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 DEL PROGETTO A MOLTE DIMENSIONI
 Intervista a Carlo Bimbi


Oltre trent'anni d'intelligenza creativa, impiegata nella ricerca di soluzioni progettuali logiche e razionali, fanno di Carlo Bimbi una figura centrale del design italiano. Nel 1972 – come membro dello studio Internotredici – è con Tuttuno tra i protagonisti di Italy: The New Domestic Landscape al MoMA di New York, realizzando successivamente progetti per Ariete, Guzzini, Bardi, Ciatti, Ferlea, B&B e l'emergente Segis – la cui sedia Enrico vince il Roscoe-Awards 1983. In seguito il dialogo con l'imprenditoria toscana si fa più esclusivo, concentrandosi su aziende quali Arketipo, Bosal, Casprini, La Falegnami, Falegnameria 1946, Segis – la cui Blitz si aggiudica nel '98 sia il Red Dot che l'iF Award – e, recentemente, Dema. E' docente presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale dell'Università degli Studi di Firenze.


La Toscana è, forse da sempre, il tuo laboratorio ideale, ma parlare delle tue prime esperienze di design è un po' come rivivere alcuni momenti topici del design Italiano. I tuoi primi anni da neodiplomato ISIA sono particolarmente intensi…
Dal 1970 ho lavorato stabilmente a Firenze, ma le mie prime esperienze le ho fatte a Milano negli anni 1969-'70 presso lo Studio Nizzoli Associati. Ne parlo con affetto in una mia pubblicazione del 1995 – Diario di lavoro (1970-1995) edizioni Alinea –, un piccolo libro nel quale ripercorro la mia carriera professionale.
Era un periodo particolarmente felice per chi faceva design, con ottime aziende con cui confrontarsi e ottime condizioni contrattuali. Era una situazione che consentiva progetti ben fatti, dettagliati, coerenti e – cosa oggi assai rara – senza sostanziali problemi di budget. Infatti anche quando – in certi casi direi sistematicamente – il tetto preventivato veniva superato, ciò non ha mai costituito motivo di frizione tra designer e impresa. Si trattava quindi di una situazione idilliaca a cui forse, data la mia giovane età e la conseguente inesperienza, non attribuivo tuttavia in quel momento il valore che in effetti meritava. La proposta di partecipare come associato allo Studio Nizzoli arrivò come una vera gratificazione e lusinga del mio operato, ma rinunciai senza troppi rimpianti pensando di tornare a Firenze con l'intenzione di dare, anche idealmente, un contributo alla regione in cui sono nato e cresciuto.
Con l'amico Gianni Ferrara e Nilo Gioacchini abbiamo quindi costituito lo studio Internotredici e lì abbiamo cominciato a lavorare, ottenendo anche riscontri di tipo culturale con articoli e redazionali sulle riviste di settore. Con il "mobile totale" Tuttuno, nel 1972, abbiamo poi partecipato a Italy: The New Domestic Landscape, la mostra del design italiano tenutasi al MoMA di New York. L'invito ci fu rivolto dal curatore della mostra, Emilio Ambasz, ad indicare l'alto grado di apprezzamento per il progetto. Noi, giovanissimi – io avevo all'epoca all'incirca 25 anni – abbiamo esposto e siamo stati pubblicati sulle riviste di tutto il mondo insieme a Ettore Sottsass, Gae Aulenti, Mario Bellini… A ripensarci oggi credo che, in quel momento, non capivo realmente fino in fondo cosa mi stesse succedendo, ma Alessandro Mendini si riferiva proprio a questo quando, qualche anno dopo, mi disse che non avevo saputo sfruttare come meritava l'occasione della mostra newyorkese...

