CERCA IN IDEAMAGAZINE.NET

 

 GLOCAL DESIGN. PROGETTO LOCALE, PRODOTTO GLOBALE
 Intervista a Paolo Chiantini


Poco più che trentenne Paolo Chiantini ha già al proprio attivo numerose realizzazioni furniture – l'indovinatissima Luna, gli innovativi Olè e Rodeo e i più recenti Cortina e 45G – con interessanti realtà produttive senesi. Dopo la formazione universitaria (sfociata nella produzione di O2H - Office to Home mobile nato all'interno del progetto pilota Sinergie, coordinato dal Centro Sperimentale del Mobile con l'obiettivo di elaborare tesi su brief di aziende della provincia di Siena), Chiantini ha dimostrato una grande versatilità creativa e progettuale. In Italia ha collaborato con le toscane Prospettive, Diesis, Artexport e, all'estero, con AQUS di Taiwan. Nel 2003 suoi prodotti sono stati in mostra sia a New York che a Perth, nel 2004 ha esposto a Tokyo ed è stato vincitore del concorso di furniture-design Made in Tuscany.

Recentemente, con Paolo Ulian, abbiamo affrontato il tema del "percorso", cercando di delineare alcune tappe di un iter "privilegiato" di accostamento all'azienda da parte del designer. In quanto occasioni per produrre, nel suo caso, si sono rivelate fondamentali le mostre ed i concorsi ad esse correlati. Tu hai vinto un concorso – Made in Tuscany – che, almeno in teoria, dovrebbe avvicinare giovani designer alle aziende. A 10 anni dall'esperienza di Ulian, è cambiato qualcosa? Cosa offre a tuo avviso il settore ai nuovi talenti emergenti?
Sicuramente le mostre, i concorsi, gli eventi in generale legati al mondo della progettazione, sono sempre una buona occasione per misurarsi. Oggi probabilmente il Salone Satellite è l'avvenimento che ti consente di avere maggiore visibilità, sia da parte delle aziende che sulla stampa di settore. Oltre a farti conoscere al mondo dell'industria, ti danno ottime opportunità per tessere relazioni.

Ritieni il concorso uno strumento assolutamente valido per procedere nell'attività?
Si, è certamente una palestra che deve essere "frequentata". I concorsi sono l'occasione migliore da un punto di vista strettamente progettuale perché ti danno la possibilità di sperimentare anche oltre l'abituale campo conoscitivo, a volte anche di forzare un po' le regole, di lavorare molto sull'idea alla base ancor prima che sul prodotto.
L'anno scorso, ad esempio, ho partecipato con Gualtiero Sacchi ad un evento organizzato da Red Bull Italia in cui è stato richiesto a 5 studi di giovani designer di ideare un oggetto "emozionale" che pilota e/o meccanico possano utilizzare o portare sempre con sé. Allo scopo di rilassarli, divertirli o accompagnarli nei momenti legati alle gare. E' stato forse uno dei progetti più divertenti a cui ho lavorato. Abbiamo pensato a qualcosa che racchiudesse i momenti simbolo della gara: il podio e la doccia a base di "champagne" simbolo della vittoria. E' nato così Podium - Parfum de gloire un profumo all'essenza della celebre bevanda contenuto in una fiala/bottiglia che da la possibilità anche all'ultimo dei piloti di indossare l'odore della gloria.
Per quanto mi riguarda ho appreso molto dai concorsi, vorrei farne di più, purtroppo bisognerebbe avere più tempo da dedicargli.

Da alcuni anni trovo il tuo nome coinvolto in varie situazioni ai recenti Saloni del Mobile. Vuoi parlarmi dell'esperienza progettuale collettiva di More e del tuo sodalizio con Shin Matsumoto – altro vincitore di Made in Tuscany?
More nasce come gruppo di giovani progettisti, uniti per fare il Salone Satellite del 2004. L'idea era quella di mantenere l'individualità progettuale di ognuno. L'operazione è riuscita ed i prodotti divennero una linea messa in produzione da un'azienda toscana.
Per quanto riguarda Shin Matsumoto, ci siamo conosciuti proprio grazie al concorso Made in Tuscany, abbiamo stretto una buona amicizia e di lì a poco abbiamo iniziato a collaborare su alcuni progetti. Tra questi ci fu la selezione dei nostri oggetti progettati per More, al SOON Designer's Gallery di Tokyo nel novembre 2004.

