l'Italia. Certe volte mi pento di essere nato qui, ma, insomma… Lasciamo perdere…
Da lì ho iniziato un'esperienza didattica di 10 anni alla Facoltà di Architettura di Firenze dove avevo un corso, l'unico corso in Europa di Space Design, con, all'anno, circa 80 studenti – un numero veramente alto per una materia facoltativa – che mi hanno voluto bene anche dopo che è finito il corso. Non ho fatto carriera universitaria perché non ho il carattere. 4 anni fa hanno interrotto il corso per levarsi di torno il sottoscritto. Sicché… vabbé… questa è l'Italia.
La didattica comunque è una mia grande passione, perciò ho mantenuto – lo faccio ormai da 10 anni – un insegnamento presso l'università di Strasburgo dove vado regolarmente tutti gli anni a fare un Master. Si tratta della International Space University, una università spaziale che rilascia un Master assai prestigioso in cui io faccio la mia disciplina che è Space design. Sono l'unico che lo fa e ho 50 studenti provenienti da tutto il mondo…

Ma non hai una cattedra in Italia…
Né la vorrei, credimi.

Tornando della tua collaborazione con aziende "terrestri", sono previsti altri progetti con iGuzzini Illuminazione?
Entro il 2006 dovrebbe essere in produzione una nuova serie di prodotti da esterni dove però non ci sono "contaminazioni" con l'attività spaziale; si tratta "solo" di design innovativo – soprattutto se si pensa alla fase estetica piuttosto "freddina" che da qualche tempo imperversa nel settore illuminotecnico. Questo prodotto è un po' emblematico di quel oggi, per me, dovrebbe essere il design. E' un progetto che unisce il fascino della tecnica – che io adoro – al suadente richiamo della natura. A forme più morbide, antropomorfe, organiche… Ricordo che all'epoca in cui proposi questo lavoro – nel 2003 – mi chiesero se per caso non avessi sbagliato azienda… Del resto è una costante della mia attività proporre alle industrie cose che non si aspettano. E il motivo non sta nel piacere di stupire... Credo che oggi il design debba in primo luogo recare tracce di una connessione anche formale con la natura. Che l'incolucro, l'apparenza di un oggetto, debba proporsi come forma "naturale"…

Questo mi fa pensare alla tua collaborazione con Zazzeri. Dopo il rigoroso Giotto, Scarabeo, Naga e Strelitzia sono quasi dei tributi all'estro figurativo di fauna e flora…
Esatto. Questo è costante nel mio design. Anche quando realizzo una struttura pneumatica ho sempre questo nella mente: dev'essere una cosa più naturale possibile. O che sfrutti le forze della natura, o che le simuli, dev'essere semplice, ma nel senso – complessissimo – in cui "semplice" si accorda a "naturale" – che è poi anche inevitabilmente "culturale": Scarabeo, ad esempio, è partito dall'iconografia preclassica dello scarabeo sacro egizio…
Ma non vorrei dare l'impressione di concentrarmi esclusivamente sulla forma, anzi. Il mio approccio al design è sempre molto scientifico. E mi faccio guidare dalla curiosità, vale a dire sia dalla curiosità scientifica che dalla giusta attenzione verso chi, con me co-progetta. Il design oggi raramente è un percorso che può essere risolto individualmente. Spesso il segreto di un successo è proprio la sinergia di un'équipe. Ritengo che se il processo di ideazione di un prodotto di design è strutturato bene – cioè se parte da una tavola rotonda con seri professionisti di settore –, se il processo tipico del design (che è la realizzazione del concetto in rapporto al materiale) si impianta su un nucleo abbastanza forte, è difficile sbagliare prodotto… E la prova materiale sono le royalties di Scarabeo, che – dopo 15 anni – ancora rimane in catalogo senza sfigurare. Lo stesso vale per Naga e Strelitzia anche se si tratta di prodotti, per così dire, meno "storici"…