Intendi dal punto di vista professionale?
Ciò che voglio dire è che nello stesso periodo storico ho avuto contatti con realtà incomparabilmente diverse. Non avevo assolutamente preso coscienza di quale fosse il mondo nel quale potevo inserirmi ed ho continuato a operare come designer anche in ambiti con visibilità davvero molto esigua. Per esempio in quegli anni Internotredici lavorava per aziende appena nate e non ancora affermate sul mercato. C'era in Toscana un fervore straordinario che si coglieva nelle giovani aziende, nelle quali dominava il desiderio di cambiamento d'immagine insieme a quello di figurare bene al confronto con le più altolocate ed avanzate produzioni del nord Italia. Ricordo che ancora da studente sono entrato in contatto con Poltronova di Sergio Cammilli, persona colta e attrezzata a competere con le migliori aziende del mercato. Fu quella per la Toscana un'esperienza importante, nella quale confluivano designer milanesi come Ettore Sottsass o Gae Aulenti, ed emergenti fiorentini come Superstudio e Archizoom.
Risale ai primi anni '70 la mia collaborazione con la Metalmobile, azienda dalla quale sono poi uscite alcune figure determinanti – e anzi per quanto riguarda Franco Dominici direi "essenziali" per le capacità, l'entusiasmo e il profondo coinvolgimento dell'imprenditore nell'azienda – per la nascita di Segis. Mi piace ricordare le sedie Last (1971), Relax (1974), Country (1977), Rectaovale (1977), MM 203 (1978), Pitti e Bargello (1978). Un altro prodotto di quegli anni al quale sono particolarmente affezionato è Quadrone, realizzato per Bardidue, secondo marchio di un'azienda di Quarrata che produceva le caratteristiche poltrone in legno intagliato e pelle. L'arrivo di Quadrone doveva lanciare la collezione moderna della ditta ma, nonostante le buone intenzioni, quel prodotto rimase un caso isolato, compromettendo così l'immagine e la fortuna del prodotto stesso. Alcuni anni dopo un tecnico della Zanotta, tenendo una lezione agli studenti di Gianni Ferrara all'ISIA di Firenze, gli raccontò che la ditta milanese aveva preso contatti con la Bardidue per rilevare il progetto, che nel frattempo era stato ampiamente pubblicato e recensito nelle riviste di settore. I titolari dell'azienda toscana però avevano rifiutato quella proposta, determinando così il non-decollo commerciale del progetto. Diciamo che la Toscana è anche questo: un grande impegno nella realizzazione dei prodotti, e uno scarso credito alla loro comunicazione commerciale…

Come vedi oggi il rapporto di Internotredici con l'imprenditoria toscana e quella del nord Italia?
Dal '72 alla fine degli anni Settanta le aziende toscane sono state molto disponibili a recepire le idee proposte da noi designer. Forse succedeva anche perché nei primi anni '70 eravamo probabilmente tra i primi - intendo noi di Internotredici - a lavorare così. Da poco usciti dall'ISIA – io e Nilo Gioacchini come studenti e Gianni Ferrara come insegnante –, potevamo vantare quelle esperienze milanesi di cui ho detto e, forse anche per questo, abbiamo trovato un terreno fertile disposto a darci credito.
Comunque in quel periodo sia noi che altri – come ad esempio Superstudio – abbiamo fatto le nostre prime gare e concorsi per aziende, tra cui anche molte imprese toscane interessate a nuove proposte di design. Dal punto di vista commerciale però, la cosa non ha mai avuto uno sviluppo con palpabili conseguenze in Toscana. Anzi per avere un riscontro commerciale – la sostanza e la concretezza di lavoro intendo –, bisogna sicuramente arrivare agli anni '80.
Nel frattempo, comunque, noi abbiamo continuato a mantenere rapporti di lavoro con il nord Italia fino all' '85-'86. Nel 1982-'83 si è conclusa la stagione di Internotredici, e per altri 2 o 3 anni io e Nilo abbiamo lavorato per aziende della Brianza e del Veneto. Per B&B Italia sono nati il divano-letto Pigro e la collezione di sedute da ufficio Noa; per Seven il divano Uno due; per Tosimobili il programma di mobili componibili Chiaroscuro.
Solo successivamente ho ridotto il mio campo di azione alla Toscana, mentre Nilo ha preso altre strade e Gianni Ferrara ha concentrato la propria attività in ambito universitario e nell'ISIA.