Forse perché – magari sbagliando – ho sempre ritenuto la creazione un momento eminente intimo e personale, ho qualche difficoltà ad immaginare il senso ed il significato di una collaborazione creativa a due o più persone. D'altra parte ritengo anche che uno dei talenti che caratterizzeranno il millennio sarà la capacità di cooperare e quindi anche di contribuire a co-creare il nuovo. Di che tipo di esperienza si tratta e si è trattato per te?
Non credo che sia un errore pensare che il momento creativo sia una fase individuale. Penso che alla fine anche quando si instaurano collaborazioni con altri progettisti, ognuno apporta la sua dose di creatività personale. Quando c'è feeling e capacità di raggiungere compromessi, il lavoro in team è secondo me molto produttivo ed interessante, nel nostro caso è anche un buon momento di svago e divertimento.

Hai già avuto l'opportunità di curare alcuni corsi presso la Facoltà fiorentina. Oltre alle tue sensazioni di neo-insegnante, cosa ritieni sia fondamentale comprendere e imparare avvicinandosi a questo settore?
Il Corso di Laurea in Disegno Industriale di Firenze è sorprendente, per quanto sia una struttura giovane e in rapida crescita è ricca di iniziative che rendono la didattica legata a doppio filo al contesto produttivo territoriale creando per gli studenti un buon contatto con la realtà. Da alcuni anni seguo come cultore della materia l'orientamento di prodotto d'arredo e, dall'anno scorso, ho avuto il Laboratorio legato al Corso di Disegno Industriale al II anno. Penso che il rapporto con gli studenti sia anche per me molto costruttivo, ti obbliga a confrontarti sempre con nuove idee, a farti delle domande che forse nell'attività quotidiana trascuri, ad avere la possibilità di sperimentare nel progetto e ogni tanto di lavorare sui significati degli oggetti oltre quello che la produzione ti consente.
E' anche vero che deve essere forte il ruolo del docente nell'accompagnamento degli studenti verso il mondo del lavoro reale facendo intravedere le molteplici possibilità e la necessità di acquisire una competenza concreta, senza rinunciare al sogno.

Seguendo il tuo iter professionale, Made in Tuscany si inserisce e sovrappone ad un percorso autonomo che già avevi molto approfondito con alcune ditte toscane – senesi in particolare. Questo quadro professionale articolato è realistico oppure i progetti erano in attesa da qualche tempo? Che tipo di tessuto industriale è la provincia di Siena? C'è qualche struttura di collegamento tra mondo del design e produzione che incide profondamente sui rapporti designer/industria, oppure vi sono più segmenti e circuiti paralleli?
Il mio è un approccio diversificato al settore, avvenuto attraverso diversi circuiti, i concorsi, le mostre, i contatti personali con le aziende e anche i centri di servizio alle imprese – una realtà particolarmente attiva in Toscana che, tra le altre attività, promuove i rapporti tra design e imprese locali. Anche la mia esperienza di tesi di laurea nasce da un progetto pilota sperimentato da Università e aziende del settore del mobile della provincia di Siena con il coordinamento del Centro Sperimentale del Mobile con l'obiettivo di portare giovani laureandi a preparare la tesi su brief delle aziende e in collaborazione stretta con le stesse. Da quest'azione sono nati progetti interessanti che poi sono entrati in produzione ed è stata messa a punto una metodologia che è tuttora a regime con i tirocini del Corso di Laurea in Disegno Industriale. Una occasione per le aziende, come quelle del tessuto toscano, molte delle quali non abituate a confrontarsi con progettisti esterni.

La seduta è un tema importante legato al concetto di stanzialità che oggi – in un periodo in cui si sente spesso parlare di "nomadismi" (culturali, esistenziali, lavorativi) –, vede fiorire interpretazioni molto contract. Anzi forse oggi è molto difficile stabilire un confine netto tra home e contract. C'è qualche ragione specifica per cui ti sei avvicinato allo sgabello?
Le sedute alte rappresentano per me uno dei temi più stimolanti. Per ora mi sono cimentato nella progettazione di diversi sgabelli, alcuni dei quali sono rimasti solo sulla carta, altri come Olè! sono in produzione e stanno riscuotendo un buon successo. È vero, comunque, che oggi non è facile delineare un prodotto che sia specifico per la casa o per la grande distribuzione, tuttavia alcune caratteristiche, specialmente per questo tipo di sedute, rimangono identificabili dal punto di vista dei materiali impiegati.

