CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET
 

 DESIGN TRA CRONACA E STORIA
 Intervista ad Anty Pansera

Anty Pansera Nell'incipit de Il libro del riso e dell'oblio, Milan Kundera racconta come, in seguito ad una condanna per tradimento, dalla foto di propaganda del dirigente comunista Klement Gottwald venga cancellata l'immagine del compagno Clementis che gli era a fianco. Qualche attimo prima di quella stessa foto, in un empito di premurosa generosità, Clementis aveva però offerto il proprio berretto di pelliccia a Gottwald. «Da allora», scrive Kundera «Gottwald, su quel balcone, ci sta da solo. Là dove c'era Clementis c'è solo la nuda parete del palazzo. Di Clementis è rimasto solo il berretto sulla testa di Gottwald». A distanza di un quarto di secolo, per il progetto femminile il «muro» della denegazione appare ancora saldo. E lo sguardo degli storici del design, forse poco incline a riconoscere un ruolo sostanziale alle autrici di design, ne ha troppo spesso tessuto i profili quasi in aderenza alle loro più prossime figure maschili (padri, fratelli, compagni, consorti...), riservando così per molti oggetti realizzati e progettati da donne un destino assai simile a quello del «berretto» di Clementis: una estorta «paternità» come paradossale contributo della storia. Anty Pansera ha dedicato molti anni di passione, ricerca e capacità organizzativa a far riaffiorare questa galassia, se non proprio sommersa, sicuramente votata a una «dorata» marginalità. Un lavoro talvolta arduo per la difficoltà di reperimento delle fonti, ma, più in particolare, questa scelta di «genere» ha aiutato molti a comprendere meglio come e quanto le varie abilità, le diverse destrezze, i talenti e i campi d'applicazione del progetto siano qualitativamente rilevanti ai fini della tattile prossimità che esperiamo nei confronti dei prodotti. Peraltro riuscendo a farci intuire nel consapevole ritrarsi dell'«autoralità» un inatteso risvolto valoriale del progetto: quello della trasparenza ideativa che concede visibilità e dà conto dei corpi e delle mani che realizzano concretamente gli oggetti con i quali veniamo quotidianamente in relazione. Sicché lo sguardo al sistema design proposto da Anty Pansera ci offre una duplice, rinnovata opportunità d'indagine in grado di svelare e discoprire sia locali «riconoscenze» negate sia emergenti «frontiere» in cui si esalta a protagonista proprio il lavoro diffuso e sottotraccia (quasi una nervatura profonda, una radice estesa almeno quanto la chioma visibile) implicato ed implicito nel prodotto di design. Un altro racconto, dunque, e un'altra storia del design dove al «ritrarsi» della più tradizionale «autoralità» del progetto emergono spazi per la cooperazione e la crescita di consapevolezza nei riguardi di una filiera (oggi ormai trans-continentale) felicemente priva di «paternità» in cui il ciclo produttivo e valoriale degli oggetti torna finalmente a riflettersi e specchiarsi senza ulteriori mediazioni nei corpi, nelle mani e nelle menti delle donne faber. (U.R.)



 Federica Capoduri:  Da sempre interessata all'analisi dell'apporto femminile dato al progetto dalle artiste|artigiane|designer (ma anche dalle imprenditrici), il tuo cavallo di battaglia – o il tuo fiore all'occhiello, per essere più romantici –, è senz'altro stata l'organizzazione e la cura, insieme a Tiziana Occleppo, della mostra Dal merletto alla motocicletta, svoltasi a Ferrara nel 2002 all'interno della X Biennale Donna e poi replicata a Catania. Un peculiare tributo/censimento sulla creatività femminile che ha riunito oltre 100 progettiste italiane del Novecento e che ha posto l'attenzione non solo sulle protagoniste ma anche, e soprattutto, sull'evoluzione dell'oggetto in relazione alla specifica produzione. Puoi narrarci come, e perché, è nata tale mostra? E quali a tuo parere sono le artiste che, magari per particolari sapienze artigianali o intuizioni seriali, sono da considerarsi le portabandiera dell'evento?