A proposito, ho avuto modo di vedere un mini-catalogo di grande pertinenza su Strelitzia. Spesso il successo di un prodotto dipende anche dalla comunicazione, dalla capacità che un'azienda ha di far comprendere le ragioni di un progetto, il background ideativo, l'iter creativo di un prodotto…
Quello che hai visto è un prototipo. Purtroppo non è stato mai pubblicato. Si tratta di un mio imput, un'idea circa la presentazione di Strelitzia che è stata poi filtrata da Carlo Ciappi, il grafico dell'azienda Zazzeri, che, all'epoca, comprese perfettemente le mie intenzioni. Il catalogo – ritengo soprattutto per motivi commerciali – è stato realizzato altrimenti. Ma quel prototipo è il risultato di un bel feeling tra me e Carlo Ciappi al quale spiegai tutto il concetto e i rimandi da cui è nato Strelitzia: il fiore, l'uccello del Paradiso, una forma naturale aggressiva in cui cova qualcosa di bizzarro, di estremo. Simbolicamente è l'emblema di entrambe le componenti sessuali, c'è il maschile e il femminile insieme, l'androgino, ecc… Del resto il bagno è tra gli ambienti più sensuali della casa e nell'arredo del bagno è in gioco molto più della semplice funzione…

Sta emergendo una tua forte tensione per tematiche che stridono un po' con il percorso di un progettista high-tech
Ho un'esempio di vita importante che sono gli alberi; radici nella terra e fronde al sole e al vento. Io sono così come un'albero. Il mio concetto, dell'abitare sta nella fronda dell'albero. E' natura, è tecnologia, una sintesi di come vedo oggi l'uomo e dove sta andando. Questa "idea di abitare" non è però in tutto e per tutto applicabile alla vita reale. E' magari come vivrei ma, nel farlo, somiglierei forse più ad un eremita in un posto sperduto all'interno di una macchina infernale; sarebbe fortemente atipico. Eppure è da questo insieme di concetti ed ambizioni che traggo via via ispirazione per il mio lavoro. A vari livelli. C'è un livello profondo in cui traggo linfa per progettare elementi con forti connessioni alla domus ancestrale – ma anche oggetti iper-tecnologici risentono in parte (l'uno per mille) di questa mia anima. A un livello più esterno, "mentale" e di "superficie" – diciamo a livello di concept –, traggo invece ispirazione per progettare, ad esempio, la casa nomade pneumatica, che posso portare ovunque a portata di mano, una piccola cellula di sopravvivenza che mi isola dall'esterno se l'esterno non è consono alla vita umana, oppure se ci sono temperature che non mi piacciono...
Il fatto è che sia la fronda che le radici sono sempre albero. E c'è questa apparente schizofrenia, questo contrasto interiore. Perché essere nomadi è una cosa che amo tanto quanto ho necessità di mettere le radici. Il mio luogo di riferimento è la Toscana che ha tutti gli ingredienti per nutrirti da ogni punto di vista. Specialmente alcune zone come la Maremma che io adoro per la dolcezza, la natura calma non stravolgente, che non dà agitazione – e amo anche la Provenza per le stesse ragioni.
Ma il ritmo, il sistola-diastola tra differenti ambienti è ciò che ritengo fondamentale. Ho bisogno di fermarmi in un ambiente rilassante tanto quanto basta per riprendere il processo attivo. La mia l'idea dell'abitare è dunque a tutto tondo. Un concetto, un'immagine forse più sofisticata, forse più spirituale; una sintesi tra oriente ed occidente… Per cui mi trovo bene in Giappone perché amo il suo minimalismo, mentre il Mediterraneo è colore, mi piace il formicaio New York ma anche la Maremma dove non c'è nessuno. Mi piacciono gli opposti, perché dagli opposti si impara. E si giudica cosa è meglio per noi. Un nomade, una persona che viaggia, racchiude in sé l'idea di una serie ingredienti complessi e di una mente complessa.

