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 IL SENSO DEL NUOVO. DESIGN TRA INTUIZIONE ED ANALISI
 Intervista a Donata Paruccini

Donata Paruccini nasce nel 1966 a Varedo (Milano), trascorre la sua infanzia ed i primi anni formativi in Sardegna, quindi si trasferisce a Firenze dove studia industrial design all'ISIA con Jonathan De Pas. Dal 1994 al 1997 lavora nello studio di Andrea Branzi. Ha partecipato a diverse edizioni della mostra Opos durante il Salone del Mobile di Milano e nel 2004 ha insegnato all'Istituto Europeo di Design di Milano. Intensa anche l'attività di ricerca che la vede elemento centrale del gruppo dei giovani designer italiani. Tra le diverse esposizioni collettive ricordiamo, nel 2005, Premio Caiazza Memorial Challenge, organizzata da Promosedia, Udine; nel 2004, Sensidivini alla Triennale di Milano; nel 2003, 1950-2000: Theater of Italian Creativity al Dia Center di New York; nel 2001, Intorno alla fotografia al Museo d'arte contemporanea di Nuoro ed infine Pane Fresco nel 1999, presso la Galleria Luisa delle Piane di Milano. Attualmente lavora a Milano come libera professionista.


La tua produzione creativa di designer si contraddistingue anche grazie all'uso sapiente dei particolari. La loro cura e la marcata attenzione che ricade su di essi, spesso assumono sfaccettature poetiche e naturali. Viene subito alla mente una sorta di legame progettuale con Andrea Branzi – ex componente degli Archizoom Associati –, con cui hai lavorato per tre anni all'inizio della tua carriera. Quanto davvero influisce questa esperienza e quali altre, o quali altri personaggi, hanno fatto presa nel determinare il tuo iter lavorativo?
Ti ringrazio per l'osservazione sui particolari che ritengo un bel complimento, ed è vero quel che dici, Andrea Branzi è stato per me molto importante. Durante la scuola avevo letto ed apprezzato i suoi scritti e sono stata molto fortunata nel poter accedere al suo metodo di lavoro. Penso di aver in quegli anni succhiato elementi essenziali che in seguito ho utilizzato. Anche se non ci sono nei miei oggetti dei fattori o dei segni spiccatamente branziani, credo mi abbia trasmesso strumenti importanti, che una volta compresi ho potuto usare. Ancora adesso, il suo lavoro è per me illuminante e lo ritengo molto più libero, assoluto e poetico del mio.
La seconda persona che mi ha aiutato è stata Tamar Ben David, conosciuta sempre in quegli anni nello staff dello studio Branzi. Lei mi ha insegnato alcune tecniche del mestiere e mi ha fatto affinare la capacità di analizzare la produzione esistente. E' una figura che qualche volta ancora consulto quando, in fase progettuale, ho la necessità di avere un differente parere o una conferma alla mia visione.
Un'altra esperienza importante è stata quella che ho fatto verso la fine degli anni '90 all'interno di Opos, dove ho mosso i miei primi passi di ricerca autonoma. Durante quegli anni in Italia, Opos rappresentava l'unico luogo di confronto e di esposizione per un giovane designer, ed è stata per me e per molti altri una palestra importante.
Negli anni successivi ho trovato un ottimo compagno di viaggio in Gabriele Pezzini. Grazie alla sua energia ho continuato ad investire sulla ricerca, insieme abbiamo partecipato al Salone Satellite e vissuto l'esperienza di molte mostre e vari progetti – come ad esempio Virtuallydesign.com, l'impresa nata nel 2001 che ha prodotto sino ad oggi due collezioni: la prima di accessori per il bagno realizzati in diversi materiali, la seconda di complementi per la casa in legno.
Attualmente, anche con lui, ho spesso uno scambio di pareri e visioni.
Poi non posso non citare maestri osservati ma purtroppo non frequentati come Jasper Morrison e altre figure importanti a cui penso tutti i designer della mia generazione hanno guardato: Achille Castiglioni, Vico Magistretti, Enzo Mari…

