GARIBOLDI. LE ARTI DECORATIVE IN ITALIA:
 LA RISCOPERTA DI UN MAESTRO
 Tra Gio Ponti le Triennali la Richard-Ginori e le collezioni ceramiche


La gatta frettolosa fa i gattini ciechi... E come il proverbiale felino, la storia spesso dimentica, tace, preferisce rielabolare traiettorie causali meno tortuose, talvolta in senso riduttivo, per dar conto, a posteriori, degli accadimenti del reale. Di quel reale, gaddianamente inteso, dove «le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti».

A proposito del «pasticciaccio» storico che ha visto per molto tempo sottratto a Giovanni Gariboldi il ruolo di protagonista del design industriale del ‘900 che gli spettava di diritto, il volume di Giacinta Cavagna di Gualdana dedicato alla sua opera appare non solo proficuo e necessario ma – sotto il profilo sia storico che estetico – assai riuscito, lucido e coerente. In grado cioè di portare luce laddove – come afferma Marco Romanelli nella prefazione – «la storia, la grande storia degli uomini e delle cose, produce a volte delle sottili pieghe» proiettando «coni d'ombra in cui uomini e cose rischiano di rimanere celati».

Risultato di un accurato lavoro di ricerca e di archivio, il volume presenta un’ampia selezione di disegni, schizzi progettuali, lettere, pieghevoli pubblicitari d’epoca e fotografie in gran parte inedite. L’ottimo progetto e bookdesign di Italo Lupi dona una veste aguatamente elegante a un volume di gran pregio sia storico sia formale che, pur nella sobrietà del testo – del quale fa pienamente parte la prefazione di Romanelli – mette a nudo una personalità davvero complessa che «ha legato il proprio nome e la propria carriera alla Società Ceramica Richard-Ginori».

Se non fosse limitativo e frustrante per i suoi meriti e talenti, si potrebbe definire Gariboldi un ideale uomo-azienda, ma ciò – oltre a deprimere la rilevanza che ebbe in molte scelte svolte dalla sua partner nel dopoguerra – sarebbe limitativo anche per la stessa Richard-Ginori perché azienda costituisce davvero un termine fuorviante per definire un ambiente di lavoro che «è stato protagonista del rilancio delle arti industriali e decorative italiane». Ma, avvertiti dei limiti della definizione, occorre pure tener conto del salutare rilievo posto in essa al legame sussistente fra i due termini. Una relazione simbiotica nella quale la marcata confidenza (fatta di «vicinanza fisica e continuità di rapporto») con le maestranze ha forse talvolta leso la capacità di emergere come individualità a Gariboldi a tutto vantaggio però di una amalgama fruttuosa e matura creatasi con gli anni fra la struttura produttiva e il suo direttore del Servizio Artistico.

A dispetto del grande favore e riconoscenza che sicuramente va attribuito all’opera instancabile di Gio Ponti, occorre ammettere che egli abbia presumibilmente svolto per la Richard-Ginori il ruolo, pur maieutico, dell'amante – estroso, aitante, energico e innovativo – mentre la figura incarnata da Giovanni Gariboldi, soprattutto nel secondo dopoguerra del secolo scorso, sia stata più plausibilmente quella del coniuge, ovvero del compagno fedele deputato tanto alla cura confidente quanto all’attento sostegno nel tempo della partner.

Anche a proposito di ciò, nella sua intensa prefazione, Marco Romanelli pone oppurtunamente in rilievo la tonalità coinvolgente e «tattile» della relazione fra Gariboldi e il saper fare all’interno della Richard-Ginori che col tempo si è esplicato in sensuale corresponsabilità e partecipazione, ovvero in quel senso del fare insieme – non limitato alla società ceramica, ma esteso al territorio e più ancora all’utenza finale – che, forse, non venne mai colto da un Ponti più interessato allo scarto e alla performance d’eccezione che alla routine dei dettagli funzionali e dell’adattamento pratico per esigenze produttive.