La fine di Internotredici ha quindi rinsaldato i tuoi legami con la realtà imprenditoriale locale…
Qui in Toscana le aziende, pur timorose di avventurarsi nella contemporaneità, sono molto serie sia dal punto di vista dei rapporti economici che si instaurano, sia per quel che concerne la collaborazione nelle varie fasi del progetto. Tutto sommato per me restare qui è stata una scelta positiva. Una scelta che, forse, mi ha anche preservato dall'illusione di un "altrove" dalle dorate prospettive – penso soprattutto alla Brianza che per il settore del mobile è stata innegabilmente in passato la capitale del design e che oggi tuttavia risente della grave crisi che attraversa tutto il settore, per non parlare della sirena ancora viva dell'Oriente. Credo sempre di più che occorra sviluppare il nostro progetto, avere in mente soprattutto cosa noi vogliamo fare. La mia può forse apparire una chiusura "a tartaruga", mentre in realtà credo fermamente che esso sia l'unico modo per far emergere, oggi più che mai, ciò in cui crediamo. Il momento più critico è convincere le aziende a realizzare i nostri progetti, perché oggi il mercato ha assunto contorni molto incerti, ed inserirsi con una proposta è molto difficile. Oggi più che mai le aziende devono vendere per sopravvivere. Ciò appesantisce e rende molto complessa ogni fase del processo progettuale e di quello produttivo. Il momento decisionale, la prospettiva di ricerca, l'impostazione strategica della produzione di un intero anno deve tener conto di una serie di problemi che richiedono molto tempo e molta dedizione. Riuscire a capire cosa si vuole e cosa si deve fare diventa il momento clou della progettazione.

Hai notato difformità di approccio tra aziende del nord e quelle toscane?
Una peculiarità delle aziende toscane che le distingue da quelle del nord è un radicamento o, dovrei dire, una connessione più serrata tra mondo imprenditoriale e mondo artigianale. L'azienda toscana deriva, e si stabilisce come tale, a partire da una forte impronta artigianale che connota il fare produzione in Toscana. Un approccio produttivo che forse è definibile come più creativo, o magari anche più romantico. Se per il nord l'atteggiamento pragmatico è stata una dominante diffusa nel territorio e quel che contava innanzitutto, se non esclusivamente, erano i risultati, in Toscana ha sempre prevalso un interesse anche imprenditoriale alla novità. L'urgenza e la spinta a produrre è stata sempre in qualche modo connessa all'innovazione. Qui in Toscana si ritiene che l'oggetto nuovo, la novità, l'oggetto diverso da tutti gli altri, sia garanzia di successo. Cosa che, non di rado, ha determinato in passato grandi errori e che per certi aspetti rimane ancora oggi inalterata, cosa che per me costituisce un effettivo problema. Può sembrare strano, ma nella relazione azienda/designer siamo noi che in qualche modo dobbiamo assumerci la responsabilità di far aprire gli occhi ai nostri interlocutori. È un continuo dibattere e discutere perché nell'imprenditoria toscana convivono, tra l'altro, due sentimenti in palese conflitto: da un lato ha un'ottima opinione delle proprie capacità professionali, personali ed intuitive; dall'altro cova dentro di sé il mito di una via privilegiata al successo produttivo legata al design di provenienza straniera – milanese in primis. Per la limitata dimensione delle realtà produttive locali, questo duplice aspetto contraddittorio è assai pericoloso, perché quando ci si accorge che le cose non stanno così è quasi sempre troppo tardi e il rischio di cessare del tutto l'attività produttiva è molto alto. Nell'arco di vent'anni ho assistito a numerosi fenomeni di questo tipo: imprenditori che sull'onda della più o meno effimera notorietà di questo o quel nome hanno chiamato architetti e designer completamente estranei e svincolati dalla realtà storica, economica e produttiva aziendale, ritrovandosi poi con scarsissimi risultati di immagine e di vendite. Spesso è proprio un'esperienza di questo tipo che li porta ad accorgersi che, in realtà, il progetto è una fatica che bisogna affrontare insieme, designer e imprenditore. Non si tratta di trovare un formula, un'invenzione che magicamente superi ogni ostacolo. È piuttosto la cooperazione a produrre "qualcosa": costruire insieme questo "qualcosa" è, secondo me, la strada vincente...