 Anty Pansera:  Questa ricerca è nata su una «spinta» o, meglio, su una precisa richiesta dell’UDI di Ferrara, quell’Unione delle Donne Italiane che avrei poi scoperto essere stata fondata da Rosa Giolli Menni, una delle artigiane|artiste, ma non solo (scrittrice ed intellettuale intesa in senso lato) cui si deve anche la rivista Noi donne e un romanzo inedito Una donna tra due secoli (ovvero tra l'800 e il '900).
A Ferrara – a tutt’oggi – si dedica ogni due anni una grande mostra a personalità femminili, dell’arte soprattutto, e per la X edizione della manifestazione si voleva mettere in scena il design e quelle arti decorative che ne stanno alle spalle. Grandi perplessità iniziali! Sia di Tiziana che mie – entrambe di fatto mai femministe militanti, anche se forse, nei fatti... Qualche verifica con donne designer di chiara fama: l’incoraggiamento di Cini Boeri, pollice verso di Gae Aulenti... E si è incominciato a lavorare, rivedendo tutta una serie di percorsi già battuti ma senza una particolare attenzione al «genere». Ed ecco allora una rilettura della storia delle Biennali di Monza e delle Triennali di Milano, e in parallelo del mitico ISIA di Monza, Bauhaus italiano (e qui cominciano a venire alla luce dei nomi al femminile e la possibilità delle studentesse di scriversi già dall'anno accademico 1928-'29 – anche se solo ai corsi di tessitura, come accade del resto nel Bauhaus tedesco, e di ricamo, non solo artigiane/artiste italiane ad insegnarvi)... Quindi del mondo dei Futuristi e di quelle «case d'arte», soprattutto, dove le donne hanno avuto un ruolo importante, da Rovereto e Rosetta Depero a Milano, con Chiffon Andreoni, all'entourage di Balla fino ad arrivare giù in Sicilia, a Palermo, dove il nome dell'artigiana|artista era addirittura affiancato a quello del marito... Una ricerca affascinante, naturalmente, e fino agli anni Quaranta per far emergere in particolare chi si è cimentata con materiali facilmente utilizzabili: dai tessuti o dall’arte della tessitura alla ceramica... E si è arrivati a quel titolo, volutamente provocatorio, che sottolineava come nel corso di cento anni la creatività e progettualità delle donne fosse «uscita» dalle mura domestiche (e dai merletti che soprattutto grazie all’esperienza dell’Aemilia Ars conosce una profonda innovazione sia linguistica sia del «come fare» e «come distribuire») per affrontare temi come quello del trasportation design.
Da qui, poi, una serie di conferenze volte a mettere in luce aspetti regionali, come a Treviso pochi mesi dopo. E la progettazione, con Mariateresa Chirico, de Il ponte delle Signore a Biella, per l’archivio Pria... Ridisegnare un ponte, crollato con la piena dei primi di questo secolo, che collegava due lati del torrente che da secoli permetteva l’accesso all’alta valle e sul quale, prima del lanificio, insisteva un convento dove risiedevano appunto «le signore del ponte» , le novizie che si mantenevano prima di prendere i voti facendo pagare una piccola tassa ai viandanti... Così nel volgere di qualche anno ha cominciato a prendere forma una schedatura sempre più ricca ed articolata relativa alle donne progettiste...

 Federica Capoduri:  Ancora di tua genesi e sempre dedicata all'alta professionalità femminile, è la mostra D-Come Design, ideata nell'ambito di Torino World Design Capital 2008 insieme a Luisa Bocchietto – altra grande mente progettuale nonché attuale presidente ADI. In particolar modo vorrei ricordare che dalla costola di questo progetto è nata un'associazione omonima, di cui sei presidente, intenta a proseguire il rapporto Donne/Creatività anche a livello internazionale. Puoi anticiparci qualcosa sui futuri progetti che la coinvolgeranno?

 Anty Pansera:  Nell'occasione dell'anno del design a Torino, Luisa Bocchietto – che avevo conosciuto a Biella proprio in occasione de Il ponte delle Signore – mi propose di riprendere il tema del design progettato dalle donne, ampliandolo ad una ricerca sulle donne imprenditrici che avevano/hanno caratterizzato la loro impresa proprio avvalendosi del design – al femminile ma anche al maschile. Si era poi deciso di ampliare l'analisi al territorio e di essere presenti non solo a Torino ma anche ad Alessandria, Bra, Mondovì e Biella appunto, dove si misero in scena figure di ieri e di oggi. Ed ecco D come Design. La mano, la mente, il cuore che, poi, sarebbe stata riallestita ad Alessandria d'Egitto e con grande successo.
Da questa esperienza, è nata la necessità di costituire un'associazione, che opera ormai ufficialmente dal marzo 2009, che ha come socie fondatrici e nel direttivo, Luisa Bocchietto, Loredana Sarti, Patrizia Scarzella e me. Numerose le altre amiche – designer come Valentina Downey o storiche come Mariateresa Chirico, un ingegnere come Maria Augusta Fioruzzi... – ad affiancarci, nei diversi progetti.
La finalità che ci proponiamo è proprio la valorizzazione della creatività e della progettualità delle donne. E in questo senso abbiamo già operato e abbiamo numerosi progetti in corso che riguardano la ricerca storico-critica sul ruolo delle artigiane/artiste/designer: da ricordare la mostra/ricerca Nothingless, l'aprile scorso, con la rilettura di prodotti industriali fuori produzione raccolti da due collezionisti, Daniele Lorenzon e Alessandro Padoan, con il catalogo pubblicato da Allemandi, ha fatto fare a Mariateresa Chirico e a me nuove scoperte e la piu recente Donne in bottega, messa a punto grazie alla Fondazione Cologni dei Mestiei d'Arte, a Palazzo Morando (13 marzo-21 aprile 2013) dove si sono messe in scena donne artigiane/artiste/designer lombarde. Ma stiamo operando anche sul tema del social design: tema seguito in particolare da Patrizia Scarzella, e che ha già portato ad un'interessante esperienza con la Fondazione Buon Pastore di Roma e alla realizzazione, grazie al contributo di una decina di designer, non solo italiane, ad una collezione Dignity Design Collection, realizzata in Thailandia, la cui corporate image è frutto di un concorso con le progettiste AIAP. A qesta prima espeienza ne sono seguite altre, l'ultima un pregnante corso tenuto da Patrizia e Valentina nelle Filippine. E il nostro sito www.dcomedesign.org ben testimonia quello che stiamo facendo, così come la pagina su Facebook. Un'articolata presentazione dell'esperienza in Thailandia è stata proposta anche in occasione del Salone del Mobile dello scorso anno, 2012, alla Sala degli Archi di Corso Garibaldi 116, a Milano...

