ENZO MARI  | GABRIELE PEZZINI. CHE FARE


Questa piccola mostra nasce dall'idea di confrontare il lavoro di due autori che, anche se formati in epoche molto diverse, concordano su molti aspetti del loro operare.


Il design delle origini è stato pensato e realizzato da una decina di autori (architetti, artisti, imprenditori) negli anni '30 in Germania e dalla stessa quantità negli anni '50 in Italia. Erano tutti permeati dall'ideologia utopizzante del Socialismo e da quella della cultura umanistica. Così anche il pubblico, che capiva e apprezzava le loro opere. Era una piccola avanguardia che inorridita dall'«art pompier», perseguiva l'utopia del lavoro come trasformazione dell'uomo. Così, ogni design intendeva essere il portatore dell'idea dello standard (dal francese étendard), quale allegoria dei valori di una società ancora da trasformare. E pensavano ingenuamente che l'onesta intelligenza di un prodotto potesse influire positivamente sui bisogni, quindi sul mercato. Questa linea utopizzante era in sintonia con il clima di ricostruzione, materiale ed ideale, del dopoguerra che permeava tutti gli Europei. Già a metà degli anni '60 incominciavano ad apparire i segni della sua non più corrispondenza ad una società imbarbarita dai pensieri deboli e resa ottusa dallo «sfruttamento globale» del dominio della merce. Negli anni '70 quella poetica è ormai incomprensibile.

Tutte le persone vicino all'essenza del design oggi si rendono conto del degrado inarrestabile di ciò che si produce. Tuttavia anche nei casi non immediatamente mercantili, quali realizzazione di musei, saggi, mostre ambiziose non emergono critiche oggettive.
Ne è causa anche la proliferazione eccessiva di manierismo radicale o tradizionale contaminato da inconsce prescrizioni individuali oppure da cinismo. Si continua a produrre cose e si continua a nominarle «design» quando il loro nome dovrebbe essere «art pompier» o, più generosamente «arte decorativa». È inutile che le cose prodotte siano, devono solo sembrare, corrispondere agli infiniti bisogni indotti, come impone il dominio della merce. Il design implica la compresenza di tre entità: l'autore, l'imprenditore, il pubblico. Ma, oggi, dove sono Mart Stam e Achille Castiglioni? Dove sono Adriano Olivetti e Bruno Danese? E la gente? La maggior parte guarda il «grande fratello». Mi si può obiettare che parlo di cose note che altri hanno descritto molto meglio e che dovrei limitarmi a fare il mio lavoro di designer... ma oggi è quasi impossibile se mi rifiuto di produrre «art pompier».
Dunque, di ogni tipo (sedia o lampada che sia) conosco circa un milione di «design» già realizzati. Ogni «design» doveva essere o sembrare diverso. Ciò ha implicato approcci progettuali diversi («per bene», «radicale», «contestazione», per interni, esterni, ufficio, casa, economico, di lusso, eccetera).

Ognuno di questi approcci è stato realizzato con tecnologie alternative: ferro, plastica di tipo A, B, C, D, E, F, ecc., legno, lamellare, bambù, ecc., forgiatura, imbutitura, stampaggio ecc., alluminio, carbonio, titanio, ecc... Mi fermo. Ognuna di queste scelte è stata attuata unicamente per realizzare una parvenza diversa... Questa ossessione spiega, senza alcuna retorica sulle poetiche, il perché dell'art pompier o arte decorativa. Una parte dei prodotti tuttavia appare quasi decente, ma sono unicamente la ripetizione manieristica di progetti preesistenti...
Mi si chiede spesso di fare un nuovo progetto. Ma, se deve essere nuovo come è possibile farlo: per ogni approccio e relativamente ad ogni tecnica conosco migliaia di preesistenze. Non è possibile farlo! Dico, ogni volta, a chi mi chiede un nuovo progetto, di accettare a condizione di non essere retribuito con un improbabile diritto d'autore del 1% sul prezzo di vendita al pubblico (in Italia) ma di essere pagato un tanto all'ora, come qualsiasi tecnico o consulente. Ho sempre ottenuto un rifiuto. Ho proposto più volte di dedicare il 10% della cifra che annualmente un'azienda ogni anno investe per la propria balorda sperimentazione, da utilizzare per un progetto strategico che implichi un tempo decente di realizzazione non limitato a poche settimane. È sempre stato rifiutato. Ho proposto più volte... Mi fermo qui. Dunque chi mi chiama apprezza la mia competenza ma posso lavorare solo se rinuncio a quella competenza...
Questo vuoto si riferisce solo alla mia persona? Che cosa fanno gli altri milioni di «designers», prevalentemente giovani, che le scuole hanno diplomato (e continuano incessantemente a farlo) con le stesse modalità industriali della produzione di merce? Tutti, magari confusamente, pensavano di scegliere un lavoro non alienato ma la maggior parte non trova alcuna sistemazione... Alcuni pensano che l'«art pompier» sia l'avanguardia di una nuova cultura... Altri, al contrario sognano una possibile trasformazione lavorando su una semplicità essenziale, ma tutto è già stato progettato e i cultori del «Grande fratello» non amano la semplicità.