Per leggere al meglio l’avventura di Gariboldi e della Richard-Ginori occorre perciò tener conto: a) del discrimine – soprattutto per quel che concerne il riscontro comunicativo – sussistente fra personalità che in ragione della propria autonomia formativa erano in grado di avviare nuovi processi e coloro che quegli stessi processi li conducevano a buon frutto essendone «parte integrante»; b) del fil rouge che covava fra pezzi d’eccezione (oggetti unici, serie numerate, prodotti ad alto costo) e linee correnti ovvero quel «feedback di tecnica, di colore, di innovazione che, senza soluzione di continuità» manteneva in comunicazione i due ambiti della produzione della «Richard-Ginori, in particolare negli stabilimenti milanesi di San Cristoforo e di Lambrate».

Da esecutore di invenzioni pontiane – per usare i medesimi termini adottati nelle didascalie pubblicate sul finire degli anni ’20 sulle pagine di Domus – Gariboldi giunse a rivestire lo stesso ruolo di direzione artistica rivestito da Ponti (dal 1923 fino alla metà degli anni ‘30). Ma se per Gariboldi essere direttore artistico (dal 1946 è a capo del Servizio Artistico Richard-Ginori) ha presumibilmente significato il culmine professionale di una vita, per Ponti quella mansione non fu che una delle innumerevoli attività nelle quali venne coinvolta la sua molteplice personalità. Vale a dire che l’intensità e la dedizione con cui vennero vissute tali cariche – forse addirittura imparagonabili – non possono certo essere ritenute sovrapponibili.

Come risulta evidente dal racconto dell'autrice, dopo aver vissuto dieci anni sotto l’egida di Ponti, Gariboldi ebbe un «ruolo da protagonista all'interno del Servizio Artistico di San Cristoforo» nei tredici anni successivi, rimanendo a diretto contatto con le problematiche più specifiche della tecnica ceramica (dalla ricerca sugli smalti, alla terracotta, dal grès al biscuit, dal cammeo alla porcellana orientale) talora indagando le «possibilità offerte dalla monocromia» (avvalendosi dei trattamenti «a lustro», il giallo paglierino, ovvero l’areografo e la spugnatura) talaltra interrogandosi sulle peculiarità metamofiche delle varianti cromatiche abbinate alle decorazioni in rilievo, ovvero passando dal recupero, la rievocazione e l'innovazione degli «antichi repertori della manifattura» alla reinterpretazione degli stessi motivi geometrici pontiani.

Eppure dopo tanto approfondimento tecnico la promozione porta, paradossalmente, Gariboldi ad allontanarsi dalla ceramica. Nonostante, «dopo due decenni di carriera» abbia «un’assoluta confidenza con ogni aspetto e problematica inerente la manifattura», la fine del conflitto apre per lui e per la Richard-Ginori uno scenario sostanzialmente connotato da un «cambiamento delle priorità della società» che «determina una revisione delle finalità delle indagini artistiche e delle ricerche tecnologiche: le necessità del mercato influenzano le scelte delle industrie, alle quali viene chiesto di creare dei prodotti economici e funzionali. La creatività dell’artista deve convivere con l'essenzialità. I concetti di utilità e praticità animano le pagine dei quotidiani e dei periodici: la rivista Stile Industria diventerà un centro di dibattito per intellettuali, architetti, urbanisti che riconoscono nella razionalità e nella sintesi i principi cardine di ogni ricerca».

Gariboldi diviene così uomo della ricostruzione, e nei suoi primi anni di direzione del Servizio Artistico è implicato e coinvolto più nella strategia aziendale di «ampliamento della catena di negozi» che nella «creazione di modelli e decori».
Come nota ancora l’autrice, «all’VIII Triennale del 1947 il ruolo della Richard-Ginori è marginale e il nome di Gariboldi assente dal catalogo della mostra. La manifattura, che espone solo alcuni apparecchi sanitari, sembra aver risposto al comune invito alla razionalità e alla concretezza, sottoponendo la propria produzione a una generale semplificazione».