 Federica Capoduri:  Un materiale che da millenni arricchisce l'arte di nuove forme ma che non ha mai cambiato il proprio essere, la sua storia materica, è la ceramica. Per menzionarlo nella storia dell'arte e rimanere allacciati alla tua figura, voglio ricordare l'interesse del Futurismo – basterebbe citare il Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica, firmato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1938 –, accresciuto dai ceramisti dell'ISIA che espressero lavori in sintonia al movimento e ne contribuirono all'identità. Questo legame ricorda molto il tuo percorso professionale; storica dell'arte ed esperta di vita futuristica, cultrice del design nonché docente e dal 2010 Presidente dell'ISIA di Faenza, città che spicca nel distretto ceramico romagnolo…

 Anty Pansera:  La ceramica è un materiale che amo in modo particolare. E mi piace ricordare come me l'abbia fatta scoprire Nanni Valentini che è stato mio collega all'ISA di Monza, negli ormai lontani anni Settanta e Ottanta. Artista e progettista davvero dalle straordinarie capacità, purtroppo prematuramente scomparso. Prima l'ho conosciuto a scuola, poi ho frequentato il suo laboratorio ad Arcore, infine l'ho presentato in almeno un'occasione. E L'arte del vasaio. La ceramica d'uso fatta a mano in Italia è stata la bella mostra – nel 1983, a Castel Durante (Urbania - PU), allestita da Massimo Dolcini – che ci ha visti operare insieme. Un'occasione da cui ho imparato tanto. Certo, anche gli studi sul Futurismo mi hanno fatto mettere in primo piano proprio la ceramica: e dacché siamo agli amarcord, ho conosciuto Enrico Crispolti proprio ad Albisola, ad un convegno sulla ceramica futurista: eravamo nel 1982... Ed anche Cesare Andreoni, di cui curo l'archivio, si era cimentato con questo materiale...
E poi l'incontro con Antonia Campi, o del design ceramico e non solo.

 Federica Capoduri:  Scusa se ti interrompo. A proposito di Antonia Campi, vorrei chiederti un commento sul recente Compasso d’Oro ADI alla Carriera di Antonia Campi. Una straordinaria figura di cui come autrice del catalogo ragionato della sua opera che copre ormai un arco vastissimo di tempo – tendenze, estetiche e resistenza etica – sai benissimo valutare il valore e l’esempio di una progettista, scultrice, disegnatrice, artista, art director che rimane ancora poco nota. Tanto per fare un esempio che mi riguarda direttamente, qualche anno orsono rimasi affascinata dalla peculiare forma del portaombrelli Plomb che Karim Rashid aveva realizzato con Serralunga senza minimamente sospettare l’esistenza del lavoro ispiratore di Laveno lo Spaziale «C33»...

 Anty Pansera:  Del Compasso d’Oro ADI alla Carriera sono stata molto felice. Artista e designer dalla grandissima creatività e sapienza progettuale Antonia Campi ha innovato sia nell’oggetto d’uso più quotidiano che in quegli apparecchi un tempo nascosti negli anfratti dei gabinetti contribuendo non poco a dare nuova forma e nuovo ruolo alla «stanza da bagno». Insignita proprio lo scorso luglio del Compasso d’Oro ADI alla carriera (classe 1921), continua a lavorare intrecciando le sue competenze con quelle di altri ceramisti. Da Antonella Ravagli – con cui ha costituito il duo Anto (dalle iniziali dei loro due nomi) e con la quale ha già realizzato anche un grande pannello dedicato all’Unità d’Italia che è stato collocato a Montecitorio –, allo studio Elica (Elisabetta Bovina e Carlo Pastore) all’opificio sestrese di Alfredo Gioventù e Daniela Mangini.
Ma Antonia è anche, oggi, una grande amica. La nostra è un'amicizia che si è andata costruendo sulla stima iniziale sviluppandosi poi su una conoscenza sempre più puntuale. Su di lei ho scritto molto: imparando soprattutto moltissimo.
Lo scorso autunno, la sua città natale – Sondrio – ha dedicato ad Antonia Campi una grande mostra in due prestigiose sedi. E un «totem», realizzato da Antonia, resterà a documentare questo evento. La mostra, poi, è stata replicata a Milano, al Museo Diocesano: stessi materiali ma due allestimenti così diversi da far leggere le opere della Campi in due assai distinte modalità... Una grande, «doppia» mostra, con bel catalogo/album che ho curato con Mariateresa Chirico.
E più recente, nel maggio scorso, l'omaggio che le ha fatto Siena, con il premio dell'Arte dei vasai...