Il pensiero diventa segno. Dal titolo del tuo articolo scritto per la rivista Box prendo coraggio per chiederti la parte volutamente omessa del pezzo. Ossia quella che parla di Te, del senso del tuo lavoro e del sistema design che ti circonda…
Dare un senso al proprio lavoro, perché si progetta… Non ho il desiderio di migliorare il mondo o di fare degli oggetti più belli di quelli già esistenti. Il mondo non necessita del mio contributo formale, sarebbe presuntuoso pensarlo. Ho invece capito ultimamente che io progetto per me, cerco con coerenza di dire qualcosa di nuovo, analizzo via via le problematiche del caso e rispondo con un mio personale pensiero, che chiaramente non è scevro da tutte quelle informazioni ed indottrinature che negli anni ho acquisito. Mi piace pensare che quando qualcuno compra o produce un mio oggetto è perché ha condiviso una parte del mio pensiero e in quel momento è un po' sulla mia lunghezza d'onda. Questo da un senso alla mia continua ricerca.
Nella tua domanda mi chiedi anche di parlare del sistema design, e questo è per me piuttosto difficile. Diciamo che per parecchio tempo il sistema design è stato impermeabile ai miei numerosi tentativi di farne parte. Da esterna l'ho comunque osservato, e solo in questi ultimi anni ho potuto accedervi, anche se limitatamente. Spero che in questa chiusura non ci sia niente di personale, ma sia stata determinata dalle problematiche del settore che la mia generazione di designer italiani ha purtroppo incontrato. Abbandonati a noi stessi, negli anni sono andati persi molti talenti che non sono stati riconosciuti e aiutanti nella loro crescita professionale, e indubbiamente in questo lavoro l'esperienza è necessaria e fondamentale. Devo però registrare negli ultimi tempi un leggero cambiamento, germinato nel settore di una parte della stampa che ha posto attenzione al problema, rendendo un po' visibile chi caparbiamente negli anni ha continuato a lavorare. Finalmente adesso qualche imprenditore comincia a concedergli la parola.

Un momento topico per la buona riuscita di un progetto è quello della prototipazione – argomento purtroppo legato ad un mondo semi-sconosciuto per i giovani designer. Cosa ne pensi in merito? Tu stessa affermi che personalmente vivi questo momento in maniera totale, cercando sempre di carpire il massimo dall'esperienza dei laboratori artigiani. Come se osservare concretamente il proprio pensiero che è diventato oggetto ti dipinga madre incantata ogni volta…
È una bella visione quella che hai dato, io realizzo sempre dei modelli e poi cerco di seguire la prototipazione. Il mio metodo progettuale ha la necessità di un contatto tridimensionale con l'oggetto, ho bisogno di capire come si fa realmente. Le aziende dovrebbero sempre instaurare un contatto tra il progettista e l'artigiano esecutore, ma raramente lo fanno anche per via dei costi. Le aziende non investono su tutti i designer e hanno un rapporto privilegiato di fiducia con pochi, con i quali sono pronti a fornire informazioni e a sperimentare sullo sviluppo del prodotto. Agli altri progettisti viene invece richiesto un pacchetto completo con soluzioni poco rischiose incluse. E così il designer meno fortunato deve fare tutto da solo con informazioni e conoscenze del caso limitate. E' molto difficile dare il meglio di sè in queste condizioni, un progettista ha bisogno di materiale e stimoli da elaborare, e questo purtroppo è raramente considerato dagli imprenditori.

Hai anche esposto dei lavori in mostre collettive negli Stati Uniti, Europa e Giappone. Vorresti descrivermi come hai vissuto queste differenti realtà? Quale si rispecchia di più nel tuo Io, considerandolo sia in campo lavorativo che sociale?
Il periodo in cui viviamo è caratterizzato dalla possibilità di avere scambi veloci e si parla sempre più di design globale. Penso che in passato fosse veramente stimolante entrare in contatto con sollecitazioni culturali diverse dalle proprie, la scoperta generava degli ibridi interessanti… Ma ora l'effetto non è più così dirompente, ormai tutti conosciamo un poco di tutto e lo utilizziamo. E' più difficile fare una scoperta che rappresenti una propria svolta. Comunque, essendo di natura curiosa, osservo e cerco in un qualsiasi altrove degli stimoli, che poi però rapporto sempre a me, alla mia identità e alla struttura del mio pensiero che si è formato in Europa.
Penso che all'interno di ognuno di noi si sia stratificato, attraverso le diverse esperienze – che vanno dall'infanzia vissuta, agli studi fatti, alle cose viste, ecc. –, un modo di cogliere e rispondere alle sollecitazioni esterne, che persiste alle differenze formali e culturali che incontriamo durante qualsiasi percorso.
Personalmente, anche conoscendo le diverse realtà grazie alla dinamicità del periodo, penso di incarnare una progettualità strettamente italiana.

