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 GIULIANO MAZZUOLI | 3.6.5.
 Quel che ci lega. Nota sull’opera di Giuliano Mazzuoli


Considerando l’animo con cui affrontiamo le fiere dedicate al design, dovremmo ammettere che la ragione intima per la quale siamo spinti verso la novità risieda nella disgregazione dello status quo. Una condizione a ben vedere paradossale in quanto all’euforia per il «nuovo» corrisponde una dissipazione che, giorno dopo giorno, logora buona parte del nostro patrimonio comune, di quel tessuto connettivo intergenerazionale sul quale nonni e nipoti possono ancora parlarsi. A conti fatti, dunque, visitare con quest’ottica le fiere equivale a focalizzarsi in un modo ingenuamente positivista su quanto ci differenzia dal passato dimenticando che il valore di quel differire sta anche nel residuo, ormai molto marginale, di quel che ci unisce.

Non sono mancate in Toscana figure esemplarmente votate a leggere nel contemporaneo una simultanea convergenza fra trame emergenti e orditure consolidate. Ad esempio Leonardo Savioli che «con la sua architettura [...] voleva "registrare l'esistenza". Voleva "toccare lo spazio" prima di poterlo rappresentare e poi costruire; per lui tutto era relazionato agli "altri", da comprendere e da amare; non occorreva "inventare per forza", ma raccogliere "l'eredità delle cose che sono sempre esistite". Ecco perché il fine dell'architettura era sempre la città»  00 . Ma, a partire dagli anni '80, tale bifida tensione ha forse cominciato a vacillare. Perdendo aedi di rilievo – in grado cioè di propalare il gusto, il sapore e la sapienza di cortocircuitanti prospettive crono-topologiche – si sono poste di fatto le condizioni affinché oggi si determinasse una separazione sempre più netta fra le nozioni di «classico» e di «tendenza».

Tale fenomeno negli ultimi anni s’è accelerato al punto che il portato peculiare dei prodotti evergreen viene oggi percepito quasi come un controvalore  01 . Eppure, se dovessimo decidere cosa ci identifica maggiormente rispetto ad altri popoli dovremmo ammettere che se esiste un quid distintivo esso risiede proprio in quel che ci lega attraverso le generazioni, ovvero proprio ciò che costituisce, come detto, un terreno psico-materiale condiviso fra noi e i nostri nipoti. Ovvero quanto resta di invariato tra le diverse generazioni viventi.

Questo complesso identitario, che nel crescente fenomeno vintage ha un chiaro sintomo  02 , è stato ben interpretato da alcuni lungimiranti designer e imprenditori che – ad esempio trasformando le icone «nostalgiche» del più o meno recente passato in leve progressive  03  – hanno talvolta realizzato produzioni d’élite connotate da avvincenti enjambement simbolici proprio in quanto contese fra territori del sorgivo e del déjà vu.

Fra loro una menzione speciale merita Giuliano Mazzuoli, divenuto in questi anni un audace e fortunato interprete e «rivisitatore» del progetto laboratoriale «anonimo» del secolo scorso.

Senza retorica, quella di Mazzuoli è una storia creativa e produttiva che profuma di «mito» ed è in grado di rivaleggiare sia con analoghe vicende pre-rinascimentali e del made in Italy peculiari degli anni ‘60-’70. Occorre infatti riconoscere che con l’attività ormai ultra ventennale di Mazzuoli siamo di fronte ad opere di altissimo genio imprenditoriale. Lavori in grado di connettere tecnica e talento inventivo, capaci cioè di portare sul mercato prodotti di una tale «potenza» comunicativa da garantirgli sia partner prestigiosi come il Museum of Modern Art (MoMA), Fiat, Alfa Romeo sia fan e testimonial d’eccezione quali Paul Newman, Roberto Baggio, Renato Zero, Roberto Cavalli, Justin Bieber, Matteo Renzi, Lapo Elkann (honi soit qui mal y pense), ecc.