Ancora a proposito di relazioni con il luogo. Per chi, come te, risiede così vicino a Montelupo Fiorentino, progettare ceramica è quasi una necessità…
Il mio rapporto con la ceramica è come sempre ambivalente. Nasce in modo immediato, sensuale, dalla necessità di decorare, avere colori, giocare creando inganni ottici, poi però, inevitabilmente il mio interesse vira "scientificamente" in qualcosa di più serio. Le prime piastrelle che ho realizzato per Ceramica Bardelli erano texture a rilievo che cambiavano a seconda dell'illuminazione della stanza. Per qualche mese ho studiato il funzionamento della visione stereoscopica – come l'occhio, anzi gli occhi, percepiscono e trasmettono al cervello la profondità, la convessità, la concavità ecc. – e che tipo di inganni è possibile realizzare. Da questo studio sono nate le Tekne, che sondano appunto il tema dell'illusione ottica. Un tema semplice ma di grande impatto, in grado di essere percepito a più livelli, che è alla fine il miglior messaggio.
Un altro tema affrontato in questo settore è stato la decorazione. Ancora a Ceramica Bardelli, ho proposto la serie Elementi incentrata su i 4 elementi della natura: Acqua, Aria, Terra, Fuoco. Un lavoro meno fortunato, forse perché molto "forte" – ad esempio avevo ideato dei "crateri" per l'elemento "Terra" abbastanza impegnativi. Di questa serie – probabilmente perché era quella meno aggressiva – la linea "Acqua" è stata la più apprezzata dal pubblico.
Qualche anno più tardi, per ICR-Appiani, ho sondato il tema "enigmatico" della scrittura e con Rune mi sono riconciliato con la "grande serie", che è poi il design che prediligo. Non ho mai cercato di propormi come designer per una élite. Anche quando ho dovuto decidere che tipo di pubblicazione fare della mia tesi con Mondadori non ho avuto dubbi: volevo pubblicare un Oscar. Se ci metto la mia energia a scrivere, voglio che sia letto con il maggior numero di persone possibile. Lo stesso credo possa dirsi per il lavoro con Coop Italia che mi convince quasi "eticamente" in quanto si ritorna al concetto – un po' bistrattato ultimamente – di grande distribuzione, grande serie, al messaggio per un vasto pubblico, che è poi l'unico a incidere culturalmente, ad essere veramente "democratico".

Tra le tue prime esperienze di furniture design "tradizionale" ricordo il divano Week-End per Tre D Italia. Anche se occorre ammettere una discreta resistenza dell'imbottito nei confronti dell'ormai consolidata tecnologia dello schiumato, ritieni che la nuova frontiera per i sistemi di seduta sia lo pneumatico?
Week-End, ai suoi tempi fu un prodotto innovativo, uno tra i primi divani a profondità variabile. Anche l'altezza degli schienali era variabile, vale a dire che si consentiva all'utente di "montare" sopra il divano trovando da sé le varie posizioni per un appoggio personalizzato delle braccia, della testa, ecc. Ripensando che Week-End risale a 25 anni fa, devo ammettere che certe volte arrivare con troppo anticipo può essere problematico per la carriera...
Comunque, per rispondere alla domanda, non so se la tecnologia dello pneumatico sia o meno "la frontiera". Sicuramente è una strada ben delineata di cui, per l'esperienza maturata, vedo i vantaggi che ne trarrebbero sia l'azienda che il pubblico. Certo occorre coraggio, ma se oggi posso già proporre a Poltrona Frau sia imbottiti classici che produzioni più spinte – ad esempio tipologie ibride di materasso/futon che sono anche un'isole living, fruibili (con piani d'appoggio e schienali) come sedute, letti e contenitori insieme – solo quest'ultime mi garantiscono la possibilità concreta di ottenere una flessibilità fruitiva, spaziale e ambientale che è di per sé inusitata e inaccessibile alle altre tecnologie.