 Federica Capoduri:  Grazie e scusami ancora per l'interruzione. Parlavamo del tuo impegno diviso fra ricerca e formazione…

 Anty Pansera:  Certo molto importante, e un grande onore, è stato nel 2010 l’incarico a presiedere l’ISIA - Facoltà del Design di Faenza, un primo triennio felice che il Ministero ha voluto bissare, rinominandomi lo scorso febbraio: una delle quattro scuole pubbliche italiane, purtroppo poco conosciute, nate decenni fa, per la formazione a livello universitario dei designer.
A Faenza la scuola si è aperta trent’anni fa, e inizialmente si caratterizzava per l’attenzione al design ceramico. Poi con il passare del tempo, si è sempre più aperta e articolata per affrontare il disegno industriale a tutto campo, dalla comunicazione al fashion design al car design: non per niente siamo sulla via Emilia… La sede è a Palazzo Mazzolani, uno storico edificio che ospita sia le aule per le lezioni teoriche che i laboratori. L’iscrizione alla scuola è a numero chiuso: solo trenta accessi sulla base di un esame di ammissione, un dieci per cento di posti destinati all’Erasmus. E costa solo mille euro l’anno! Faenza è poi una città piacevolissima quasi un campus universitario nel suo insieme anche fuori dalle mura di Palazzo Mazzolani. La Facoltà, come tutte, si articola in un triennio seguito da un biennio specialistico che si caratterizza da noi per un puntuale rapporto con progetti di aziende. Il tasso di occupazione dei nostri laureati è molto alto, e il loro inserimento nel mondo del lavoro è assolutamente gratificante per la direzione e il corpo docenti che purtroppo, come tutti, sono stati molto penalizzati dai tagli ministeriali…

 Umberto Rovelli:  Restando nel campo alla ceramica trovo che sia stimolante la considerazione che Nilo Gioacchini rivolge nei confronti di questa materia. In una intervista di alcuni anni or sono, il progettista «toscano» definiva la ceramica come «materia totale». E mi sembra vero che, almeno storicamente, la ritroviamo in vari ambiti non solo domestici: dal quotidiano più intimo – e, sovente, rimosso – alla ritualità più «aristocratica», all’arredo urbano. Un universo di relazioni che parla del nostro corpo così come delle nostre simbologie terrene. Non ti sembra che uno dei problemi se non «il problema» che oggi questa materia manifesta sia proprio quello di comunicare la propria molteplicità spessa e profonda ad un pubblico che appare quasi annichilito nella propria sensibilità da quasi 50 anni di epidermismo plastico?

 Anty Pansera:  E’ sicuramente vero che questa «materia totale» sta affrontando momenti non facili. Anche perché, di fatto, la troviamo presente sia nel mondo più proprio dell’arte sia in quello di un artigianato artistico (che, per quanto riguarda il nostro paese, forse non ha saputo ben rinnovarsi), sia nel territorio della progettazione di serie (piccola, media, grande). Oltre a concorrere a dar risposte a diverse tipologie d’oggetti: è infatti la ricerca sui «materiali ceramici» ad aver aperto molte strade potenzialmente innovative. Ma si sta perdendo il contatto con quella manualità che nel passato ci aveva portato a delle straordinarie eccellenze. Il tentativo di non perdere storia e memoria, anzi di proiettarsi nel futuro è allora la strada che, tra moltissime difficoltà, aveva intrapreso lo scorso anno l’unica città lombarda famosa nel passato anche oltralpe e con «lodifaceramica» un coraggioso assessore, Andrea Ferrari, aveva utilizzato il tradizionale concorso per sollecitare e stimolare anche il proprio territorio, dove opera – rara aves – lo studio Pixel di due giovani progettiste (Chiara Paradisi e Sarah Spinelli) che stanno cercando di innovare linguisticamente oggetti d’uso quotidiani in ceramica traendo spunto dagli stilemi del passato. Ci si augura che la nuova giunta, da poco costituita, prosegua su questo virtuoso cammino. E mi piace ricordare come proprio dal prossimo anno a Faenza, prenderà avvio un ITS che vedrà in felice sinergia proprio l'ISIA e quel Liceo (oggi) Ballardini – già storico ed apprezzatissimo ISA –, con le diverse competenze a dialogare per la formazione di un «nuovo» ceramista.

 Umberto Rovelli:  Naturalmente il discorso vale anche per altre materie in parte decadute come ghisa, argento, rame, ecc. che al pari della porcellana – come gli dei raccontati da Hillman –, hanno manifestato una bivalente efficacia – sia domestica, sia «cosmologica» –, che oggi invece stenta ad essere percepita, intesa, riconosciuta e riproposta. Lavorando a pochi chilometri dall’atelier di Bertozzi & Casoni – due artisti imolesi che da anni verificano e sperimentano la massima di Gioacchini circa le potenzialità progettuali della ceramica – ed insegnando nell’unico comune al mondo, credo, che abbia un Assessorato alla Ceramica, mi sembra che cominciare a fornire pretesti e ragioni al fine di evitare una «vana fuga» della ceramica sia più che opportuno e salutare anche per la nostra psiche «nomade». Non trovi?

