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 FONDAZIONE AQ PER IL DESIGN – CENTRO ARTE E DESIGN A CALENZANO - FIRENZE
 Intervista ad Anna Querci


Anna Querci, con una consistente carriera di critica ed allestitrice alle spalle – numerose esposizioni internazionali e articoli su riviste del settore – torna ad investire un ruolo di spicco nel panorama del design italiano, con un'iniziativa che intende incidere nella realtà culturale e produttiva della Toscana. La fondazione AQ per il Design, creata da Anna Querci – promotrice della recente mostra Italian Beauty: cento esemplari al top. Trasformazioni nel design moderno –, ha infatti trovato nel Comune di Calenzano un valido alleato. L'idea di un futuro Centro Arte e Design, collocato nei pressi della nuova sede del Corso di Laurea in Disegno Industriale, nasce proprio da un'intesa raggiunta dalla Fondazione sia con l'amministrazione comunale che con il presidente del Corso di Laurea in Disegno Industriale Massimo Ruffilli e l'Università degli Studi di Firenze.

Innanzitutto qualche dato biografico relativo alla sua esperienza professionale. Che tipo di formazione – scuole, conoscenze, linee guida… – ha avuto?
Non è che abbia fatto scuole particolari… Ho cominciato molto giovane a lavorare con Giò Ponti nella rivista Domus. Avevo poco più di 20 anni e dopo 6 anni mi sono trasferita in America. Ho lavorato al Museum of Modern Art di New York, dove ho contribuito alla realizzazione della più grande mostra sul design italiano: Italy: The New Domestic Landscape, che, all'epoca ebbe un successo e risonanza enormi – ineguagliati, credo, anche per eventi analoghi in Italia – e di cui si parla tuttora – sia in America che in Europa.
Tornata in Italia ho continuato a lavorare per Domus, fino agli inizi degli anni '80. Poi, come libera professionista, ho collaborato per varie riviste – Abitare, La Mia Casa, House & Garden, AD Architectural Digest – scrivendo articoli anche per giornali come il Corriere della Sera, Il Resto del Carlino, ecc… Quindi ho curato e contribuito a realizzare numerose mostre – 13 o 14 –, sempre sul design italiano. Alcune da sola, altre con Domus ed EuroDomus, nate entrambe negli anni '60. Successivamente ho realizzato alcune mostre insieme al MoMA di New York – fra queste una sull'architettura dove curai tutta la parte italiana… Ancora da sola, nel 1981, ho curato e realizzato una mostra a Chicago interamente dedicata al design italiano: i pezzi esposti, in massima parte, confluirono, rimanendoci stabilmente, nel Museum of Contemporary Art of Chicago. Poi ancora altre mostre in Italia, di cui 3 – risalenti a circa 20 anni fa –, alla Triennale di Milano. Mostre quest'ultime che erano state realizzate in senso propedeutico alla istituzione del Museo del Design di Milano, che però, ad oggi, non è ancora aperto, pur avendo un patrimonio consistente di 400 o forse anche 500 pezzi raccolti.
Più di recente, qui in Toscana ho realizzato una mostra sulle opere di Spadolini, a Pistoia, ed ho curato altri eventi espositivi, anche piccoli… Come 16 Tisaniere I-DEA EXHIBITION nel 2003 organizzata nella sede del Corso di Laurea in Disegno Industriale di Calenzano. E oggi, praticamente sul lato opposto della medesima strada, abbiamo terminato di realizzare Italian Beauty. Cento esemplari al top, mostra che, in un certo senso, inaugura il primo museo dedicato al design italiano. Una mostra davvero importante quella che abbiamo proposto qui a Calenzano, con un respiro veramente internazionale e che, in confronto alle molte che ho visitato, è stata davvero molto grande ed accurata – una mostra che non sfigurerebbe certo né a New York, né a Londra, né a Parigi... Ma che soprattutto ha un filo logico, una coerenza interna molto forte – che è poi quel che manca a molte iniziative consimili che, sovente, non riescono a trasmettere e a far apprezzare al visitatore il senso profondo di una storia produttiva e creativa, anche recente, incredibilmente innovativa.