Che tipo di prodotti sono gli sgabelli Rodeo e Olè!?
Lo sgabello Rodeo è stato fin dall'inizio un progetto difficile. Una sera in un locale di Firenze notai alcune persone che mentre sedevano sugli sgabelli si muovevano a tempo di musica restando seduti. Mi parve di notare che proprio la seduta degli sgabelli fosse un vincolo nei movimenti di chi sedeva. Fu così che immaginai di far ondeggiare la seduta, facendo sì che seguisse i movimenti di chi vi siede. Ovviamente i meccanismi per permettere ciò sono stati subito un notevole problema. Quando presentai Rodeo al Salone Satellite 2004, non sapevo bene a cosa andassi incontro. Rimasi sorpreso quando vidi che alcune persone tornavano al nostro stand per dondolarsi sulla seduta. Olè! è esattamente il contrario di Rodeo, è stato un prodotto che anche costruttivamente è nato subito bene. Al Salone del Mobile 2005 è stato molto apprezzato.

Ancora in tema di contaminazione fra gli ambiti home e contact, ricordo che già il titolo di uno dei tuoi primi lavori è quasi emblematico. Penso al mobile O2H - Office to Home per Artexport...
O2H - Office to Home è il progetto scaturito dalla mia tesi di laurea e nato dall'idea che nella casa della maggior parte di noi è ormai consueta la presenza di un pc, ma spesso non esiste una postazione di lavoro specifico al di là della scrivania classica. Ciò si accompagna anche all'esigenza di poter posizionare tastiera, case, stampante e tutto quello che si lega al telelavoro. Da qui ho cercato di sviluppare un oggetto che, in spazi minimi fungesse sia da contenimento che da postazione e che avesse la possibilità di richiudersi ulteriormente nel momento di non utilizzo. Lo stimolo maggiore, e anche in effetti la difficoltà del progetto, è stato confrontarsi con un'azienda quale Artexport che richiedeva, per essere in linea con il suo target di mercato, un prodotto realizzabile a costi contenuti e quindi con materiali abbastanza consueti: un telaio metallico e ripiani in pannello che hanno costituito la versione base. Altre versioni, in melaminici colorati consentivano divertenti abbinamenti cromatici per un target forse un po' più giovane.

Non so se sei d'accordo, ma mi sembra che la poltrona Luna, che hai realizzato sempre con Prospettive, sia forse tra i tuoi progetti più impegnativi – anche per i precedenti cospicui ed illustri esempi che la seduta a "pozzetto" può vantare. Eppure, guardando il tuo curriculum, ci si accorge che la progettazione è del 2002. C'è stata una lunga gestazione progettuale e/o produttiva? Che tipo di fortuna ha avuto o sta avendo il progetto?
È vero, Luna rappresenta per me il punto di partenza e ancora oggi è indubbiamente il progetto più difficile che abbia affrontato. È evidente che il progetto nasce sulla base disegnata da Eero Saarinen, per questo può sembrare facile realizzare il disegno della parte superiore. Invece la difficoltà è stata proprio quella di raccordare una linea coerente con il supporto cercando di mantenere una certa originalità. Ho volutamente mantenuto un legame con il design degli anni '50 e immaginavo la mia poltroncina in un salotto tra sedie Tulip e vicino ad una Ball chair. Dal punto di vista della produzione va detto che ci sono state diverse fasi. Le prime scocche venivano prodotte con stampi in terra, successivamente Prospettive ha investito in uno stampo in pressofusione. Devo ammettere che per me la realizzazione della poltroncina Luna ha rappresentato una bella scuola avendo seguito in prima persona ogni fase costruttiva. Ad oggi è il prodotto più venduto della nuova linea Esedra by Prospettive, recentemente è stato arredato un ristorante a Washington DC con 45 Luna lucidate.

Che tipo di azienda è Prospettive? Potresti raccontarmi l'iter di un prodotto realizzato con questa ditta e il tipo di evoluzioni che il progetto ha subito in fase realizzativa?
Prospettive è una ditta giovane, e fin dall'inizio nasce come officina meccanica che lavora principalmente per conto terzi. Da qualche anno lo staff ha deciso di realizzare una linea di prodotti propri ed il primo passo è stato fatto proprio con la poltrona Luna, e successivamente si è sviluppata la linea More. In occasione del Salone del Mobile 2005 abbiamo creato la linea Esedra by Prospettive nella quale abbiamo fatto confluire i migliori prodotti di More oltre a nuovi progetti.
Da quando sono il loro art director ho sempre cercato di fare ordine nel catalogo. Per questo la realizzazione di un oggetto parte da un brief di base nel quale scegliamo la tipologia di prodotto, dopodichè passiamo in rassegna idee e progetti. La fase successiva è la realizzazione di disegni tecnici seguiti da un prototipo per poi capire quali modifiche apportare al prodotto finale. Il tutto tenendo sotto controllo i costi per non uscire dalla fascia di mercato.