In cui tutto è gonfiabile, quindi altamente trasportabile…
E' importante distinguere tra pneumatico e gonfiabile. Le sperimentazioni sul gonfiabile risalgono agli anni '70. Sospese a metà fra l'estetica del "carino" e la banale produzione industriale, le sedute che afferiscono al gonfiabile non si discostano molto dal materassino da mare. Le applicazioni delle strutture pneumatiche che intendo proporre ambiscono invece a rendere l'impatto con questo materiale molto più prezioso, facendo trasparire molto di più il design. Cosa non facile perché si tratta di materiale che, apparentemente, non ha la sensualità materica del legno o della pelle. Però, la mia esperienza nello spazio mi ha consentito di comprendere profondamente come si comporta una struttura pneumatica. E determinare forma, prestazioni e riuscire a creare un design avanzato dipende più dalla consuetudine a trattare questo materiale che dalle sue qualità intrinseche… D'altra parte si può sempre rivestire e, infatti, alcune mie proposte applicative delle strutture pneumatiche prevedono rivestimenti.

Conoscenza del materiale, tecnica produttiva e creatività…
Una lezione di umiltà. Più di 20 anni fa mi è capitato – prima ancora di aver realizzato alcun prodotto – di sottoporre ingenuamente un disegno a Bardelli Ceramiche. Si trattava del classico disegno di chi non sa minimamente come si fabbrica una mattonella. Dopo aver visto il disegno il signor Bardelli mi disse: "Mi piace molto. Torni da me tra 15 giorni gliela faccio trovare pronta". Tornato a Milano mi ritrovai disteso al suolo il materiale necessario per una parete. Un disegno molto bello, veramente spaziale. La guardai un po' perplesso. "Madonna", mi dicevo "ma come fanno a montarla". Bene o male venivo dalla gavetta, avevo già fatto qualche lavoro di arredamento e avevo avuto a che fare con posatori. "Beh", dissi, "la ringrazio molto, ma la vedo non troppo commerciale. E' difficilissima da montare, ci sono un sacco di problemi con questa parete. Mi dispiace, ma a mio avviso non è producibile".
Lui disse: "Mi fa molto piacere questa sua risposta. Le faccio il contratto".
E così fu. Il progetto successivo furono le Tekne. Progetto che, ovviamente fu preceduto da uno studio feroce di tutti i processi di produzione delle mattonelle e delle caratteristiche dei diversi materali. Da quel momento ho sempre voluto conoscere prima ogni processo produttivo perché altrimenti è letteralmente impensabile il design serio di un prodotto. In più oggi un buon designer deve essere in grado di impiantare la propria buona dose di creatività su pre-requisiti interdisciplinari – il marketing, il commerciale, il produttivo, ecc. – in quanto in ogni progetto che abbia un minimo di complessità si è sempre parte di un team. Il che significa, prima di tutto, umiltà e rispetto per il contributo altrui…