Come ha accennato, grazie alla Fondazione AQ per il Design, al patrocinio del Comune di Calenzano, e al Corso di Laurea in Disegno Industriale, ubicato proprio a Calenzano, sta finalmente nascendo il Centro Arte e Design. Museo che, strano a dirsi, non ha sede a Milano, ma in un comune fiorentino. Come è nata l'idea?
Da qualche anno mi sono resa conto che con oltre 45 anni di esperienza nel design, in Italia non era ancora stato realizzato un fondo, accessibile a tutti, dedicato interamente al prodotto industriale di design italiano. E questo, si badi, mentre all'estero i musei dedicati al design sorgono ovunque. Tra l'altro ho lavorato al MoMA di New York – nella sezione Architettura e Design –, e quindi sono stata testimone diretta e promotrice già 30 anni fa di molti eventi che testimoniano un costante e profondo interesse – quasi un culto – per il dopoguerra produttivo italiano. Qui in Italia invece, tutti ne parlavano e ne parlano tuttora molto – Milano, Roma, Genova –, ma nessuno realizzava questo sogno del Museo del Design Italiano. E così siamo arrivati noi per primi, perché appunto la sola idea che un tale museo non esistesse in Italia a me sembrava veramente inconcepibile. Soprattutto poi quando si afferma – di continuo e da più parti – che l'Italia, e in special modo Milano, sono il centro del design internazionale.

E' nata una vera e propria collaborazione con il Corso di Laurea in Disegno Industriale di Calenzano e con Massimo Ruffilli, suo presidente. Che relazione hanno con la vostra Fondazione?
L'idea è nata proprio insieme a Massimo Ruffilli. Mi era stato richiesto di realizzare una mostra antologica sul design italiano dal dopoguerra ad oggi abbastanza ampia in modo da rendere anche agli studenti del corso un servizio, nel senso che potessero vedere questi pezzi dal vivo, nella realtà, in modo cioè diretto e non solo in mediato attraverso fotografie d'epoca. A questo punto ho colto l'occasione per unire le due cose insieme: la mostra e l'idea della fondazione. Così è nata questa collaborazione fra il Corso di Laurea, la Facoltà di Architettura di Firenze e la Fondazione AQ per il Design, che è stata firmata a marzo 2005, e quindi è già attiva da diversi mesi. La fondazione è nata per statuto insieme al Corso di Laurea, dopo che il Rettore ha ne ha accettato l'unione. Lo scopo ovviamente è quello di divulgare il design in tutti i suoi aspetti oltre, naturalmente, alla promozione dello studio e dello sviluppo del design, anche per il futuro. Infine, la prossimità della sede della fondazione e del Corso di Laurea – come detto si trova a due passi dalle aule – garantisce al museo un notevole e costante bacino di pubblico interessato costituito perlopiù da docenti e studenti – il corso ha infatti avuto un successo enorme –, per cui la fondazione è a tutti gli effetti il primo museo del design italiano aperto al pubblico. Perché occorre notare che esistono numerose collezioni in Italia, ma nessuno ha un museo aperto. Anche Milano – dove se ne parla da 10 anni e sono già stati raccolti moltissimi pezzi –, non ha ancora concluso niente. Noi siamo arrivati per primi e Calenzano può quindi vantare un'esclusiva, un primato.

Secondo lei, durerà nel tempo? Ci sono altre iniziative in programma?
Il programma della fondazione, per statuto, stabilisce che ogni anno dovrà essere realizzato un evento promozionale legato alle tematiche del design; una tavola rotonda, una mostra, oppure borse di studio… la fondazione, insomma, dovrà essere costantemente operativa. In questo periodo c'è già in progetto una mostra a Bologna, sempre inerente l'industrial design, che si concretizzerà entro l'anno 2007. Poi – ne sono venuta a conoscenza parlandone con gli studenti del corso –, alcuni docenti hanno manifestato l'intenzione di svolgere le proprie lezioni qui alla fondazione. Per esempio studiando uno, due o tre pezzi per volta, verificando direttamente, e in concreto, come siano stati progettati gli oggetti, le modalità di realizzazione, le tecniche di assemblamento, le tecnologie produttive, ecc… A me sembra un'ottima idea, senz'altro molto utile.