Che tipo di ruolo svolge il computer nel tuo iter progettale?
È indispensabile, però il disegno rimane per me fondamentale soprattutto nel tradurre le prime idee che nascono sempre da schizzi a mano libera. Il controllo delle dimensioni e le prove dei materiali passa quasi sempre dalla modellazione computerizzata. Ultimamente sto lavorando per Aqus, una ditta di Taichung in Taiwan, i rendering sono fondamentali per far loro capire al meglio le nostre idee.

Poiché ritengo che, per un giovane designer, possa essere molto utile sapere prima su quali temi dedicare il proprio tempo anche in funzione di opportunità ed eventi vissuti da altri, mi piacerebbe sapere specificamente cosa ti è servito di più per affrontare questa collaborazione. Si tratta di un puro "telelavoro" o sei dovuto andare molte volte a Taichung? Che ruolo svolge la conoscenza della lingua? La ditta opera sul mercato asiatico – quindi non c'è stato, ad esempio, un problema di messa a fuoco di nuovi archetipi formali – oppure si rivolge al mercato europeo? Che tipo di rapporto fra designer e azienda si è creato dal punto di vista del potere – sia contrattuale che decisionale?
L'esperienza con la ditta Aqus di Taiwan è stata per me singolare ed interessante. Al Salone Satellite del 2005 presentavo il tavolo Cortina e la sedia Sig.sì, e molte persone erano incuriosite dal tavolo. Rimasi sorpreso alla fine dell'esposizione su come la sedia mi sembrò passare inosservata. Passati venti giorni dalla kermesse milanese, mi arrivò una e-mail dalla Cina (scritta in inglese) dove mi si chiedeva se ero intenzionato a mettere in produzione la sedia del Satellite. Presi tempo e per qualche giorno cercai di capire cosa potesse voler dire collaborare con un paese così discusso.
Mi feci coraggio ed intrapresi un dialogo con la ditta situata a Taichung. Loro mi mandarono una serie di informazioni che mi convinsero sulla serietà e l'intraprendenza dell'azienda. È andata a finire che grazie ad innumerevoli e-mail, telefonate, fotografie (non sono mai stato a Taichung), sono riuscito a creare per loro circa una ventina di prodotti.
Una parte di questi sono stati portati in fiera a Colonia nel gennaio di questo anno e sono rimasto davvero sorpreso quando ho visto dal vivo tutte le mie creazioni. La qualità è davvero eccellente ed i rapporti lavorativi sono stati assolutamente corretti. Ho chiuso con loro un contratto dove mi hanno garantito un rimborso spese e le royalties su tutti i prodotti.
La ditta si rivolge ad un mercato prevalentemente europeo, per questo hanno espressamente voluto una forte caratterizzazione degli oggetti. Recentemente sono stato a pranzo con Christophe Pillet, gli ho raccontato la mia avventura e anche lui mi ha confermato che questa è la strada per il futuro anche per noi progettisti. Gli asiatici hanno immense potenzialità e credo che non vadano visti come nemici ma come grandi opportunità non solo per le aziende.

A parte l'ovvia soddisfazione di esporre molto giovane un proprio prodotto a New York cosa è stato e cosa ha rappresentato per te l'esperienza della mostra La Fabbrica Bella? Ritieni che ci siano stati dei riscontri interessanti da questo impegno sostanzioso della Regione?
In effetti avere un mio prodotto a New York tra la Vespa, i vasi di Giò Ponti e le poltrone dei Fratelli Campana per Edra, mi ha lusingato parecchio. Ritengo che La Fabbrica Bella sia da considerarsi una mostra più culturale che commerciale, il tentativo corretto di rivendicare una tradizione di design importante anche in Toscana che genera valore aggiunto anche nel contemporaneo.
Probabilmente tali manifestazioni non devono avere immediati riscontri commerciali ma promuovere un'idea di Toscana come luogo, già tanto conosciuto all'estero, in grado di produrre design di qualità e con delle forti peculiarità. È su questo che ho idea si debba sempre più puntare in futuro, sull'innovazione formale e sulla qualità del made in Italy, anzi del made in Tuscany.