In questo insieme coinvolto nel processo produttivo di un nuovo prodotto qual è, specificamente, il tuo ruolo? Ad esempio, realizzi – risolvendone in proprio i problemi esecutivi –, un prototipo finito ovvero elabori un progetto del quale poi "sovrintendi" la resa esecutiva e l'elaborazione tridimensionale operata dall'azienda? Qual è, insomma, il tuo grado di integrazione con l'azienda e quanto e come si modifica la tua strategia progettuale in funzione della presenza o meno di uno studio tecnico o di un centro sviluppo all'interno dell'azienda?
La presenza di uno studio tecnico interno all'azienda per me è determinante. Con sempre maggior frequenza – anche in aziende di non grandi dimensioni –, cominciano ad essere presenti unità operative interne definibili come "studio tecnico". Perlomeno comincia ad essere frequente la presenza di un gruppo di persone che si avvicina alla professionalità di uno studio tecnico.
Faccio l'esempio della mia collaborazione con Casprini. Nell'azienda non esiste materialmente uno studio tecnico, ma sono presenti delle figure di riferimento – che definirei una sorta di capi-reparto con specifiche capacità e conoscenze tecniche –, che seguono sia i progetti della Casprini sia quelli della Naos. E' con loro che io lavoro durante la fase di passaggio dal progetto al prototipo. Prendiamo l'esempio della sedia Move. L'incarico dell'azienda era quello di una seduta per contract da realizzare in polipropilene e metallo, con una gamma ampia di prestazioni. Ho lavorato al tavolo da disegno realizzando i primi studi di massima. Quando ho avuto le idee più chiare sono passato ad una verifica tridimensionale in legno e cartone, che ho sottoposto all'azienda. Ne abbiamo parlato insieme, giungendo alla conclusione che il progetto rispondeva alle esigenze avanzate e che quindi poteva essere sviluppato. A quel punto mi sono fatto carico di tradurre il modello in prototipo. Ho lavorato a stretto contatto con i tecnici dell'azienda, valutando in itinere i costi delle attrezzature per la produzione insieme alla risoluzione dei vari problemi che questo tipo di prodotto comportava. Come voglio mettere in chiaro, il passaggio dal progetto grafico all'oggetto è per me un rinnovato impegno progettuale: mai il progetto su carta si traduce acriticamente o come fotocopia nel prodotto finale. Nella mia carriera non ho una documentazione grafica che riguardi il prodotto finito, ma ho una serie di studi che documentano i vari passaggi dall'idea iniziale al prodotto in corso d'opera. Per me, per la formazione che ho ricevuto fin dai banchi di scuola, lavorare in bidimensione (il disegno) o tridimensionalmente (il modello) rappresentano due aspetti della stessa attività di ricerca e di studio. Non credo nel bel disegno fine a se stesso, ma nel disegno funzionale a rendere visibile l'idea che di mano in mano si chiarisce e diventa forma.