Dal 1953 l’azienda paterna ha prodotto blocchi e rubriche destinati ai pellettieri fiorentini, ma la svolta produttiva risale ai primi anni ‘90, quando cioè Giuliano Mazzuoli viene a conoscenza di un sistema di rilegatura tipico del ‘700 e decide di riprodurne il requisito di «rigidità flessibile» con tecniche attuali. Ma il nome creato per la linea di agende e blocchi – Stifflexible – individua la caratteristica epidermicamente più rilevante di un prodotto che comunque è originale  04  proprio in quanto propone una rilettura contemporaneamente credibile e attenta della tradizione. Non solo. Mazzuoli è sia abile nel concepire l'oggi rivisitando il passato che accorto e prudente nell'intuire i possibili futuri di quello stesso presente rivisitato. Non si adagia quindi sul primo aspetto innovativo individuato, e più che a «spremere» l’idea originaria sembra interessato ad «alimentarne» i sensi, moltiplicarne gli effetti, intrecciandoli ulteriormente in complexio.

In particolare, ogni suggestione raccolta viene «tematizzata», ovvero elaborata, esaltando le interconnessioni sussistenti e attuabili fra gli ambiti condivisi della «praticità» e quelli – a torto considerati inconciliabili –, dello stile «individuale». In breve le Stifflexible si dotano di sezioni volta-pagina riservate a idee ed appunti, alcune edizioni si caratterizzano per la rigatura delle pagine ondulate e inclinate, infine per le tasche porta biglietti da visita con funzione di segnalibro. Proprietà peculiari, sature insieme di senso storico, funzionale e specificamente esclusivo, dove cioè quel che le distingue si alimenta ed abbevera in un "presso", in un comune intorno. Dove la distinzione non si declina né con la solitudine né col distacco da un humus condiviso, quanto piuttosto con l'appartenenza ad un contesto valoriale più ampio e convissuto.

Proprietà la cui emersione e adozione può essere addebitata a capacità ed attenzioni consapevolmente «toscane», visto che le matrici di questo talento a reperire nuovi sensi nel traditum si possono far risalire a quell’«empirismo guicciadiniano» in cui Alberto Asor Rosa ha voluto cogliere le radici del «problematicismo esistenziale e conoscitivo»  05 . Ovvero quell’«atteggiamento mentale, posizione percettiva che si fa taglio interpretativo, ermeneutica»  06  che ha come vettore primario la «discrezione» (la «scettica e disincantata capacità di osservare la mutevolezza delle situazioni e di adattarsi a esse»  07 ) e, come «naturale» approdo, il «particulare» – da intendersi a sua volta «non come volgare ricerca di beni economici, ma come realizzazione piena della propria personalità»  08 .

In proposito, Curzio Malaparte nota come quel che salvava anche la povera gente di questo territorio fosse «sopra tutto quel senso casalingo della storia, per il quale il “particulare”» si sentiva «al riparo da ogni universale rivolgimento, da ogni pericolo di natura pubblica, come d’ordinario si sente chi sta in casa propria. La Toscana (...) era l’unico paese al mondo che fosse una “casa”», al punto che gli stessi invasori venivano «guardati dal “particulare” toscano quali miserabili senza tetto»  09 . Poco più avanti, senza stabilire un nesso diretto fra tale «domesticità» e il tratto umanistico  10  dell’«agire» toscano, Malaparte si sofferma comunque a dissertare sulla «virtù» – anch’essa tutta toscana – «di far le cose a modo, a miccino, senza perdere il senso delle misure e delle proporzioni umane, l’arte di far le cose grandi col senso della piccolezza dell’uomo, e le piccole e umili col senso della grandezza umana»  11 . E, un poco oltre, invita chiunque desideri «persuadersi di questa greca virtù dei toscani (...) e cioè del senso della misura» a guardarsi «la pittura senese e fiorentina, dove le architetture son così fatte, che un uomo a cavallo empie tutta la contrada, e sopravanza del capo il tetto più alto, e le montagne son più piccole degli alberi, e gli uomini sembrano bambini a petto delle viti, degli olivi, delle ginestre, e di quell’uccellino che canta lassù, fra i rami di quel cipresso: che non è per difetto di prospettiva, ma per antipatia di ogni magniloquenza»  12 . Perché, prosegue Malaparte, «l’uomo, se lo guardi da vicino, (che è il modo di guardare dei toscani), è un animale piccolo, e ha bisogno di vivere, per sentirsi uomo, in mezzo a cose fatte a misura sua»  13 .