 Anty Pansera:  Ben hai citato Bertozzi e Casoni, che testimoniano il fare «artistico» della ceramica, la «nobilitazione» (e lo scrivo apposta tra virgolette) di questo materiale che magistralmente piegano al loro linguaggio e ai loro racconti. E a Faenza c’è certo – come del resto anche a Lodi – un Assessorato alla Ceramica e il più straordinario Museo dedicato a questo materiale, da poco con una nuova gestione, affidata a Claudia Casali. Museo che deve farsi conoscere, deve «comunicarsi», dacché è anche uno straordinario «contenitore» progettato ad hoc dagli architetti Rita Rava e Claudio Piersanti (è da poco uscito, per i tipi di Electa, un illustratissimo volume con le puntuali foto di Gabriele Basilico che ci permette anche da lontano di «entrare dentro» e quasi visitare questa trasparente architettura fatta per valorizzare proprio i prodotti ceramici).
Ma ho l’impressione che ai faentini poco importi della ceramica e di questo loro incredibile patrimonio… Lo stesso dicasi per Lodi, dove il pubblico (non la giuria!) ha premiato all’ultimo concorso, dedicato a un «posto a tavola», un pezzo incredibilmente, e discutibilmente tradizionale: una «copia».

 Umberto Rovelli:  Seguendo il recente volume Design. Una storia di Giuseppe Chigiotti, ci si accorge come la nascita della produzione europea della porcellana sia, fin dai suoi albori, legata alla modernità. La manifattura rappresenta una sorta di prototipo della fabbrica in quel lento ma febbrile passaggio fra mondo artigianale e mondo industriale che va dalla seconda metà del 1700 alla prima del 1800. Ed è proprio in tale contesto – e specificamente per gli oggetti d’uso prodotti da Wedgwood – che è possibile rinvenire «la ricerca di un’integrazione tra la definizione dell’estetica dei [...] prodotti e la risoluzione dei problemi per una fattibilità destinata ad un mercato molto allargato. Diviene determinante per la prima volta il rapporto tra produzione e progetto dove il progetto è condizionato dalla struttura produttiva dell’azienda»  1 . Mi sembra, cioè, che nella manifattura convivano paradossalmente sia gli echi del mondo antico sia i germi del «tempo nuovo» che ha avuto, per esempio, in Gariboldi un interprete eccezionale. Un dualismo che ritroviamo anche nella paradossale compatibilità che l’«oro bianco» mostra di avere sia nei confronti del design che dell’arte. A tuo parere, sta forse nell’indecidibilità circa il campo più pertinente per questa materia, una delle ragioni della sua fortuna ormai plurisecolare?

 Anty Pansera:  Il passato deve essere memoria, da proiettare nel presente e nel futuro: e quanto ha scritto Chigiotti dovrebbe essere letto e ben capito dai designer (intesi in senso lato) e dagli artigiani/artisti sia che usino la terra o altri materiali della tradizione.
Continuo a credere che la ceramica, un nuovo modo di pensarla, tipologicamente e linguisticamente, dalla parte del progetto e della produzione (anche di nicchia, o forse proprio pezzo unico e/o piccola serie) possa riportare ad eccellenze utili anche per la bilancia dei pagamenti.
Le «difficoltà» indubbie che anche il nostro Paese sta vivendo, potrebbero portare ad una ripresa progettuale – certo diversa dal passato. E proprio dal mondo del progetto potrebbero scaturire gli input e gli strumenti per uscire, come nel dopoguerra, dalla crisi.

 Umberto Rovelli:  Ancora su Wedgwood – e sulla modernità della ceramica – vorrei segnalarti che, in una recente conferenza, il fondatore del Design Museum di Londra, Stephen Bayley, ha illustrato un parallelo forse stimolante fra l’imprenditore/ceramista inglese e Steve Jobs. Nel suo intervento, Bayley ha sostenuto che «entrambi sovvertirono i loro rispettivi campi dimostrando» come fosse «possibile vendere alle masse un prodotto con un prezzo di fascia alta. Il loro segreto consisteva nel creare oggetti di tale qualità, utilità e bellezza che le tiranniche logiche delle business school finivano in nulla»  2 . Com’è noto sia Wedgwood – tra i primi imprenditori al mondo a pubblicare un catalogo di vendita – sia Jobs – le cui serate di presentazione rasentavano la «catarsi» collettiva – non si limitarono a produrre eccezionali beni di consumo ma erano anche agguerriti «commercianti». In un contesto come l’attuale, segnato profondamente dalla recessione ed in cui la progressiva dispersione dell’utenza non sembra certo favorire l’abbassamento del costo di prodotti, «comunicare la qualità» appare una risorsa chiave per allargare la base dei propri clienti. Mi sembra un tema rilevantissimo che stenta però a trovare il suo giusto interprete, il suo giusto canale...

 Anty Pansera:  Non possiamo che puntare sulla qualità, soprattutto, nel nostro Paese, una cifra che ci riporta ad un lontano passato dove affondano le radici anche quei manufatti straordinari che i «mestieri d’arte» – termine da ben comprendere, dove alla sapiente conoscenza della tradizione si deve affiancare la consapevolezza dei nuovi linguaggi dell’oggi e anche la propositiva curiosità verso nuove e innovative tipologie – continuano a proporre.