Allacciandomi al tema delle lezioni, come ex-studentessa del Corso di Laurea, ho vissuto negativamente l'assenza di una specifica materia sulla Storia del Design. Purtroppo, mi è parso di avvertire nell'insegnamento un legame preferenziale con la Storia dell'Arte; fatto questo che, anche per la vastità dell'argomento, non si è rivelato molto proficuo in quanto spesso i temi sono stati affrontati globalmente e, a volte, in modo troppo superficiale... Penso che, magari, una materia più circoscritta e “schiettamente” direzionata sul design sarebbe molto più idonea per il nostro curriculum… è d'accordo?
Pienamente. Lo trovo giustissimo. Anche perché design significa progettazione, in senso lato: progetto di un esemplare concreto, ma anche del procedimento e del processo necessario alla sua realizzazione. Il design quindi rientra sempre nelle arti figurative, ma – e ciò vale soprattutto per l'industrial design –, è una cosa a sé. Pur essendone una sorta di laboratorio applicativo, pur avendo relazioni di contiguità, ascendenza ed affinità elettive, il design non c'entra niente né con l'arte, né con la moda – altro segmento del fare cultura e prodotto col quale sovente il design viene confuso… e la Fondazione AQ per il Design è nata appunto per questo: far vedere cos'è il design industriale sotto tutti i punti di vista.

Altro punto dolente del Corso di Laurea è poi la capacità di fornire ai suoi studenti una valida biblioteca…
Vero. Anche per questo, infatti, porterò alla fondazione materiale dalla mia biblioteca, dato che ho cataloghi per circa 40 anni: cataloghi anche esauriti che, come molti altri libri, sono essenziali alla documentazione della storia del design… e potranno essere quindi materia di studio. Si tratta quindi di materiale d'importanza storica, necessario per conoscere come, perché e quando è nato il design in Italia. Noi siamo arrivati non dico gli ultimi, ma quasi. Sicuramente il design in Italia nasce successivamente all'Inghilterra, la Germania, l'America. Però siamo arrivati molto bene; tant'è che negli anni '60 si è determinato il vero boom del design italiano. Ecco perché la Fondazione parte dal 1960. Indubbiamente il design c'era anche prima – basti pensare a Olivetti, a Necchi, le auto Fiat… aziende che avevano già tutte propri laboratori di progettazione – però il vero e proprio boom non c'è stato fino agli anni Sessanta.

I pezzi presentati alla mostra Italian Beauty: Cento esemplari al top, sono stati prestati e addirittura donati dalla sua collezione…
Esatto, i pezzi sono stati sia donati che prestati. Le aziende sono state veramente molto collaborative perché ci hanno regalato tantissimi pezzi – ad esempio la lampada Fortebraccio di Alberto Meda e Paolo Rizzatto, la lampada Ra di Ettore Cimini, la lampada Boalum di Livio Castiglioni e Gianfranco Frattini, la lampada Cobra di Elio Martinelli, la lampada Falkland di Bruno Munari, l'aspirapolvere Houdini di FT&A - Trabucco e Associati, la macchina per pasta di Pino Spagnolo, il condizionatore Pinguino Pac 50 di Giacomo Borin, la poltrona Nastro di Fabio Bortolani, la poltrona Kenia e la sedia Selene di Vico Magistretti, la poltrona Canasta di Paolo Parigi, la poltrona Ghost di Cini Boeri e Tomu Katalanagi, la poltrona Vertebra di Emilio Ambasz e Giancarlo Piretti, la sedia Plia sempre di Giancarlo Piretti ed il casco Sonic di Monica Pilenghi.
Solo quelli che venivano dai musei delle aziende, soprattutto pezzi degli anni Sessanta e Settanta – come ad esempio la lampada Pelota di Cesare Casati ed Emanuele Ponzio, il telefono cellulare ed il proiettore Bravo di Pininfarina Extra, il tavolo Quaderna di Superstudio, il Tavoletto di Alberto Salviati ed Ambrogio Tresoldi, la poltroncina 925 di Afra e Tobia Scarpa, la poltrona Dezza di Giò Ponti e la poltrona Sanluca di Achille e Piergiacomo Castiglioni – sono stati prestati.
Ma sono una minoranza rispetto agli altri presenti alla mostra… infatti ve ne sono rimasti circa 90 pezzi, anche perché alcuni sono di proprietà della mia Fondazione – come ad esempio il telefono Contatto di Giorgetto Giugiaro ed il ventilatore Ariante di Marco Zanuso.