La Toscana è pertanto il luogo (la «casa») dove, più che altrove, una peculiare attitudine alla prossimità tra uomini e cose, ha consentito e consente il compiersi frequente di laiche unio mystica tra idee, materie e corpi viventi. Ciò riguarda il territorio, l’architettura come, peraltro, gli artefatti ma, in modo particolare, riguarda gli «oggetti per la persona». E fra quei misurati campioni, che per «connaturata antipatia di ogni magniloquenza» sanno trasporre un senso casalingo e pratico al «fatto ad arte», vanno sicuramente annoverate le Stifflexible. Prodotti nel cui «ortodosso alternativismo»  14  traspare proprio la sapidità di quel connubio, cui si accennava, fra schietto individualismo e altrettanto sincero trasporto per l’assai più «corale» praticità e che, non casualmente, vantano nel 2013 col MoMA la loro undicesima edizione personalizzata  15 .

Ma il successo della 3.6.5. di Giuliano Mazzuoli è soltanto preludio alla successiva predisposizione prima della linea Officina e, quindi, della linea Mini Officina in cui il designer|imprenditore toscano dedica la propria «discrezione» alla ideazione e produzione di «strumenti per la scrittura» caratterizzati, come detto, dal richiamo ad attrezzi meccanici e, più in generale agli ambienti lavorativi conosciuti nell’infanzia dall’autore. Mazzuoli li chiama «utensili per la scrittura», e vi infonde tutte le emozioni vissute nell’officina del nonno Renato che con frese e torni costruiva artigianalmente biciclette.

Con Moka e Mokina la fonte di ispirazione è invece un simbolo dell’italian style con cui tutti abbiamo avuto a che fare nella nostra vita. Ed è, quindi, una delle più durevoli icone|simbolo della civiltà italiana, protagonista principe del rito sociale quotidiano del caffè, a divenire pretesto figurativo per una penna sfera e un roller di successo. Si potrebbe proseguire, ma la regola, l’invariante di questo gioco volto a offrire un mercato per «cose fatte a misura d’uomo» è che la sorpresa sprigionata dallo «scarto semantico» nell’oggetto possa essere accolta come naturale o, perlomeno, come non fittizia. La scommessa su specifiche e accertate capacità di non ricusazione da parte dell’oggetto è alla base di un gioco in cui lo scarto innovativo, per essere «resistente», è tenuto ad esibire altrettanto consistenti assonanze ortodosse (o conformistiche) rispetto al quadro tematico generale. L'invariante del gioco sta dunque nel tentativo di generare e proporre «devianze» in grado di confrontarsi e dialogare con i leitmotiv della «durata» del settore di pertinenza.

Tra immedesimazioni biografiche ed oculati scostamenti semasiologici, i reperti di memoria personale e collettiva trasmutati in «strumenti per la scrittura» proposti nel catalogo Mazzuoli, costituiscono ormai un’ideale costellazione di brand, manufatti, figure e luoghi atti a emozionare sia il cuore sportivo – le Ducati, le Stelvio – sia quello «nobilmente italiano» tramite il recupero «discreto» e intelligente di epiche icone nazional-popolari come la Cassia e la struttura morfologica del dirigibile Norge che per primo sorvolò il Polo Nord.

Infine – ma è solo l’ultimo degli accertati approdi produttivi intuiti dell’imprenditore fiorentino – gli orologi da polso. Anche in questo caso si tratta di idee forti e coraggiose, oggetti – il cui unico neo, sicuramente non secondario, è l’alto costo unitario – che sollecitano reminiscenze su ormai desueti mondi paralleli industriali come nel caso di Manometro, Contagiri e Trasmissione Meccanica.