Che tipo di prodotto è Cortina – il tavolo allungabile composto da elementi modulari scorrevoli che hai proposto al Salone Satellite 2005?
Cortina è un progetto a cui tengo molto, il prototipo ha sofferto di alcuni problemi che ne hanno condizionato il risultato finale. In questo periodo sto mettendo a punto soluzioni diverse che vanno a migliorare principalmente l'aspetto strutturale. L'idea è quella di allungare ed accorciare il tavolo seguendo il movimento più naturale. Dopo una ricerca sui tavoli con le stesse caratteristiche mi sono accorto che quasi tutti lavorano sullo stesso principio: distanziando listelli paralleli. Con Cortina ho voluto creare una texture che a seconda di quanto si allunga il piano crea pieni e vuoti sempre diversi. Il nome deriva dal fatto che i moduli componenti il piano scorrono seguendo lo stesso disegno dei muri a mattoni detti appunto a cortina.

Non è raro che molti architetti facciano le loro prime esperienze nel design per poi concentrarsi quasi esclusivamente nell'architettura. Qualcosa del genere si sta prospettando anche per te?
Credo che il mondo della produzione industriale sia più veloce e ricettivo di quello dell'architettura che normalmente ha tempi molto più lunghi. Personalmente trovo che il campo del design rappresenti una buona base di partenza, soprattutto per gli architetti che inizialmente faticano a trovare la committenza che consenta di esprimersi. Per l'età che ho mi reputo fortunato, di recente ho realizzato due progetti di ville nel senese, ovviamente sono solo agli inizi e spero che la mia attività di architetto possa crescere, di sicuro vorrei non abbandonare mai il mondo del design.

Per te che tipo di nesso sussiste tra il mondo della serie industriale e il mondo dell'unicum artigianale ed architettonico?
Proprio quando ho affrontato il cammino della mia tesi mi sono trovato a collaborare con un'impresa legata alla grande distribuzione, dunque il primo obiettivo è stato produrre grandi quantità a costi contenutissimi. Fino a quel momento la mia esperienza mi legava più ad una produzione artigianale dove alcune idee rimangono solo prototipi, che per quanto belli si fermano a pochi pezzi (all'inizio anche la poltroncina Luna era così). Ovviamente il mio approccio alla produzione industriale era falsato, tuttavia durante il mio lavoro all'interno dell'azienda ho trovato spunti interessanti. I processi piuttosto restrittivi determinati da una produzione seriale impongono regole che se utilizzate in una produzione artigianale possono portare grandi vantaggi, a sua volta la relativa libertà progettuale di pochi pezzi fa sì che non si perda il contatto con la creatività...
Tra serie industriale ed architettura, il nesso è, nel mio caso, nell'approccio progettuale. Ovviamente i parametri sono molto diversi ma la "sofferenza" sulle scelte da prendere è la medesima. La differenza più importante è che la produzione in serie mi consente una prima fase di prototipazione nella quale ci sono margini per apportare modifiche. Un progetto architettonico non ha questo vantaggio e naturalmente implica dover approfondire molto il livello di dettaglio prima che il cantiere abbia inizio. Tuttavia sto riscontrando che durante la costruzione degli edifici ci sono momenti in cui certe scelte fatte sulla carta possono mutare, a volte basta girare un mattone dalla parte opposta per far cambiare la percezione del dettaglio. Da buon appassionato di progettazione adoro cimentarmi in tutte le scale; dal famoso "cucchiaio" alla "città".



Paolo Chiantini
via Val d'Aosta, 26 - loc. Belverde
53035 Monteriggioni (Siena) – Italy
Tel: +39 0577 51145
Fax: +39 0577 594184
www.chiantini.com

Chiantini + Sacchi Design Studios
www.chiantinisacchi.com


Aqus
www.aqus.com.tw
Artexport
artexport
Esedra by Prospettive
www.esedradesign.it
Red Bull Italia
www.redbull.it


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

 ulteriori informazioni » 




a cura di: 
Umberto Rovelli 


 IM Book 
Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
I.

II.
III.

IV.
V.

VI.
VII.

VIII.
IX.

X.
XI.

XII.
XIII.






TOP