Forse da quel che s'è detto finora si può intuire quale sia la tua opinione, ti sottopongo comunque la questione del peso della domotica nello scenario abitativo dei prossimi 20-30 anni. Consideri il tipo di automazione presente nell'ambiente spaziale un valido esempio di come sarà in futuro l'ambiente e l'automazione domestica?
Spero vivamente di no. Ci possono essere delle relazioni, delle affinità, ma nello spazio i sistemi di controllo saranno sempre più estremizzati di quelli terrestri. Vale a dire che nello spazio c'è un sensore ogni dieci centimetri, come su una nave da guerra, un sottomarino… I computer gestiscono e hanno informazioni su tutto quello che succede, compresi gli umani. Quando vanno in bagno gli misurano le urine, le feci, poi fanno ginnastica e vengono nuovamente misurati, ecc... Nello spazio la macchina è sovrana. Ed è anche per questo, consentimi, che io sono voluto intervenire e voglio intervenire in questo ambiente. Perché è una cosa abominevole. C'è una schiavitù dell'uomo nei confronti dell'automazione che è allucinante. E poiché quasi ogni porzione è stata concepita e realizzata soprattutto da ingegneri, ecco spiegata la ragione della mia presenza in questo ambiente: è pathos umanitario.
Per questo cerco di introdurre un ciclo giorno/notte all'interno degli ambienti con una nuova plafoniera, per questo cerco di progettare un ambiente che smittizzi il senso costante del confinamento, la ristrettezza, la lontananza da casa, la costante presenza della morte – perché è ovvio che se cede una macchina è morte certa, se arriva un meteorite più grosso è morte certa, ecc.. Gli astronauti vivono eternamente sottoposti, 24 ore su 24, a questo tipo di stress. Enfatizzare il fattore tecnologico è proprio il contrario di ciò che necessita lo spirito di chi abita lo spazio. Io miro piuttosto a rendere decente questo ambiente.
Lo spazio per me è un messaggio. Io non sono prettamente di questa terra, mi sta stretta. Fin da bambino guardo oltre, lo spazio, le stelle, il cielo… Perché? Perché sono romantico. Romantico? Sì, romantico. Tecno-romantico? Si, tecno-romantico…

E ritieni che anche il futuro del living terrestre – sempre conteso tra scenari algidi e recrudescenze materiche e sensuali – sia tecno-romantico?
Sicuramente.

Qualcosa di molto vicino a quanto hai pensato per NOW - Not Only Working, il sistema – recentemente premiato ad Ancona da UPPER – che rivoluziona il concetto di ambiente lavoro?
Sì. NOW - Not Only Working è uno sguardo a ciò che può essere la vita lavorativa tra qualche anno. E' un ufficio pensato per le nuove generazioni, nel quale tecnologia e impianti moderni si combinano ad un ambiente dall'atmosfera friendly, simile ad una abitazione. Un "living-office" capace di valorizzare il lavoro trasversale e interdisciplinare, favorire la creatività e garantire il benessere degli individui. Per realizzarlo abbiamo pensato ad un sistema flessibile e aperto a culture ed esigenze molteplici. Ogni ufficio potrà essere personalizzabile attraverso la gestione individuale dei sottosistemi luce e microclima, all'interno di un ambiente lavoro caratterizzato da spazi diversificati e multisensoriali.
NOW System è composto da vari elementi che possono essere collegati ad una struttura a pavimento cablata (RAIL) o vivere separatamente con la massima flessibilità compositiva. Il RAIL consente una personalizzazione ambientale (livello di illuminazione, flusso d'aria, temperatura) con una struttura che arriva alla postazione lavoro. Il sistema di illuminazione consente una variazione cromatica dei contenitori e quindi una personalizzazione ulteriore. Il RAIL è anche cablato (acqua, etc.) per spazi ristoro/lavoro. I piani lavoro su ruote possono migrare a formare libere configurazioni, sono inoltre cablati con illuminazione e con PC integrati. Elementi gonfiabili lineari e a bolla creano schermature, anche acustiche, e uffici chiusi e aree relax e/o di lavoro collettivo più friendly ed informali. I materiali, vari, sono alluminio per le strutture; essenze-legno o superfici soft/tattili per i piani e polipropilene per i contenitori ed i gonfiabili.


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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Daniele Bedini
IS - In and Out Space

Via di Pulica, 129
50056 Montelupo Fiorentino - Firenze - Italia
Tel: +39 0571 929178 / Fax: +39 0571 929137
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ASI
Azienda Spaziale Italiana

www.asi.it
Ceramica Bardelli
www.bardelli.it
COOP Italia
www.coop.it
iGuzzini Illuminazione
www.iguzzini.com
ICR - Appiani
www.appiani.it
Zazzeri
www.zazzeri.it
IACSA
International Advanced Center for Space Applications

www.iacsa.it


a cura di: 
Umberto Rovelli 

 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII.
IXX.
XX.





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