Il primo, nato quasi per caso da un sopralluogo in fabbrica, gli fornisce l’occasione per concretizzare il desiderio di sempre senza doversi ispirare a orologi già esistenti. Una fortunata sinergia, un’opportunità che Mazzuoli ha saputo declinare con meticolosa attenzione al dettaglio, al potere propulsivo e coinvolgente implicito nel variare dei materiali, nel bilanciare pesi e misure, creando anno dopo anno una gamma di straordinario pregio e sensatezza, dove ogni nuova tipologia d’uso sa dimostrarsi talvolta, quando non addirittura spesso, più accorta e convincente del modello di origine – è il caso di Manometrino, Manometro Pendoletta e, soprattutto, di Manometrino da tasca di cui parleremo anche più avanti.

Il secondo – calco cronografico del contagiri posto sul cruscotto dell’adorata Alfa Romeo GTA – è invece frutto di un lungo periodo – circa tre anni – di elaborazione, tre brevetti internazionali necessari alla sconvolgente mise en forme di una nuova «idea di tempo». Una ritmica non più ciclica, infinitamente identica ma linearmente progressiva e ricorrente insieme. Scandito da brusche fratture – un’unica lancetta retrogradante che si muove su un arco di 270° e non 360° – il tempo alluso da Contagiri è aperto allo stupore e alla meraviglia. Un tempo che sapendo «voltare pagina» è disposto e disponibile tanto alle accelerazioni improvvise dell’inatteso quanto ai rallentamenti della memoria e del sogno.

Infine Trasmissione Meccanica, sorta di elogio della meccanica in cui lo stesso Mazzuoli, dichiarando il proprio amore nei confronti di «elementi disegnati per la loro funzionalità senza la minima ricerca dell’estetica»  16 , in realtà testimonia il contrario. Poiché l’estetica è indissociabile dalle grammatiche costruttive che presiedono all’attribuzione di funzioni e dei due domini sono le prime a contenere le seconde, non viceversa. Nessuna delle operazioni di transito effettuate da Mazzuoli avrebbe potuto essere attuata se così non fosse, se cioè le funzioni, apparentemente originarie, non rappresentassero che maschere sovrapposte a volti potenzialmente assai più espressivi, complessi ed aperti: a qualcosa di ulteriore, di già presente dinanzi a noi ma che proviene a noi sub specie di scoperta, d’illuminazione inventiva.

Seguendo l’autore, si deve al talento connettivo e «stuporoso» di nuovi occhi aperti sulla stessa cosa, il risultato ottenuto con Trasmissione Meccanica dove «l’ingranaggio è diventato la cassa, il disco della frizione (...) un particolare quadrante, mentre la corona di carica è identica all’albero scanalato (...) che trasmette la rotazione dal motore al cambio. Le lancette invece sono quella specie di compasso che era presente sul banchino del meccanico. Un tempo vedevo spesso smontare e rimontare il cambio e quasi sempre con ansia per poter poi girare con la macchina. Oggi lo guardo con occhi diversi, tanto diversi da prendere spunto da queste parti meccaniche per trasformarle in un segnatempo»  17 .

Una dichiarazione di poetica e, forse, una prima stesura dei tratti di quel sopracitato «problematicismo esistenziale e conoscitivo». L’applicazione tematizzata di quell’«atteggiamento mentale, posizione percettiva che si fa taglio interpretativo, ermeneutica» che, come tale, è stato concepito proprio qui in Toscana. Un’ermeneutica che sebbene avvinta nel «particulare» dei ricordi di gioventù non deve però essere equiparata al mero memento, all’elucubrazione privata. Perché in gioco non vi sono soltanto i valori intimi e personali attribuiti dall’autore, bensì, e fondatamente, ragioni intersoggettive, sociali, fors’anche di specie. In queste piccole, ingegnose sculture portatili, capaci di sorprendere e insieme rincuorare chi le stringe nelle proprie mani, sono riattivate nell’immediato connessioni antropologiche ulteriori rispetto alle semplici memorie infantili, adolescenziali o comunque giovanili.