 Umberto Rovelli:  Accedendo a quanto pubblicato su www.salutementaledonna.it è possibile apprendere che «gli strumenti chirurgici per la rivascolarizzazione coronaria (by-pass, angioplastica coronaria)» sono «gli stessi di quelli usati per gli uomini e poca attenzione è stata data al fatto che le donne» abbiano «delle coronarie e dei vasi sanguigni più piccoli». E’ solo un esempio per manifestare come l’«antagonismo di genere» sia un sottotraccia assai concreto e poco valutato nella nozione di standard. Mi sembra che dai rischi potenziali insiti in questa occulta «eterogenità» delle norme si potrebbe arrivare a contestare buona parte della contemporanea produzione seriale «generalista», e, di concerto, procedere alla riemersione – anche valoriale – di «autonomie» che non sono solo nicchie mercantili ma «situazioni» o «scenari di senso» che coinvolgono sia il genere che l’età. Non è un caso che l’obiettivo dichiarato di Children DesignWorld che hai curato ad AbitaMI 2011 fosse appunto quello di riscoprire «il mondo del design per i bambini: dargli una sua visibilità, un’autonomia rispetto all’arredamento “per i grandi”». Potresti parlarci del senso profondo di questa mostra?

 Anty Pansera:  L’attenzione ai bambini in Itala risale a quella straordinariamente acuta di Maria Montessori che – nemo propheta in patria – continua ad avere, dopo un secolo, più riconoscimenti oltralpe e oltreoceano che in Italia. Ed è stata forse proprio la Montessori la prima designer per l’infanza. E' stato infatti il suo progetto pedagogico a caratterizzarsi anche per gli «attrezzi» per lo studio (tavolini, sedute) e i «giochi» didattici di straordinaria espressività. E’ da lì, da questo nuovo «sguardo» all'argomento che si è partiti per una ricognizione, storica (grazie ad un articolato apparato iconografico che è stato proiettato durante la mostra). Ma con l'intento di arrivare all’oggi, Children DesignWorld ha inteso offrire anche una ricognizione del panorama contemporaneo, prendendo in esame sia i progetti/prodotti espressivamente pensati per i bambini in Italia e all’estero, sia le «minaturizzazioni» subite – per la gioia del mercato – da numerosissime icone della cultura del progetto.

 Umberto Rovelli:  Con Edgarda Giordani su Noi Maggio ti sei espressa diffusamente sulla storia del design del secondo dopoguerra in occasione di un incontro per la mostra Nientedimeno/Nothing Less 1945-2000. La forza del design femminile, in corso a Santa Maria Incoronata di Milano dal 6 al 22 aprile 2011. In quella occasione sostenevi quanto fosse opportuno tener separata «la storia che riguarda l’interior e gli arredi da quella degli oggetti di design». Anche in ragione di quanto è stato evidenziato nell’esposizione citata, a tuo avviso in che rapporto stanno e come dialogano queste due storie nel periodo del secondo dopoguerra?

 Anty Pansera:  Sono due storie, credo, parallele ma che si intersecano di continuo, la storia di come si sono modificati gli ambienti della casa soprattutto dal secondo dopoguerra del secolo scorso (per non dire dell’affacciarsi alla ribalta della «casa borghese» e dell’invenzione dell’«appartamento» nel secolo ancora precedente) e del ruolo che i diversi spazi hanno conquistato o perso, va di pari passo con l’esigenza di arredarli/attrezzarli e dunque con la messa a punto di «mobili» che come il loro etimo ben esplicita, si sono modificati nel corso dei decenni quando non negli anni... La miniaturizzazione poi di certi ambienti e l’ampliamento di altri ha contribuito ad imporre, nuovamente, altre soluzioni che il furniture ha individuato e, per così dire, fatto proprie...

 Umberto Rovelli:  Nel corso di Florence Design Week 3.0 (22-27 maggio 2012 – Firenze) si è svolta la mostra Se il Design è Donna tenutasi al Palagio di Parte Guelfa in piazza di Parte Guelfa, 2r. L’esposizione  3  partiva da un’idea molto forte anche se forse non sviluppata ed esemplificata in modo esaustivo: «Qual è la percezione sociale della creatività femminile? Il “fattore creativo” è diverso tra uomini e donne? Quanto incide l’universo emotivo femminile sulla progettualità?». Ovviamente una risposta univoca a queste domande non è plausibile, ma c’è un aspetto interessante della creatività femminile – quello multitasking – che appare immediatamente quasi in antitesi con i forti connotati di specializzazione che caratterizzano le culture tecnologicamente avanzate odierne e che sembra – a patto di non snaturarla – contraddire ogni speranza di una auspicabile «maggiore valorizzazione ed un più ampio riconoscimento». Cosa ne pensi?

 Anty Pansera:  Le donne sono sempre più presenti sia nel momento della formazione – chiunque di noi insegni nelle scuole di design (pubbliche o private) ha davanti un «pubblico» soprattutto femminile –, negli studi professionali, nella libera professione... E le loro «qualità», dalla curiosità all’impegno per acquisire conoscenze e competenze, emergono esplicitamente... A questo proposito propongo di leggere (o rileggere) l’intervista realizzata con Michele De Lucchi – un architetto/designer che certo appartiene allo star system nonostante il suo understatement – e pubblicata proprio in chiusura del libro/catalogo Nientedimeno, la forza del design femminile...

