CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET

 

 OGGETTI PER L'AFFEZIONE
 Intervista a Renato De Fusco (Università di Napoli)


Attraverso l'occhio dello storico uno sguardo su piccole imprese che nel tempo si sono affermate per strategie vincenti.

La storia del design è tutta basata su iniziali piccole imprese. La piccola impresa è il germe dell'esperienza del design. In più c'è il carattere privatistico della disciplina che, a differenza dell'architettura che deve o dovrebbe passare attraverso il vaglio dell'amministrazione pubblica, si svolge a diretto contatto con il committente, di solito una persona, spesso di umili origini, che capisce la necessità di avvalersi di un tecnico-artista specializzato nella ideazione di oggetti.

Da sempre si è guardato alla piccola impresa come modello vincente, oggi, di fronte alle nuove sfide del mercato globale, il modello sembra attraversare un momento di impasse. Quali possibili scenari ed opportunità per le imprese di piccola dimensione?
Non ho esperienza specifica in materia di produzione e vendita, ma ritengo che il problema maggiore sia soprattutto quello della grande distribuzione. Racconto una esperienza personale. Recentemente ho pubblicato un libro molto importante – quattro anni di lavoro – con un editore che distribuisce male. Ne ho fatto poi un altro che mi ha portato via minor tempo, l'ho affidato ad un editore con maggiori possibilità distributive e questo prodotto si vende bene. Il problema della grande distribuzione è dunque davvero centrale.
Un altro ostacolo per le piccole imprese è rappresentato dal fatto che una via di sicuro successo per il design negli anni a venire è quella dell'oggetto "usa e getta" – ho visto qualche giorno fa in televisione che si sta pensando addirittura ad un telefono cellulare che risponde a questa logica. Facendo una previsione realistica, questa è la tendenza che vincerà ed in questa logica si può inserire difficilmente la piccola impresa. D'altra parte questa linea va combattuta perchí altrimenti, non sviluppandosi l'affezione per l'oggetto, creiamo una società che non lascia nessuna traccia storica. Questo è il grosso rischio della tipologia "usa e getta", della quale ovviamente riconosco anche i vantaggi. Temo sia la linea vincente e bisognerebbe fare qualcosa, ad esempio ostacolarla attraverso una produzione maggiormente elitaria che stimoli ed incentivi la conservazione.


Qualche anno fa, insieme a Filippo Alison, prefigurava la strada dell'artidesign come forma produttiva caratterizzata da peculiari modalità di progetto – il disegno è importante come nell'industrial design ma durante le fasi di lavorazione è possibile apportare modifiche –, di produzione – uso di materiali artificiali ma tiratura limitata ottenuta attraverso l'utilizzo di macchine dalla tecnologia semplice –, di vendita e consumo – non su commessa come la produzione artigianale ma con un preciso equilibrio tra domanda ed offerta e con una notevole capacità di instaurare un rapporto con il gruppo, termine intermedio tra singolo e massa. Ritiene il progetto dell'artidesign ancora valido?
Penso di si. Credo fermamente alla necessità di fare un passo indietro: l'utopia dell'oggetto distribuito a tutti a basso prezzo è rimasta tale. Purtroppo, gran parte del design resta a livello di consumo di élite. Tanto vale, dunque, recuperare questa valenza di arte più che di artisticità diffusa che era maggiormente pertinente alla prima ipotesi basata su una quantificazione eccezionale. Credo vi sia quindi ancora ampio spazio per l'artidesign che per altro è maggiormente pertinente alle possibilità della piccola impresa, perché, lavorando su tirature più limitate, presenta minori problemi di distribuzione e di magazzino. D'altra parte le arti figurative sono al completo sbando; gli stessi critici militanti confessano di non capirci più niente, mentre l'architettura è ancorata alla triade vitruviana che la salvaguardia da quelle pazzesche frenesie che vanno per la maggiore.

Una domanda di carattere più ampio, ma con implicazioni anche con i contenuti propri della rivista: in uno scenario in cui il design "nordico" appare vincente sul piano linguistico e non solo – si pensi al trionfo del minimalismo –, quale ruolo possono svolgere le regioni e i paesi del meridione, anche tenendo conto della loro diversa realtà produttiva?
A questa idea della mediterraneità credo un po' meno. Da noi, al Sud, abbiamo altri problemi, più basilari che non il design.
Ritengo inoltre sia necessario ritrovare una unità stilistica perché lo stile è al tempo stesso indice di una individualità, ma anche indice di un Kunstwollen epocale che ha radici nella società e nell'economia.
Per quanto riguarda il pluralismo, certamente è un fatto positivo – chi può negarlo –, però spesso questo pluralismo degenera non in un concerto a più voci ma nel trionfo del rumore tanto è vero che perfino i famigerati politici tentano di ridurre il numero dei partiti. Sono dunque ferocemente contrario ai regionalismi; si pensi a quello che è avvenuto sul piano politico con le regioni già sviluppate che ne hanno tratto un vantaggio, mentre quelle in cui lo sviluppo ha avuto ritmi più lenti sono ancor maggiormente mortificate. Io sono per lo stato unitario: tutto si fa a Roma o in un altra capitale d'Italia e poi ci sono derivazioni regionali alle quali lascerei pochissimo spazio decisionale. Questa storia dell'urbanistica affidata alle regioni mi sembra una contraddizione in termini. Qual è il vantaggio? Quello di avere le istituzioni sotto casa in un mondo in cui si viaggia moltissimo sia fisicamente che virtualmente?
Quanto all'accenno al minimalismo ne ho grande simpatia, soprattutto nel campo del design ma anche in architettura: i containers in quanto architettura atopica, che si può mettere dovunque, rientrano in questa tendenza. D'altra parte solo attraverso la linea del minimalismo è possibile lavorare alla industrializzazione edilizia, sogno mai realizzato.


La rivendicazione della necessità di una unità stilistica appare come limite per la piccola impresa... Di solito si pensa all'artigianato come ad una realtà fortemente radicata sul territorio.
Si ma questo artigianato legato al territorio intrattiene stretti rapporti con l'amministrazione comunale, provinciale, regionale e ciò spesso è limitante. Bisognerebbe invece continuare ad insistere su piccole imprese legate ad un insieme nazionale perché altrimenti, estremizzando, si sconfina nel folklorico.


Sabattini Argenteria
Via Don Giuseppe Capiaghi, 2 - 22070 Bregnano - Como
Tel. +39 031 771019
Fax +39 031 773386
www.sabattiniargenteria.it
Testo:
Giuseppe Lotti

I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.


ha collaborato:
Elena Granchi
Sonia Morini

TOP