Volendo chiosarle nel complesso, gli strumenti per la scrittura e i cronografi di Mazzuoli rivisitano icone di genere prive di un nome proprio – se non l’epiteto affettuoso affibbiatogli dai proprietari – nelle quali è però racchiusa una dignitosa atmosfera d’antan – ad un tempo allusiva sia a laboriosi tour de force che a prestigiose performance. Atmosfera che è connessa ad un mondo nobilmente fabbrile costellato di oggetti declinati come arnesi, attrezzi e congegni, ferri del mestiere nati dal linguaggio sobrio delle officine e dei designer/carrozzieri che fra gli anni ‘30 e ‘70 hanno fatto la storia del settore automotive.

L’astuto slittamento di senso e d’uso proposto dal richiamo non solo formale dei modelli – la cui origine s’intuisce in un lampo negli appellativi delle collezioni, dei modelli e delle lavorazioni: 4 tempi, Lima, Cassetta, Madrevite, Fresa Cilindrica, Alesatore, Micrometro, Puntino, Maschio, Moka, Mokina, Manometro, Contagiri, Trasmissione Meccanica –, è la vincente «mossa del cavallo» che sconcerta al primo sguardo ma offre fin da subito un sedimentato appeal. Un fascino d’epoca che pur attingendo a diversi altrove storici condivisi si trasfonde con naturalezza ad ogni nuovo prodotto di questa piccola azienda di Tavarnelle Val di Pesa conosciuta ormai nel mondo.

Come per gli eroi dei miti classici, le penne e gli orologi di Mazzuoli ci appaiono posseduti da daimon ulteriori ma oltremodo familiari, lari e penati in grado di connettere e soffondere il mana tecnologico-efficentista con taumaturgiche possibilità, tanto enigmatiche quanto sotterraneamente potenti.

L’unione d’intenti fra cura del dettaglio tecnico e «trasferimento affettivo» delle recondite potenzialità «terapeutiche» implicite negli oggetti per la persona ha poi un’eclatante conferma nel Manometrino da tasca del 2012. Ne parla direttamente Mazzuoli, tra l’altro proclamando un’intelligente propensione a «lavorare sul già esistente» piuttosto che ostinarsi sul «nuovo»  18 .

La soluzione mimetica individuata nella sostituzione della catenella con raccordi snodati di tubetto di gomma esalta, se possibile, l’ambivalenza e lo stupore provocato dal modello originale. Approfondendo il tema, Mazzuoli si approssima «al concetto che ha dato origine all’orologio: manometro - pressione - aria – “tubo”». Arriva quindi a proporre nuove ragioni e sensatezze all’iniziale intuizione analogica avviata con Manometro, aprendo decisamente una quinta, con Manometrino da tasca, verso il medicale sfigmomanometro. Quale migliore dimostrazione potrebbe essere addotta per testimoniare la forza germinativa e progettuale, così spesso inascoltata, racchiusa in quel che ci lega?

In conclusione, sbaglieremmo a cogliere nel lavoro di Giuliano Mazzuoli il solo suggello emozionale scaturito dal potere ecolalico della «ripetizione» dei segni appartenenti a mondi perduti. Se in questi lavori, infatti, possiamo reperire un quid d’umanità che si confronta e trapela, questo quid, pertiene – assai più che al fanciullo ozioso, malinconico o sognante –, alla pratica intelligenza dell’homo faber, ovvero a quel determinato tipo antropologico afferente e connesso tanto alla sfida del meccanico pioniere del ‘900 quanto alla scintilla originaria del primate artiere che scheggiando la selce ne ricavò i primi utensili della nostra eroica era di costruttori. E il richiamo a questi mondi non è affatto replica mnemonica bensì fa parte di quella pratica attiva, quell’imprescindibile e incessante esercizio ermeneutico cui, molto presumibilmente, noi tutti dobbiamo la presenza di vita sul nostro pianeta.