Attualmente lavori come libera professionista con aziende come Alessi – di cui ricordiamo la simpatica puntina da disegno The Fly –, Morellato – il portacandele Duetto ne è un esempio –, Pandora Design – per la quale hai progettato insieme a Fabio Bortolani il set di posate Deluxe. Da queste esperienze e dal tuo ricco curriculum si percepisce concretamente il legame che hai verso il mestiere del designer, e soprattutto verso quello che riesce a vedere un designer, che ne determina da sempre il plusvalore. Raccontami cosa significa veramente per te la visione: predisposizione, segno germinale della creatività, un po' di follia…
Spero tanto non sia follia… Perché sono in realtà una persona molto razionale alla quale piace elaborare il pensiero, sapendo che quando è ben strutturato è possibile dare risposte fantasiose che poi funzionano realmente.
Compito del designer è realizzare una ricerca formale su un prodotto, cercando di fargli compiere una piccola evoluzione. Questo è per me il plusvalore del design, e nell'ambito di questo tentativo si muove la mia ricerca. Qui io compongo la mia visione, che sottolineo è costruita e non arriva da sola, perché anche se il momento dell'intuizione può sembrare autonomo, so perfettamente che l'idea arriva solo se ho impostato le condizioni perché questo accada. E' vero, ci si può svegliare la mattina e sotto la doccia avere l'illuminazione… Ma solo perché la mente ha dei meccanismi di funzionamento curiosi. Nei giorni precedenti, probabilmente, il mio pensiero ha vagato in lungo ed in largo ed ha setacciato le diverse possibilità per poi scegliere un'unica ipotesi.
Proporre una nuova visione è piuttosto complicato, e penso che se il designer vede davvero qualcosa in più è perché, oltre la sua personale predisposizione verso l'intuizione, ha la capacità di saper sapientemente analizzare.

Senza dubbio un altro tuo progetto degno di merito è la sedia Sgambata, realizzata per la scorsa edizione di Promosedia. Un progetto che sfrutta la resistenza del legno multistrato e che premia l'elemento di giunzione tra la seduta e lo schienale, sottolineandone l'effetto visivo con un tocco giusto di colore. Allacciandomi a questo volevo chiederti qual è l'oggetto della tua produzione secondo te più riuscito, e perché no, il tuo preferito…
L'esperienza fatta ad Udine grazie a Promosedia, è stata forse la più bella e stimolante a cui per ora abbia mai partecipato. Un ente che affida e finanzia la ricerca a designer sotto i quarant'anni rappresenta un vero investimento sui giovani, e attualmente è uno dei pochi casi di aiuto concreto verso di loro.
Quando Marco Romanelli – bravissimo curatore dell'evento –, mi ha proposto il progetto, ero molto contenta e lusingata. Ovviamente ero anche un po' spaventata: dovevo proporre una nuova sedia a chi conosce tutto sulle sedie. Però mi hanno trattato subito da professionista ed esaudita in ogni richiesta, confortando così il mio iniziale timore.
L'oggetto a cui sono più affezionata è la puntina da disegno The fly – realizzata nel 1999 per il concorso Opos under 35 –, e poi presentata all'azienda Alessi, che senza badare al fatto che fossi una designer sconosciuta l'ha subito molto apprezzata. Quando poi l'hanno messa in produzione, nel 2001 – era il mio primo oggetto prodotto –, mi ha fatto pensare che potevo realmente fare questa professione.
Oggi, pur non amando circondarmi dei miei oggetti la uso abitualmente, e quando per caso con lo sguardo ne incontro una, rimango ancora piacevolmente colpita.


Donata Paruccini
Via Paruta 59
20127 Milano - Italy
Tel +39 02 2564581
paruc@yahoo.com

OPOS
via Ermenegildo Cantoni, 3
20156 - Milano
Tel: +39 02 33404307 / Fax: +39 02 33404309
www.opos.it

Alessi
www.alessi.it
Museo d'arte di Nuoro
www.museoman.it
Morellato
www.morellato.com
Eurochocolate
www.eurochocolate.com
Promosedia
www.promosedia.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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a cura di: 
Federica Capoduri 


 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.

XII.
XIII.

XIV.
XV.

XVI.
XVII.

XVIII.
XIX.

XX.
XXI.

XXII.
XXIII.

ha collaborato:
Mariagiulia Graniti




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