Altra situazione è invece il rapporto che ho con La Falegnami di Castelfiorentino. Qui, successivamente all'incarico iniziale, propongo i miei progetti sotto forma per lo più di modelli tridimensionali in scala, dopo di che il lavoro viene sviluppato tutto internamente fino alla realizzazione – da parte di artigiani –, del modello al vero. A quel punto avviene la valutazione e correzione nella stessa fabbrica, fino alla messa a punto finale. Quella con La Falegnami è una collaborazione che va avanti da quasi vent'anni – dal 1986-'87 –, della quale avrò conservato non più di 4 o 5 disegni, proprio perché il processo di definizione del prodotto è gestito prevalentemente in azienda, tra me e i vari responsabili. Sono molti i prodotti che mi legano a quest'azienda, ma voglio tra tutti ricordare il letto Le Monde, in produzione dal 1995, e il letto Acanto, del 2001.
Da alcuni anni è nato un altro marchio a fianco di quello storico, Falegnameria 1946. Per esso ho realizzato il letto Tulipano e il letto Glicine (2004).
Altrettanto stretta e prolungata nel tempo è la mia collaborazione con Arketipo. Risale al 1987 il divano componibile Triclinium, con il quale ho avviato il mio rapporto professionale con l'azienda di Calenzano. E' stato un prodotto molto significativo per l'immagine dell'azienda, al quale tuttora sono molto legato affettivamente. Ad esso ha fatto seguito di lì a poco il divano Accademia il quale, insieme al precedente, costituisce un po' l'immagine storica della ditta. E anche la mia… Dopo di loro sono nati tanti prodotti di qualità e di successo, come il recente XL.
Per tornare al settore delle sedute per contract, voglio ricordare la collaborazione con la Segis di Poggibonsi, iniziata già al tempo di Internotredici (il nome Segis è nato da un'idea di Gianni!), e con la Steelmobil di Rimini. Per la Segis mi piace segnalare le sedie Enrico (1980, quella del premio Roscoe), Martina (1981), Charlie (1983) e, in tempi più recenti, la Blitz.
Per la Steelmobil, il programma di sedute in alluminio e polipropilene New Deal.
Per ultimo voglio segnalare la mia collaborazione con Dema. Si tratta di un rapporto di lavoro molto recente. L'azienda cura molto il particolare, il dettaglio ed è quindi dotata di personale specializzato che si occupa - prevalentemente o specificamente - sia dello studio e della ricerca delle soluzioni ottimali di produzione, sia di prototipi, realizzazioni particolari, stampati ecc. Presso Dema la situazione strategico/organizzativa della produzione è resa ancor più interessante dalla presenza di un'ulteriore figura di riferimento assai importante: l'art director. Dal punto di vista del progetto "fisico" la sua attività è concentrata negli allestimenti dei negozi, ma è a livello speculativo e, direi, "meta-progettuale" che il suo contributo mi appare oggi stimolante per un'azienda, ma non meno per il designer.