Molto interessante infatti, è anche capire come rispondono le aziende nel partecipare a questo tipo di iniziative, nel dare questi pezzi. In questo caso direi sia stata una collaborazione molto positiva…
Sì, senza dubbio hanno partecipato tutti molto positivamente. Anche tuttora, a Milano, mi capita – non dico tutti i giorni ma spesso –, di sentir parlare di questa iniziativa che interessa tutti. Oltre, naturalmente, ai complimenti al Comune di Calenzano che ha avuto il primato della partenza di questo specifico museo, dato che purtroppo ancora non si hanno da altre parti.

Eppure, nonostante questi ottimi segnali della provincia, se confrontiamo una città di grande presenza internazionale come Firenze con Milano la carenza culturale di iniziative, manifestazioni, dibattiti sul progetto e sul design è quasi sconfortante…
Purtroppo si nota quasi una legge fisica: più scendiamo in Italia e meno si parla di design – e meno si percepisce una condivisa consapevolezza della sua necessità culturale e produttiva.
Milano è la città industriale per eccellenza: l'industria è nata e si è sviluppata lì. Tutto il Nord, con la Lombardia in testa, ha svolto e svolge tuttora il ruolo di trascinatore nel campo del design industriale. Per cui c'è un dato oggettivo e qualitativo con cui occorre sempre fare i conti: le fabbriche i quest'area sono moltissime e sono anche state le prime. Le grosse industrie italiane sono germogliate tutte al Nord, ed anche in conseguenza a questa densità ed antecedenza il tessuto di quelle regioni è stato il territorio dell'operatività imprenditori illuminati che hanno creduto nel valore aggiunto della cultura del progetto chiamando architetti e designer a collaborare nella produzione. Il nesso fra industria e design è imprescindibile e il nord Italia ha, forse, goduto anche il privilegio di essere il territorio più prossimo all'estero, ovvero a quelle stesse nazioni in cui è nato e si è sviluppato il design. I grandi paesi del design in Europa erano l'Austria, la Germania, l'Inghilterra, e Milano era sicuramente – anche per ragioni storiche consolidate –, la metropoli italiana più vicina a queste realtà extranazionali…

Quindi il Centro Arte e Design potrebbe avere un ruolo di catalizzatore culturale per una realtà acerba come la nostra?
Penso di sì. Credo che il territorio produttivo toscano abbia bisogno di una realtà di questo tipo. Le persone, ed in special modo i ragazzi che s'avviano alla professione del designer, devono sapere che cosa è il design; da dove nasce, come mai siamo famosi nel mondo, E queste sono riprove che vanno concretizzate. La fondazione si è posta dunque come scopo di promuovere il design e la sua conoscenza, perché questa consapevolezza è importante anche per le nostre industrie. Su questa lunghezza d'onda si è posto anche lo stesso sindaco di Calenzano manifestando l'intenzione di promuovere il CAeD non solo per la parte artistica – con la Fondazione AQ per il Design –, ma anche attraverso la promozione di abbinamenti con le industrie, perché sono proprio loro, in primo luogo, ad avere bisogno del design. In particolare, come mi ha anticipato il sindaco di Calenzano, creando in questa stessa nuova struttura una sala computer per la progettazione di pezzi, in modo che le industrie possono venire qui ed usufruire del contributo di studenti, insegnanti e professori del Corso di Laurea. Una collaborazione, insomma, voluta anche per rendere vitale questo Centro…