 Umberto Rovelli:  Da qualche anno, studiosi, docenti e cultori della storia del design hanno inteso costituirsi nella libera associazione A/I/S/Design. L’Associazione ha come scopo quello di promuovere gli studi storici del design in Italia, di valorizzarli in ambito scientifico e accademico e di accreditare la disciplina a diversi livelli, dalle istituzioni all’ambito professionale. A tre anni dalla nascita dell’associazione, vorrei chiederti quali sono le tue sensazioni in proposito. Vorrei inoltre conoscere il tuo parere anche su un dato che ho notato consultando il regesto – messo a disposizione da AIS/design sul sito web lo scorso anno – delle monografie pubblicate in Italia negli ultimi vent’anni. Su un elenco di poco meno di 170 monografie, quelle dedicate a giovani autori 40enni erano meno di 20 di cui 5 (dedicate a Fabio Novembre, Giulio Iacchetti, JoeVelluto, Lorenzo Damiani e Dodo Arslan) realizzate nell’ultimo anno considerato, il 2009. Solo 7 le monografie dedicate a donne (tra l’altro riducibili a 5 perché sia Antonia Campi che Anna Castelli Ferrieri ne hanno avute due) e nessuna giovane designer. Dovendo dare una spiegazione ho stilato una serie di ipotesi: nostalgico attaccamento alla stagione pionieristica ed «aurea» della disciplina; difficoltà di comprensione dello zeitgeist attuale e del nuovo design che tenta di interpretarlo; paura di sbilanciarsi in giudizi a breve termine; sobrio disinteresse per un presente dominato dalla comunicazione e dallo star system; salutare temporeggiamento ai fini di meglio comprendere una prassi e un tempo fortemente connotati dalla transizione; rifiuto nei confronti dell’esuberante futilità del progetto contemporaneo... O cos’altro ancora?

 Anty Pansera:  La premessa al primo libro che ho dato alle stampe, Storia e cronaca della Triennale (Longanesi, 1987) era una citazione da Attesa di Eugenio Montale: «Si deve attendere un pezzo prima che la cronaca / si camuffi in storia»... Forse, anche a distanza di un quarto di secolo, quella stessa frase spiega ancora molte cose.


NOTE AL TESTO

 1  Giuseppe Chigiotti, Design. Una storia, Franco Angeli, Milano 2010.
 2  Steve Jobs come Josiah Wedgwood, «Affari Italiani.it» / mediatech, www.affaritaliani.it/mediatech, 31 maggio 2012.
 3  Se il Design è Donna, mostra a cura di Ornella Sessa con esposizione opere di: Gae Aulenti, Chiara Boni, Luisa Bocchietto, Angela Capasso, Jane Catania, Maddalena Rocco, Federica Tega, Ornella Sessa, Marta Mandolini, Emiliana Martinelli, Raffaella Riccio, Marta Sansoni, Carin Silva Gil e Videoinstallazione by design-dautore.com. 22-27 maggio 2012, Palagio di Parte Guelfa in piazza di Parte Guelfa, 2r Firenze.


Anty Pansera
via Volta 12 - 20121 Milano
tel: +39 02 290.008.45

info@antypansera.it
anty.pansera@gmail.com
presidente@isiafaenza.it
presidente@dcomedesign.org

www.antypansera.it
www.dcomedesign.org
www.isiafaenza.it


Anty PanseraAnty Pansera. (Milano, 1948) Laureata in Storia della critica d'arte all'Università Statale, dal 1996 al 2008 ha insegnato «Teoria e storia del disegno industriale» al Politecnico. Dal 2001 insegna all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel febbraio 2010 è stata nominata Presidente dell'I.S.I.A. (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Faenza. Nell'aprile 2010 è stata cooptata nel board dell'FHD, Fundaciò Història del Disseney (fondata a Barcellona nel 2007). Ha partecipato alla costituzione dell'Associazione D come Design e ne è stata eletta presidente. Critico e storico dell'arte e del design ha pubblicato numerosi studi sui temi del disegno industriale e delle arti decorative/applicate, recuperando le radici della loro diffusione moderna nelle Biennali di Monza e nelle Triennali di Milano: il primo, Storia e cronaca della Triennale, Longanesi 1978. Ha curato numerose rassegne e convegni sulle arti decorative e sul design e affrontato nuovi media quali il video e il CD rom (anche per la Regione Lombardia, 1995). Con Victor Margolin e Federick Wildaghen ha progettato e realizzato il primo Convegno Internazionale degli storici del design, Tradition and Modernism: design 1918-1940, Milano, Museo della Scienza e della Tecnica, maggio 1987 e ne ha curato gli Atti (L'Arca edizione). Ha collaborato e collabora a quotidiani italiani («Il Giorno», «II Sole 24 ore», «Il Mattino» di Napoli), a periodici di politica culturale («Il Moderno»), e a riviste italiane e straniere del settore.