Gabriele Pezzini è anche lui permeato dall'idea dello "standard" (tale idea è oggi fuori moda) e con determinazione intende operare in quella direzione.
Nei dialoghi che abbiamo concordiamo sul fatto che un prodotto nasce dal dialogo tra un «designer» e un imprenditore. Il «designer» è responsabile della forma e la qualità di questa emerge sempre da una progettazione di tipo globale che, oggi particolarmente, corrisponde a Utopia. L'imprenditore è responsabile non solo degli aspetti economici della realizzazione di un prodotto ma anche di come riuscire ad imporlo ad un mercato ferocemente in competizione. Un buon prodotto si può realizzare quando un imprenditore, concretamente efficiente, fa sua almeno il 20% di Utopia... Gabriele Pezzini anche di ciò sa bene che molto raramente è così... Ma siamo giunti a un punto tale di degradazione che un cambiamento, inizialmente almeno comportamentale, potrebbe sembrare possibile.

Enzo Mari, agosto 2009


Enzo Mari insegnava al corso di progettazione durante gli anni in cui frequentavo l'ISIA di Firenze, ma non era mio docente, e solo di nascosto, evitando altri corsi riuscii ad seguire alcune delle sue lezioni. Ci siamo conosciuti personalmente nel 2006 come membri di una giuria di un concorso rivolto a giovani designers, e a fronte del nulla che constatavamo ci ponevamo il problema del che fare. Ci siamo salutati con l'impegno di cercare di fare qualche cosa. Quello che ci ha avvicinato è senza dubbio la determinazione per la difesa ad ogni costo dei principi che ci permeano. La radicalità nella visione del progetto ci accumuna ma si struttura nei due casi su basi profondamente diverse, Enzo Mari al quale pochi personaggi possono essere comparati è colui che definito esattamente il perimetro di quello che oggi chiamiamo design, parola oggi abusata, con la quale si giustifica ogni tipo di manierismo.

Egli è stato autodidatta coerente e radicale nella sua visione fin dagli inizi, io designer della nuova generazione, che come dice Enzo Mari ha la sfortuna di aver fatto una scuola di design, a mio modo mi sono formato autonomamente, al di fuori degli studi, cercando di capire la giustezza del progetto attraverso le più diverse esperienze, attitudine che mi ha portato a diventare radicale per sottrazione. Il parallelismo che facciamo in questa piccola esposizione va al di là dei prodotti che sono esposti, che, oltre al compito di essere nostri rappresentanti, sono il pretesto per confrontare due generazioni che hanno la stessa visione e che si ritrovano oggi dibattere sulla stessa problematica. Che fare, il titolo dell'esposizione, pone chiaramente una questione, ma una questione senza punto interrogativo perché forse sappiamo già che non c'è una risposta. La totale incertezza sul divenire del progetto e sulla deriva della società, sul futuro di molti giovani che oggi si confrontano a questa professione|passione, è ormai evidente e non può più essere nascosta.

Gabriele Pezzini, settembre 2009



Galerie Alain Gutharc
Enzo Mari | Gabriele Pezzini
Che fare

9 gennaio – 20 febbraio 2010
7 rue Saint-Claude - 75003 PARIS
+33 (0)1 47 00 32 10
www.alaingutharc.com
www.gabriele-pezzini.com

Catalogo: Thinker Ltd | Galerie Alain Gutharc Paris
Progetto grafico: Fabio Boni (ADA)
Impaginazione: ADA




testo: 
Enzo Mari 
Gabriele Pezzini 

I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.

XII.
XIII.

XIV.
XV.

XVI.

ha collaborato:
Umberto Rovelli
 




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