Dunque, un trampolino di lancio per gli studenti…
Certamente, è molto importante. Altrimenti dove dovrebbero questi ragazzi se nessuno promuove il loro studio? All'estero? No, solo così le industrie avranno l'opportunità di vagliare le qualità, di conoscere ed apprezzare meglio il giovane design e, quindi, di produrre pezzi di qualità originati dalla sua cultura e dal professionalità. Credo fortemente che il design sia soprattutto per i giovani, perché è nei giovani nella loro energia che si generano le idee nuove. Ormai le idee vecchie noi le abbiamo già sperimentate…

La cultura del progetto, così come il design stesso, è oggi un plusvalore per un'azienda. Ma negli anni passati gli imprenditori dedicavano forse maggiori attenzioni ai nuovi designer e ai loro pezzi – magari anche difficili da sostenere –, non allineandosi alle tendenze di mercato, bensì imponendo al mercato le proprie scelte strategico-produttive. Non trova che l'anello mancante, nell'odierno rapporto designer/industria, sia la mancanza di coraggio?
Innanzitutto vorrei sottolineare che se possiamo parlare d'intraprendenza creativa negli anni '60-'70 non possiamo però confonderla con l'avventatezza produttiva. Le personalità di cui parliamo non erano certamente immature a quel tempo… Per esempio un'azienda come Cassina era attiva all'incirca già negli anni '30, del tutto analogo è il caso di Gavina… E i progettisti che collaboravano con queste aziende erano allora i più famosi architetti d'Italia. Quindi c'era già una preparazione, un substrato intelligente, capace ed esperto che ha portato a questi risultati… Certo non erano così numerosi, ma le aziende e gli autori che hanno segnato quegli anni sono tutt'oggi vitali nell'industria del mobile e dell'arredamento in Italia.
Mi sembra di poter affermare che la qualità nel design non sia una questione di élite bensì di eccellenza. La qualità nasce effettivamente dalla produzione, direi, dai grandi numeri. Occorre quindi un contesto produttivo di rilievo in cui la quantità gioca un suo ruolo. In Italia le aziende del mobile sono tantissime, ma è solo per un ristretto ambito che possiamo parlare di eccellenza.
Anche nella mostra Italian Beauty: Cento esemplari al top di Calenzano, erano presenti circa 55 aziende, tutte molto qualificate. Naturalmente ne esistono altrettante in Italia. In mostra c'era una parte della migliore produzione degli ultimi 50 anni e nemmeno avevamo ristretto il tema al solo furniture esponendo molte altre tipologie di prodotto del disegno industriale. E' il caso, ad esempio, del car design, che con alcuni prodotti più o meno recenti – Panda e Grande Punto, per Fiat, e Brera per Alfa Romeo – disegnati da Giugiaro design e da Dante GiacosaFiat 500 e Millecento – ben rappresentava un simbolo magari oggi meno convintamente espresso: quello dell'Italia che cammina. Prodotti a confronto in cui, a mio avviso, è possibile leggere l'evoluzione produttiva e tecnologica, le innovazioni che hanno caratterizzato un'epoca – anni '60, '80, terzo millennio. Nel design si specchia una civiltà, una società in movimento e ciò è ancor più vero in quanto il design vive e si nutre di innovazione. Il design, cammina perché ogni anno si rinnova, con macchinari, tecnologie, materiali nuovi… E' un campo coinvolto inesauribilmente con l'innovazione e che va avanti in tutti i sensi…