Cosa hai realizzato per Dema?
Le ultime nate in Dema sono le collezioni Hotello ed Exteso. Con esse stiamo sviluppando un progetto nel quale, anziché produrre singoli oggetti – divani, sedie, poltrone, cerchiamo di creare un'impronta identitaria per un insieme coordinato. Una sorta di progetto Casa Dema che mira alla definizione di un "sistema casa" dove il processo creativo che determina la forma finale dei divani punta anche, ed in particolare, su valenze – colore, tessuto, accessori, ecc. – mirate a creare un'atmosfera d'insieme.
Il tema progettuale di "realizzare un oggetto" si evolve così in quello più complesso di "comunicare un progetto complessivo". In tal modo diviene fondamentale la ricerca di uno stile, in grado di legare il tutto in un quadro logico-emozionale definito. Questo è molto interessante per noi che progettiamo.

Intendi dire che altrove ti senti dire che il divano è la cosa importante mente il resto è il "contorno"…
Nel contesto globale attuale l'idea di prodotto vincente viene immediatamente emulata. Voglio dire che, comunque, in un determinato momento, la tendenza in atto è colta – sia tra i designer che tra gli imprenditori – da una pluralità di soggetti e, quindi, la difficoltà maggiore ad avere una propria identità è proprio sul fronte del prodotto. Così quel che oggi è divenuto più importante è differenziarsi sul sistema azienda nel suo complesso e – per rispondere anche alla tua domanda – la realtà è che il "contorno" serve proprio a vendere il divano. Un prodotto un po' "fuori dalle righe" non lo si riesce a vendere come tale né in Italia né all'estero. Quello che oggi occorre è creare una sorta di aura – per così dire culturale – attorno a questo prodotto o marchio. La risposta al quesito "può un prodotto innovativo imporsi sul mercato?" non può essere data che in modo indiretto, ovvero a livello di immagine complessiva di collezione, di marchio, di "idea di abitare" innovativa che c'è dietro il prodotto, piuttosto che di semplice prodotto innovativo.
Nel medio-lungo periodo si tratta quindi di un tema di capitale importanza. Anche se difficilissimo da proporre e portare avanti perché, di fronte a costi reali, non c'è un oggetto realizzato ma una nebulosa semantica che pian piano costituisce il "quadro" entro cui il designer concretamente progetta. E poiché, comunque la si interpreti, si tratta di una spesa che ha una ricaduta indiretta sul prodotto, spesso l'azienda ha difficoltà a quantificare e valutare i risultati tangibili dell'intera operazione.

Una difficoltà a seguirvi che forse dipende dalla situazione internazionale non proprio favorevole...
In parte da questo, ma anche da altri fattori. Per esempio da una completa mancanza di tutela della proprietà intellettuale. Prima parlavo benevolmente di emulazione – anche perché ritengo che il design stesso sia uno scambio continuo di idee –, ma oggi molte aziende arrivano a copiare prodotti in modo spudorato, prodotti anche notissimi e fortemente riconoscibili. Determinando, in risposta, una serie di cause legali di cui però – anche con i ritardi ormai inevitabili della giustizia italiana – non si riesce più a vedere l'utilità. Il contesto, insomma, non è certo favorevole agli investimenti in ricerche e alla produzione del nuovo. Eppure certe aziende si stanno comunque aprendo, anche qui in Toscana.

Ti riferisci a Edra?
Edra è un caso particolarissimo, di una produzione di oggetti e collezioni di prodotti dai tratti assai fortemente caratterizzati e direi unici. Ma anche qui, oltre ai valori intrinseci del progetto, dei materiali e della produzione, a monte del caso Edra c'è stato un importante investimento sulla comunicazione. Senza dimenticare che, dietro i prodotti "immagine", la vendita procede sui prodotti "normali".

Ma torniamo a Dema…
In termini di strategia produttiva ed aziendale ritengo che il progetto Casa Dema abbia forti connotati di esemplarità, caratterizzato com'é dall'intenzione di svincolarsi dall'oggetto singolo per integrarlo con altri prodotti di un sistema coordinato, con tutte le difficoltà che comporta questa scelta. Un'azienda di divani solitamente non produce altro e, per ampliare la propria offerta, è costretta a ricorrere a strutture esterne. Si determina così una difficoltà aggiuntiva in termini di qualità complessiva del progetto che non è più determinabile all'interno del solo ciclo produttivo aziendale.
Con Dema siamo agli inizi ed il problema – pur essendo in primo luogo estetico/comunicativo – si presenta già in tutta la sua specificità gestionale che, a poco a poco, ci condurrà nei prossimi mesi a completare con nuovi elementi la proposta relativa ad un ambiente domestico intergrato.
Nel 2003, lo spirito di questa nuova filosofia di progetto è sfociato nella realizzazione di Hotello, un nuovo sistema di divani componibili capaci di determinare un'atmosfera di insieme. Nella produzione complessiva, il divano creava la tonalità di fondo, stabilizzava e determinava uno sfondo sul quale spiccavano alcuni elementi, progetti più particolari – come ad esempio la poltrona Lips disegnata da Piergiorgio Cazzaniga – il cui ruolo, nella proposta di ambiente living, equivaleva a quello del fiocco o della cravatta sull'abito grigio.
Ho realizzato lampade in alabastro ed altri oggetti, ma ciò che è più interessante è stato il recupero di lavorazioni artigianali della pelle, di certi modi di lavorare che vanno scomparendo e che costituiscono per l'azienda un ulteriore motivo di distinzione nei confronti dalle altre produzioni. La scelta dell'alabastro va nella stessa direzione.