All’occasione successiva, la IX Triennale del 1951, «la mostra La forma dell'utile sancisce l’affermazione del design: l’unità delle arti è ormai riconosciuta come premessa di ogni progetto, si è sempre più consapevoli che l’uso determini la forma, la facile serialità il successo». Appare cioè evidente che la manifattura debba ripensare il proprio ruolo all’interno di una società e la provocatoria scelta di Gio Ponti (curatore quell’anno della sezione ceramica) di «mettere in secondo piano la vocazione utilitaristica della ceramica e di prediligere le opere di artisti contemporanei attratti dalle possibilità espressive della terracotta», non sembra in grado di ottenere il riscontro auspicato.

La X Triennale del 1954 diventa così l’occasione per Gariboldi (che firma tutte le proposte Richard-Ginori) di offrire un complesso di forme coeso e rispondente alle esigenze dei «tempi nuovi». Il servizio da té Ulpia, il servizio da caffè Donatella, i servizi da caffè Delia e Luisa, il servizio Patrizia, la teiera Ofelia e il servizio Adriana, sono infatti emblematiche di un metodo e una sensibilità davvero non comuni e sono rivelatrici – come sottolinea Romanelli – di uno «straordinario rispetto per le forme che ci sono giunte in retaggio dal passato e che come tali valgono e che come tali sono la base per un serissimo, a volte lentissimo, “millesimale” lavoro di modernizzazione».

Ma il 1954 è davvero un anno magico per Gariboldi che con il servizio Colonna realizza un capolavoro di asciutta eleganza, praticità ed economia. «I diversi elementi del servizio sono, infatti, perfettamente impilabili l'uno sull'altro; molti pezzi sono stati disegnati in modo da essere adattabili a più funzioni e utilizzi; la scelta di realizzarlo in porcellana Ariston (un materiale meno raffinato della porcellana tradizionale, ma più duro, resistente ed economico) consente di contenere i costi».

Questo progetto, premiato nello stesso anno con il Compasso d’Oro «sia per la riuscita essenzialità di forme e colori sia per l’espediente della "sovrapposizione verticale" come proposta di minimo ingombro», diviene da allora una sorta di modello o ideal-tipo della quotidianità moderna al quale Gariboldi si sarebbe dedicato nei tre lustri successivi con aggiornamenti e perfezionamenti (tra l’altro vincendo la medaglia d'oro al XXV Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte di Faenza nel 1967). Realizzandone infine evoluzioni ancora più rigorose e decisamente contemporanee con i servizi Uno più uno e Eco che oggi rappresentano il testamento di un grande artista-operaio talmente coinvolto nella storia aziendale e assiduamente partecipe della complessa specificità del proprio ruolo e lavoro, da non riuscire per alcuni decenni a risaltare nella storia come avrebbe dovuto.

Merito del volume aver mosso il primo passo verso una auspicabile riconsiderazione del valore dell’opera di Giovanni Gariboldi che ha certamente avuto un ruolo da protagonista anche nell’aprirsi dell’Italia alla modernità ovvero – come nota ancora Romanelli – «a concetti come l'attenzione al packaging e all'economia di spazio. Formule ovvie per noi oggi, ma non altrettanto per un popolo che si stava appena riprendendo dagli orrori della guerra e che, anche semplicemente scegliendo stoviglie “moderne” e abbandonando i servizi di un tempo, destinati a pochi, e tanto sconfinati quanto decorati, tanto fragili quanto inutili, cercava di costruire un mondo più giusto».




Gariboldi. Le arti decorative in Italia: la riscoperta di un maestro. Tra Gio Ponti le Triennali la Richard-Ginori e le collezioni ceramiche
2011, Corraini Edizioni - Mantova

Marco Romanelli,
Giovanni Gariboldi e la costruzione di un mondo nuovo
Giacinta Cavagna di Gualdana,
Giovanni Gariboldi maestro d'arte e d'invenzione

Storie e disegni
Apparati

Fotografie: Luca Fregoso
progetto grafico: Italo Lupi

a cura di: 
Umberto Rovelli 

I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
X.
XI.

XII.
 
 




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