Qual è il suo giudizio nei confronti dei giovani progettisti oggi e del giovane design italiano in particolare?
Sono convinta che anche oggi i geni sono numerosissimi, solo che non sanno dove e a chi rivolgersi per concretizzare i loro progetti… Circa 10 anni fa avevo instaurato una piccola scuola di design e una nuova linea di design per la casa – I-Dea –, che era iniziata con una serie di progetti di tisaniere. Per questa tipologia di oggetti ancora poco indagati dal design è stata realizzata una mostra un paio di anni orsono sempre presso il Corso di Laurea di Calenzano – il catalogo fu redatto da Maria Cristina Tonelli. Era una piccola scuola che proponeva non solo i designer famosi – l'elenco completo dei lavori comprendeva progetti di Emilio Ambasz, Gae Aulenti, Cesare Maria Casati, Guido Ciompi, Marco Ferreri, Giorgetto Giugiaro, Paolo Golinelli, Isao Hosoe, Setsu Ito, Angelo Mangiarotti, Nicoletta Panattoni, Patrizia Pietrogrande, Carla Ventosa, Elisabeth Vidal, Lella e Massimo Vignelli, Hans Von Klier –, bensì un mix di autori molto conosciuti e designer non ancora affermati che erano, per così dire, “trascinati” dai più grandi. E si trattava di nomi anche molto poco conosciuti, perché in questo mondo – che è il mondo dell'innovazione, della creatività, ecc. – ritengo sia un nostro dovere non fossilizzarsi mai a quanto è già emerso, ma continuare a cercare nuovi talenti, nuove menti, giovani e fresche che ci sono davvero...
Oggi ci sono anche giovani designer che progettano per le industrie dell'arredamento e dell'illuminazione… Nella mostra Italian Beauty erano esposti, ad esempio, prodotti come Anellum, lampada – prodotta da Muvis e progettata da Massimiliano Zoggia – che è caratterizzata da una peculiare capacità di mutare l'intensità della luce, il colore, la posizione… E si tratta solo di uno degli oggetti ideati da giovani menti presenti alla mostra. Altro esempio erano i caschi Fighter Bluetooh di Momo Design… Insomma i giovani ci sono, ma forse è vero che appaiono meno sulle riviste e il loro iter professionale con le industrie affermate è sempre in salita… Ci sono, ovviamente, giustificazioni per questo atteggiamento diffidente da parte delle aziende: avere un progettista famoso è sempre un motivo di richiamo, anche per le vendite… E' sempre una sicurezza. Ma nonostante ciò oggi occorre che siano i ventenni a cimentarsi col design e, soprattutto è necessaria, da parte dell'impresa, un grande impegno e un'apertura di credito verso le nuove generazioni di progettisti. Sono convinta che un grande ritorno alla centralità del design sia in corso già da un paio di anni e che l'interesse stia man mano aumentando. Penso inoltre che tra non molto ritorneremo ad un vero e proprio boom del design proprio in quanto espressione dell'inventiva italiana. Ormai ci possiamo difendere soltanto sulla qualità e genialità dei prodotti, perché, come si assiste quotidianamente, su ogni altro fronte i paesi emergenti – la Cina, ma non solo – sono estremamente competitivi. L'eccellenza in qualsiasi settore, dal design dei tessuti, a quello dei prodotti di arredamento, delle macchine, delle biciclette, può e deve essere mantenuta solo attualizzando lo spirito di progettazione che ci ha sempre contraddistinto. E questa attualizzazione passa forzatamente e si sprigiona solo dalle menti dei giovani…

La situazione economica attuale, fortemente competitiva, ha determinato per molte aziende scelte produttive anche laceranti che, se non stravolgono del tutto il Made in Italy (ormai forse un'entità più manageriale, direttiva e operativa che progettuale) ne ledono i connotati di specificità. Che tipo di impatto ritiene possa avere questa raccolta di exempla appartenenti ad un periodo talmente particolare e felice della nostra epoca industriale. Un monito, una lezione? Forse quella stessa lezione sulla consistenza che Italo Calvino avrebbe voluto scrivere per il Terzo Millennio e di cui buona parte degli oggetti presentati sono testimoni?
Sì, una lezione, forse. Del resto questa fondazione e questo museo rappresentano anche ciò che della mia lunga stagione di intense relazioni col design italiano ritengo debba essere conservato. Oggi, forse, sono una delle più vecchie – per fortuna non per età, ma per esperienza – nel campo di design. Anni in cui ho avuto la fortuna di frequentare la scuola di un maestro come Giò Ponti. Una scuola che è stata anche molto rigida. O, meglio, rigorosa. Perché nel campo del design – e questo tengo molto a dirlo –, ci vuole molto rigore nelle scelte. Il design è composto da 3 fattori: il rigore delle linee, la funzionalità, l'estetica. Qualsiasi prodotto si deve basare e va valutato su questi 3 criteri, altrimenti non è buon design. Questo non lo sanno in molti, ma era una cosa che Giò Ponti diceva molto spesso. Per lui contava molto il rigore, le linee pulite, semplici. Molte volte infatti un buon pezzo di design nasce proprio da un'idea semplicissima. Non ci devono essere sovrastrutture, non ci deve essere overdesign. Semmai è proprio su tale linea di confine che si gioca la differenza fra design e pratiche che non sono design in senso stretto bensì, arte, artigianato… Ma questo purtroppo non lo dice mai nessuno. Una delle tendenze più fastidiose di questi anni è lo sfondamento continuo del design in discipline differenti e viceversa. Il costante intreccio di professionalità differenti in un medesimo ambito, pur essendo per molti aspetti vitale, porta ad uno smarrimento e confusione che coinvolge anche molti operatori del settore. Per cui molti vedono il design ovunque, quando invece ciò non è affatto vero. La moda, ad esempio, non è design; un vestito non è progettazione, è stilismo. Lo stilista può chiamarsi certo progettista, ma più che altro è un disegnatore che segue certe linee di uno stile. Mentre il design non è stile bensì soprattutto l'idea nuova: è la progettazione che viene da una mente in maniera spontanea. Ed è soltanto quella, non può essere un'altra cosa.