Nei tuoi lavori – oltre l'oggettiva necessità logica che è un tratto distintivo delle tue realizzazioni – si avverte, sottotraccia, una vena più mediterranea, calda, morbidamente rotonda, che col passare degli anni è divenuta altrettanto urgente. Quasi che un costante bisogno di riconoscibile rassicurazione guidasse i progetti della tua maturità. Mi sbaglio?
Ho appena citato l'alabastro rispolverato per le lampade Dema della collezione Exteso. Non l'ho fatto prima, pur essendo io, volterrano, cresciuto a stretto contatto con la lavorazione di quel materiale. Leggo questa naturale evoluzione del mio lavoro come l'approdo ad una maturità compiuta. Da giovani si è portati ad allontanarci dalle radici, per far crescere l'originalità delle nostre proposte. Si annaffia il tronco in contrapposizione, quando non in conflitto, col mondo circostante. Poi, una volta che l'albero è cresciuto e si allontana da noi il timore per una sua insopportabile non visibilità, ci si permette il lusso di raccogliere con amore i frutti, che da quelle radici, e non da altre, derivano. Questo per me è mediterraneità, insieme all'ammorbidimento delle forme che ho potuto sviluppare soprattutto nei prodotti per Falegnami e Falegnameria 1946. Penso al disegno ellittico di alcuni comò, come Le Monde, al profilo avvolgente dell'ultimo letto, Relais. Senza tralasciare che questo percorso l'avevo già intrapreso fino dagli anni '90 in alcune poltrone per Arketipo, come Class, Gaia e Via Veneto.

Per concludere una curiosià. Prima hai parlato con affetto di Quadrone che – pur risalente al 1974 – mi sembra impressionante per l'attualità della concezione progettuale. Guardandolo oggi e pensando al discreto successo ottenuto da Adriano Piazzesi con il suo ammirevole – ma anche impegnativo – Loft, mi chiedo come mai non sia in produzione…
Questa tua domanda mi fa particolarmente piacere, perché mi permette di affermare che secondo me Adriano è uno dei designer più importanti nel campo della produzione di divani.
Mi chiedi di Quadrone. Come ti ho già accennato, quel prodotto ha subito le conseguenze di esser nato al tempo giusto per una azienda "sbagliata". Ripeto: lo sbaglio, se così si può chiamare, è consistito in un'ottica divergente tra la cultura di quel progetto e quella dell'azienda. Io ho seguito con partecipazione le vicende legate a Quadrone: ho contribuito a farlo nascere e ho visto passo passo la sua messa in produzione. Riconosco ancora oggi la validità di quel progetto, e non dispero che un giorno possa ritornare in produzione; spero per un'azienda che ne sappia stavolta sostenere le fortune del mercato.



Carlo Bimbi
Via Torcicoda 24A
50142 Firenze Italia
Tel: +39 055 707322 / Fax: +39 055 7134470
www.carlobimbidesign.it


Dema
www.dema.it
Casprini
www.casprini.it
Bosal
www.bosal.it
Arketipo
www.arketipo.com
Segis
www.segis.it
B&B Italia
www.bebitalia.it
Seven
www.sevensalotti.it
La Falegnami
www.falegnami.it
Falegnameria 1946
www.falegnameria1946.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


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Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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a cura di: 
Umberto Rovelli 


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Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.
XII.
XIII.
XIV.
XV.
XVI.
XVII.
XVIII.

ha collaborato:
M.Angeles Fernández Alvarez




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