NOTE AL TESTO

 00  Alessandra Muntoni, Quando Leonardo Savioli dipingeva e costruiva case, "presS/Tletter" 22 novembre 2013, presstletter.com/2013/11/quando-leonardo-savioli-dipingeva-e-costruiva-case-di-alessandra-muntoni
 01  Non sono poche, nei fatti, le aziende che pur avendo ben presente il ruolo delle produzioni sempreverdi nei propri fatturati, cercano di «dimenticarne» l’età non riportandola nemmeno nei propri cataloghi.
 02  Com’è platealmente sottolineato anche dal ritorno in produzione per IKEA nell’ottobre 2012 di Strandmon nuova versione della poltrona MK risalente al 1951.
 03  In grado cioè d’ispirare e ospitare applicazioni innovative.
 04  Il termine, seguendo George Steiner, equivale ad arcaico, cfr. George Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano 1992, p. 38.
 05  cfr. Alberto Asor Rosa, 'Ricordi' di Francesco Guicciardini, in Id. (a cura di), Letteratura italiana, Le Opere, col. II. Dal Cinquecento al Settecento, Torino, Einaudi 1993, pp. 3-94.
 06  Corrado Bologna, I Ghiribizzi di Guicciardini, in Paola Moreno, Giovanni Palumbo (a cura di) Francesco Guicciardini tra ragione e inquietudine: atti del convegno, Bibliothèque del la Faculté de Philosophie et Lettres de l'Université de Liège, Liège 2005.
 07  cfr. Guicciardini Francesco, voce Enciclopedia Sapere.it, www.sapere.it/enciclopedia/Guicciardini...
 08  cfr. Guicciardini Francesco, Op. cit.
 09  Curzio Malaparte, Maledetti toscani, Vallecchi, Firenze 1956-1970, pp. 22-23.
 10  Ossia ancorato a «quell’orizzonte di senso tipico dell’età pretecnologica, dove l’uomo è previsto come soggetto e la tecnica come strumento». Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999-2002, p. 42.
 11  Curzio Malaparte, Op. cit., 35-36.
 12  Id., Op. cit., 36.
 13  Id., Op. cit., 37.
 14  Ovvero anche «eterodosso conformismo».
 15  Da notare che la Stifflexible MoMA Special Edition è l’articolo più venduto nei negozi del museo a Manhattan.
 16  cfr. Giuliano Mazzuoli, brochure aziendale orologi, Giuliano Mazzuoli srl.
 17  cfr. brochure aziendale Giuliano Mazzuoli orologi, Giuliano Mazzuoli srl.
 18  cfr. A little story about a little watch, brochure aziendale Manometrino da tasca, Giuliano Mazzuoli srl.


Giuliano Mazzuoli | 3.6.5. design
www.365-design.it
www.stifflexible.it
www.mazzuoli.it
www.giulianomazzuoli.it



testo: 
Umberto Rovelli 


Giuliano Mazzuoli / Officina - 4 tempi / 2000 / by 3.6.5.
I.

II.
Giuliano Mazzuoli / MiniOfficina / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Officina - Lima 3+1 / 2000 / by 3.6.5.
III.

IV.
Giuliano Mazzuoli / Officina - Cassetta / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Ducati - Multiwriting / 2000 / by 3.6.5.
V.

VI.
Giuliano Mazzuoli / Museo Ducati - 4 tempi / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Cassia 264 / 2000 / by 3.6.5.
VII.

VIII.
Giuliano Mazzuoli / Officina - Stelvio / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Mokina / 2000 / by 3.6.5.
IX.

X.
Giuliano Mazzuoli / Mokina Tuttatonda / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Nobile Italia / 2000 / by 3.6.5.
XI.

XII.
Giuliano Mazzuoli / Stifflexible - Guzzini / 2000 / by 3.6.5.
Giuliano Mazzuoli / Manometro / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI
XIII.

XIV.
Giuliano Mazzuoli / Manometro e Manometrino / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI
Giuliano Mazzuoli / Manometro Pendoletta / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI
XV.

XVI.
Giuliano Mazzuoli / Contagiri / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI
Giuliano Mazzuoli / Trasmissione Meccanica / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI
XVII.

XVIII.
Giuliano Mazzuoli / Manometrino da tasca / 2000 / by GIULIANO MAZZUOLI

 




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