Fondazione AQ per il Design
www.fondazioneannaquerci.it

Università degli Studi di Firenze
Corso di Laurea in Disegno Industriale

www.design.unifi.it

Anna Querci
Tra il 1961 e il 1967 lavora alla rivista Domus come redattrice collaborando alla realizzazione delle prime mostre di Eurodomus (sul design) sia in Italia che all'estero. Tra il 1967 e il 1973 vive a New York. Collabora, come corrispondente di Domus, di Bolaffi Arte e Popular Photography; dal gennaio 1970 fino alla fine del '72 lavora al Museum of Modern Art, sezione Architettura e Design, come coordinatrice della parte oggetti della grande mostra Italy: the New Domestic Ladscape tenutasi nel maggio-giugno 1972.
Successivamente torna in Italia e lavora di nuovo alla rivista Domus come responsabile del settore design.
Nel 1979 collabora alla mostra Transformation in Modern Architectures al MoMA di New York e pubblica un numero speciale di Uffici per la casa editrice Domus.
Dal 1980 lavora come free lance per riviste come House & Garden, Abitare, AD Architectural Digest e La mia Casa. Scrive articoli per giornali come il Giornale, Il Resto del Carlino, Il Progresso.
Dal 1985 ha collaborato alla realizzazione del Museo d'Arte Contemporanea di Prato. In seguito scrive per le riviste Arca e Class e per il Corriere della Sera.
Nel 1982 organizza e dirige la mostra Design Italia: the love affair per la Marshall Field's e per il Museum of Contemporary Art di Chicago.
Nel 2005 ha costituito la Fondazione AQ per il Design.


Ulteriori informazioni sul volume antologico di IdeaMagazine.net


Da maggio 2011, il testo della presente intervista è disponibile anche in versione cartacea nell'antologia Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net recentemente pubblicata da Franco Angeli nella Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale.
Compresa la presente, nel volume sono raccolte 30 interviste – pubblicate on line dal 2000 al 2010 – che offrono al lettore un interessante resoconto «fenomenologico» su tre ambiti operativi della cultura del progetto assai poco frequentati dalla «comunicazione» sul design: il «nuovo» design italiano, il progetto in Toscana, il design al femminile.

Interviste sul progetto.
Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net

Umberto Rovelli (a cura di)
Franco Angeli - Milano
Collana ADI - Associazione per il Disegno Industriale
1a edizione 2011 (Cod.7.8) | pp. 264
Codice ISBN 13: 9788856836714

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a cura di:
Federica Capoduri

Da maggio 2011 è disponibile il volume antologico «Interviste sul progetto. Dieci anni di incontri col design su IdeaMagazine.net» in cui è stata inserita questa intervista
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XXIX.
XXVIII.
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V.
IV.
III.
II.
I.
 

ha collaborato:
Umberto Rovelli




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