Federica CapoduriFederica Capoduri. (Certaldo - Firenze, 1983) Laureata in Disegno Industriale alla Facoltà di Architettura di Firenze dopo il diploma nella sezione Architettura dell’Istituto d’Arte di Siena, nel 2006. Contemporaneamente agli studi universitari si interessa al mondo editoriale e giornalistico, scrivendo di design e architettura per testate e riviste di settore e inizia l’ininterrotta collaborazione con il portale sul design www.IdeaMagazine.net dove pubblica articoli, recensioni, report sul Salone del Mobile di Milano e soprattutto interviste a professionisti italiani e internazionali.
Nel 2008 consegue il Master in Editoria promosso dalla Regione Toscana che gli permette di lavorare nella redazione e nel reparto grafico della storica casa editrice d’arte Skira di Milano. Attualmente lavora come freelance nel campo editoriale; recentemente ha collaborato con DNA Editrice per la rivista AND Rivista di architetture, città e architetti e con ADI - Associazione per il Disegno Industriale per il volume Italian Design Today. Ha da poco concluso il contributo alla preparazione grafica della rivista scientifica Techne - Journal of Technology for Architecture and Environment.


giugno 2013 
Firenze / Faenza 


0.
Casa d'Arte - Museo Depero di Rovereto / Il laboratorio degli Arazzi / 1921
Antonia Campi / Spaziale - portaombrelli / 1949 / by S.C.I. (Società Ceramica Italiana) - Laveno
I.

II.
Franca Helg / Cassettiera del tavolo TL22 / 1958 / by POGGI
Antonia Campi / Neto 334 - forbici / 1958 / by ERMENEGILDO COLLINI
III.

IV.
Franca Helg / Sedia SD9 - Luisella / 1959 / by POGGI
Antonia Campi / Italicus - trinciapollo (modello 397) / 1960 / by ERMENEGILDO COLLINI
V.

VI.
Gae Aulenti / Sgarsul - dondolo / 1962 / by POLTRONOVA
Cini Boeri / Cubotto - contenitore mobile - tavolino / 1967 / by ARFLEX
VII.

VIII.
Studio Tetrarch / Pallade - lampada da tavolo / 1968 / by ARTEMIDE
Anna Ferrieri Castelli / K4997 - tavolo / 1969 / by KARTELL
IX.

X.
Gae Aulenti / Locus Solus - set tavolo e sedie / 1965 / by POLTRONOVA
Anna Ferrieri Castelli / Componibili / 1969 / by KARTELL
XI.

XII.
Cini Boeri / Modello n° 235 - applique / 1971 / by ARTELUCE
Cini Boeri / Strips - poltrona / 1972 / by ARFLEX
XIII.

XIV.
Afra Bianchin Scarpa / Dialogo - poltroncina / 1974 / by B&B ITALIA
Pia Crippa / Lampada da tavolo / 1978 / by LUMI
XV.

XVI.
Cini Boeri / Accademia - lampada da terra / 1978 / by ARTEMIDE
Nathalie Du Pasquier / Specchio per la rivista «Donna» / circa 1985
XVII.

XVIII.
Anna Ferrieri Castelli / 4870 - sedia / 1986 / by KARTELL
Cini Boeri / Ghost - poltroncina / 1987  / by FIAM ITALIA
XIX.

XX.
Gae Aulenti / Tour Table - tavolo / 1993 / by FONTANAARTE
Carin Silva Gil / Gabbiano - poltrona a dondolo / 2003 / by GIOVANNETTI
XXI.

XXII.
Marta Sansoni / Bucaneve - contenitori in MDF laccato con elementi in resina o corian / 2010 / by BIANCO SOLO
Marta Sansoni / Tralcio muto - contenitori in MDF laccato con elementi in resina o corian / 2010 / by BIANCO SOLO
XXIII.

XXIV.
Cini Boeri / Bebop - divano / 2010 / by POLTRONA FRAU
Danielle Lorensatto / Sketch - sedute in metacrilato di scarto e acciao /  2010 / by LETTERA G
XXV.

XXVI.
Carin Silva Gil / Join - maniglia / 2010 / by HEWI
Emiliana Martinelli / Biconica Pol - lampada da terra / 2011 / by MARTINELLI LUCE
XXVII.

XXVIII.
Emiliana Martinelli / Trilly - lampada / 2011-2013 / by MARTINELLI LUCE
Luisa Bocchietto / Ti-Amo - vaso / 2012 / by EGIZIA VETRI
XXIX.

XXX.
Luisa Bocchietto / Collezione Pop-IT - vaso / 2012 / by EGIZIA VETRI
Luisa Bocchietto / Segre-Ti - vaso / 2012 / by EGIZIA VETRI
XXXI.

XXXII.
Ornella Sessa / Mariposa mock-up - pouff / 2012 / by GIOVANNETTI
Enrico Bona, EDB Studio / Altarina - abat-jour /  2012 / realizzazione: Elena Rosso
XXXIII.

XXXVI.
Bertozzi & Casoni / Cuccia Brillo - ceramica policroma / 2003
Lazzari / Ornamento / 2011 / Mostra Donne in Bottega
XXXVII.

XXXVI.
Rigotti / Cuscino con farfalla / 2011 / Mostra Donne in Bottega
Patrizia Scarzella / Cuscini double-face / 2012 / realizzazione: Thay Artisans | Design Dignity Collection
XXXVII.

XXXVIII.
Studio Pixel - Chiara Paradisi e Sarah Spinelli / Contemporaneamente700 - collezione di ceramiche lodigiane | Inzuppaluce  – lampada / 2010
Donata Paruccini / The Fly - puntina da disegno / 2001 / by ALESSI
XXXIX.

XL.
Monica Graffeo / Lazymary - seduta relax / 2005 / by DISGUINCIO

 




TOP